Commento a Corte d’Appello di Milano n. 709-2012. No al riconoscimento degli scatti di anzianità. Iura novit curia?

 

Con sentenza n. 709 pubblicata il 15 maggio 2012, la Corte d’appello di Milano, ignorando il contrario orientamento espresso da altra sezione della medesima Corte d’appello (Corte d’appello di Milano n. 576/12), ha accolto un ricorso presentato dal MIUR avverso una sentenza del Tribunale di Milano che aveva invece riconosciuto il diritto della ricorrente al pagamento delle differenze retributive corrispondenti all’effettiva anzianità di servizio (pur respingendo la domanda principale di conversione dei contratti a termine stipulati).

La sentenza che si commenta ha di fatto aperto una breccia in una giurisprudenza fino a quel momento (maggio 2012) orientata favorevolmente rispetto al riconoscimento quanto meno della progressione stipendiale, in forza del principio di parità di trattamento tra personale precario e personale con contratto a tempo indeterminato.

A tale sentenza hanno fatto seguito numerose pronunce seriali della stessa Corte di analogo tenore, inaugurando un orientamento poi confermato dalla nota sentenza Cassazione n.10127/2012, oggetto di ampi commenti sul sito.

E’ perciò opportuno esaminare i passaggi con cui la Corte territoriale ha ritenuto di poter rinvenire delle “ragioni oggettive” o “motivazioni oggettive” che giustificherebbero la disparità di trattamento tra personale precario e personale con contratto a tempo indeterminato.

Occorre premettere che – come noto agli addetti ai lavori-  a causa dell’elevata mole di pendenze presso la sezione lavoro della Corte d’appello di Milano (ben 6.533 al 31 dicembre 2011), sono stati  distaccati presso la medesima sezione alcuni magistrati provenienti dalle sezioni civili della Corte d’appello, col compito di smaltire le cause “seriali” e – segnatamente- quelle riguardanti il Miur e le Poste italiane.

Probabilmente, la situazione emergenziale cui si è trovata di fronte la Corte non ha consentito un’analisi  approfondita della vicenda, in quanto – a parere dello scrivente- non solo nella pronuncia che si commenta non appaiono rinvenibili quelle “ragioni oggettive” atte a giustificare la disparità di trattamento, ma il ragionamento della Corte non appare confortato dall’esame della legislazione scolastica in subiecta materia.

 

Secondo la Corte territoriale, “il peculiare sistema retributivo del personale assunto con contratto a tempo indeterminato” (quello che prevede gli scatti di anzianità- N.d. R.) “presuppone che il lavoratore risulti immesso nel ruolo organico dell’amministrazione, all’esito non solo di un’apposita procedura concorsuale ma anche del superamento di un congruo periodo di prova, cui si accompagnano ulteriori specifici doveri quali – ad esempio – quelli del trasferimento nei casi di eccedenza del personale e della disponibilità in taluni periodi estivi per attività formative ed altro”.

Non è possibile rinvenire – nella citata sentenza –nessun’altra indicazione  in ordine  alle ragioni oggettive di cui sopra.

 

Orbene, com’è noto, non è affatto vero che il personale di ruolo sia stato necessariamente assunto a seguito di un pubblico concorso.

E’ sufficiente leggere l’art. 1 della legge n. 124/1999, che recita: “l’’accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ha luogo, per il 50 per cento dei posti a tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all’art. 401.

Pertanto, appare innegabile che molti docenti con contratto a tempo indeterminato non sono stati assunti a seguito di una procedura concorsuale.

Oltre tutto, per il personale Ata (terza e quarta qualifica) il concorso non è previsto dalla legge (cfr. art. 554 D. Lgs. n. 297/1994, secondo cui è sufficiente un servizio di 24 mesi per accedere ai ruoli del suddetto personale).

 

Che dire poi del “congruo periodo di prova” cui i precari non sarebbero stati soggetti?

Ci si rende conto che si sta parlando di docenti che hanno svolto alle dipendenze del Miur svariati anni di servizio, anni di cui chiedono si tenga conto ai fini della retribuzione?

 

E del dovere di trasferimento del personale di ruolo in caso di eccedenza di personale?

Ma il docente precario quasi sempre viene assegnato ad una scuola diversa da quella in cui lavorava nell’anno precedente.

 

L’ulteriore decisiva circostanza, richiamata dalla Corte per giustificare la disparità di trattamento, consisterebbe nell’obbligo del personale di ruolo di essere a disposizione in -non meglio precisati- “taluni periodi estivi” per “attività formative o altro”.

A parte l’ovvia considerazione che tale obbligo riguarderebbe comunque anche il supplente annuale, probabilmente sfugge alla Corte che l’art. 74, comma 2, del citato D. Lgs. n.297/1994 recita: “Le attività didattiche (non le lezioni!- N.d. R.) comprensive anche degli scrutini ed esami, e quelle di aggiornamento, si svolgono nel periodo compreso tra il 1° settembre ed il 30 giugno con eventuale conclusione nel mese di luglio degli esami di maturità”.

Dunque, non esiste alcun obbligo di disponibilità per le suddette attività durante i periodi estivi, per espressa disposizione legislativa.

 

Appare evidente che le premesse da cui è partita la Corte territoriale sono non semplicemente opinabili, ma del tutto prive di fondamento, anche solo a leggere quanto previsto dalla legge.

A parere dello scrivente, la Corte d’appello di Milano ha emesso una pronuncia che – oltre a contrastare con precedenti giurisprudenziali di altre Corti e della stessa Corte d’appello di Milano – si pone in netto contrasto con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea con le note sentenze n. 11 del 13 settembre 2007 (causa n. 307/2005 Del Cerro) e “Gavieiro Gavieiro” del 22 dicembre 2010.

Si ricorda – se mai ce ne fosse bisogno- che le citate pronunce si riferivano proprio al caso di docenti (benchè spagnoli).

Orbene, trattandosi di servizio scolastico reso all’interno dell’Unione Europea, allo scrivente sfuggono le ragioni per cui in Italia vi sarebbero delle ragioni oggettive atte a giustificare  la disparità di trattamento dei docenti, mentre le stesse ragioni non sarebbero rinvenibili in Spagna.

 

Tanto più che- come riconosciuto dalla stessa Avvocatura dello Stato- la clausola 4 dell’accordo quadro europeo sul contratto a tempo determinato (che prevede la parità di trattamento)  è self executing (vale a dire immediatamente esecutiva e direttamente invocabile di fronte al Giudice nazionale).

Sempre che per tale giudice continui a valere l’antico principio “iura novit curia”.

Avvocato Francesco Orecchioni