Corte d’Appello di Perugia – Sentenza n. 524-2010

Reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato – diritto alla conversione ed al risarcimento danni – non sussiste.

 

I contratti a termine del settore scolastico, tanto per il personale docente quanto per quello amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), sono disciplinati non già dal D.Lgs n. 368/01, bensì dalle norme speciali dettate in materia, ossia il D.Lgs 16 aprile 1994, n. 297, modificato dalla legge n. 124/99, oltre che da tutte le fonti integrative, rappresentate dai contratti collettivi nazionali di lavoro e dai regolamenti ministeriali per le supplenze.

Il divieto di conversione del contratto a tempo determinato, sancito in via generale per il pubblico impiego dall’art. 36, comma 2, non è stato abrogato dal D.lgs n. 368/01 (in quanto costituisce la diretta conseguenza del principio costituzionale di cui all’art. 97), ed opera anche nel settore specifico della scuola.

Difatti nell’ambito del pubblico impiego il divieto di conversione del contratto a termine trova giustificazione nella previsione dell’art 97, terzo comma Cost, secondo cui “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Tale divieto, poiché è diretto a garantire l’osservanza di un principio di rango costituzionale, non può essere ritenuto incompatibile con la disciplina in tema di assunzioni a tempo determinato, dettata in via generale dal D.Lgs n. 368/01.

D’altra parte, la scelta di disciplinare in modo differente le conseguenze della nullità o invalidità della clausola di apposizione del termine di durata al rapporto di lavoro, secondo che il datore sia privato o pubblico, non determina neppure una violazione della disciplina comunitaria, contenuta nella direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 28 giugno 1999, n. 70, emanata in attuazione dell’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, dal momento che la conversione del rapporto non è prevista come l’unica sanzione possibile dell’illegittima successione di contratti a termine.

In ordine alle richieste risarcitorie, per un verso, ragioni di contenimento della spesa pubblica suggeriscono di evitare il sovradimensionamento degli organici, così da evitare esuberi di personale e costi inutili nei momenti di calo demografico o di diminuzione, per qualsiasi motivo, delle iscrizioni; per altro verso, la necessità di assicurare la costante erogazione del servizio scolastico, finalizzato al soddisfacimento di un interesse costituzionalmente garantito, rende giustificato e ragionevole il ricorso alle assunzioni a termine.

Inoltre, quanto alle singole modalità di conferimento delle supplenze:

Le supplenze annuali cosiddette su “organico di fatto”, con scadenza al 30 giugno, cioè, al termine dell’attività didattica, sono relative a posti che non sono tecnicamente vacanti, ma si rendono di fatto disponibili.

Le supplenze temporanee sono conferite per ogni altra necessità, come la sostituzione di personale assente o la copertura di posti resisi disponibili, per qualsivoglia ragione, soltanto dopo il 31 dicembre, e sono destinate a terminare non appena venga meno l’esigenza per cui sono state disposte; per tali supplenze nessun abuso può essere ipotizzato, giacché le esigenze che esse soddisfano sono effettivamente contingenti e imprevedibili, e tali da far escludere, di per sé, una condotta abusiva.

Infine, anche le supplenze su organico di diritto non comportano la sussistenza di abusi, tenuto conto che anzitutto ciascun incarico è svincolato dai precedenti, di cui non costituisce né prosecuzione né proroga, e spesso attiene alla copertura di posti situati in sedi diverse.

In secondo luogo, l’amministrazione scolastica – a differenza del datore privato, che può scegliere liberamente il lavoratore con cui stipulare il contratto – ha l’obbligo di attenersi alle graduatorie permanenti provinciali, per gl’incarichi su organico di diritto, o, per le supplenze su organico di fatto o temporanee, alle graduatorie interne d’istituto o di circolo.

Ciò comporta che il “precario”, vedendosi attribuire punteggio per ogni periodo di servizio prestato, acquisisce sempre maggiori titoli per il conferimento di successivi incarichi, di modo che le assunzioni nella scuola pubblica in regime di precariato (o di preruolo) non sono assunzioni a termine in senso tecnico, ma si configurano come speciale e progressivo sistema di “reclutamento”, destinato a concludersi fisiologicamente con l’assunzione “in ruolo” e la ricostruzione della carriera.

 

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