Corte di Cassazione – Sentenza n. 26084 del 12-12-2007

Corte di Cassazione – Sentenza n. 26084 del 2007

 

Competente ad irrogare il licenziamento del dipendente in servizio presso l’istituzione è il dirigente dell’istituto scolastico.
Difatti a seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego del personale scolastico deve ritenersi che spetti al dirigente dell’istituzione scolastica ove il dipendente presta lavoro il potere di dispensarlo dal servizio per motivi di salute ai sensi del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 129, o di licenziarlo per i motivi previsti dalla contrattazione collettiva.

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il lavoratore licenziato, pur non avendo l’onere di provare la possibilità di impiego nell’ambito dell’organizzazione aziendale in mansioni equivalenti, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di “repechage”.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATTONE Sergio – Presidente –
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Consigliere –
Dott. MAIORANO Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:
XXX XXX, domiciliata in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato D’AMBROGIO Luca, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis, (ATTO DI COSTITUZIONE DEL 14/11/05);
– resistente con mandato –
contro
ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER L’INDUSTRIA E ARTIGIANATO (IPSIA), DIRIGENTE SCOLASTICO PROVINCIALE DI COMO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 64/04 della Corte d’Appello di MILANO, depositata il 26/01/04 R.G.N. 1521/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 16/11/07 dal Consigliere Dott. Giancarlo D’AGOSTINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con ricorso del 22.10.2001 al giudice del lavoro di Como Xxx Xxx Xxx conveniva in giudizio l’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato “Leonardo da Vinci” (di seguito, IPSIA), l’Ufficio scolastico provinciale di Como e il Ministero della Pubblica istruzione e premesso di aver svolto mansioni di collaboratore scolastico (personale ATA) con contratto a tempo indeterminato presso l’IPSIA, lamentava di essere stata dispensata dal servizio per motivi di salute, ai sensi del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 129, con Decreto 23 dicembre 2000, del dirigente scolastico del predetto istituto. Sosteneva la ricorrente che il provvedimento di dispensa era illegittimo sia perché emesso da un organo privo del potere di risolvere il rapporto di lavoro, potere che spettava al dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Como, sia perché l’esponente, dichiarata inidonea a svolgere le mansioni previste nel profilo di appartenenza, doveva essere utilizzata dall’amministrazione in altro profilo compatibile a norma dell’art. 23 del CCNL 1999. Tanto premesso la sig.ra Xxx chiedeva l’annullamento del licenziamento con reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno.

L’IPSIA si costituiva e resisteva. Il Tribunale,con sentenza n. 262 del 2002, rigettava la domanda. L’appello proposto dalla dipendente veniva respinto dalla Corte di Appello di Milano con sentenza depositata il 26.1.2004.

La Corte territoriale osservava che il provvedimento di licenziamento era stato validamente adottato dal dirigente scolastico dell’IPSIA, a ciò delegato dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Como, trattandosi di provvedimento di competenza del dirigente dell’istituto scolastico presso cui il lavoratore prestava servizio, come era dato desumere dal fatto che il D.P.R. n. 275 del 1999, art. 15, non menziona la risoluzione del rapporto di lavoro tra le materie riservate all’Ufficio Scolastico Provinciale. Rilevava altresì che il licenziamento era stato irrogato a seguito di visita medica collegiale che aveva accertato la totale inidoneità della Xxx alla qualifica di appartenenza e sul presupposto della insussistenza di una diversa utilizzazione compatibile. Rilevava, infine, che la lavoratrice non aveva provato in alcun modo la sua idoneità a svolgere mansioni diverse compatibili ne’ aveva indicato specificamente i lavori compatibili esistenti.

Per la cassazione di tale sentenza la sig.ra Xxx ha proposto ricorso sostenuto da nove motivi. Il Ministero dell’Istruzione ha depositato atto di costituzione in giudizio. Gli altri intimati non si sono costituiti.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, artt. 14 e 15, e sostiene che l’art. 14 del decreto ha trasferito alle istituzioni scolastiche solo le funzioni relative allo stato giuridico ed economico del personale e non anche la competenza in materia di provvedimenti estintivi del rapporto di lavoro. Il licenziamento pertanto doveva essere dichiarato illegittimo perché adottato da soggetto e/o organo privo del potere di disporlo.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1362 e 1324 c.c., per aver il giudice di appello (nell’ipotesi in cui avesse ravvisato nella lettera 5.12.2000 una delega al dirigente IPSIA per adottare il provvedimento di licenziamento) erroneamente interpretato la nota 5.12.2000, atteso che con detta missiva il dirigente dell’Ufficio Scolastico di Como si limitava a trasmettere al dirigente dell’IPSIA il fascicolo contenente le risultanze documentali della pratica Xxx senza dare alcuna disposizione circa il merito del provvedimento da adottare.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa ed insufficiente motivazione per non aver il giudice di appello spiegato le ragioni per le quali riteneva che nella nota 5.12.2000 di trasmissione del fascicolo fosse ravvisabile una delega ad emettere il provvedimento di licenziamento.

Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuta valida la delega del potere di dispensarla dal servizio pur mancando una disposizione normativa che consentisse una siffatta delega.

Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver rilevato che la delega, anche se ritenuta implicita nella trasmissione del fascicolo Xxx, era comunque nulla non risultando da atto scritto.

Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per non aver rilevato che, anche se fosse stata conferita una delega e la delega fosse ammissibile e ritenuta conferita per iscritto, comunque il potere delegato non sarebbe stato validamente esercitato per mancanza di esplicitazione del provvedimento (di dispensa dal servizio) che veniva delegato.

Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto provata la impossibilità di una diversa utilizzazione compatibile in cui ricollocare la ricorrente in base alle mere affermazioni contenute nel provvedimento di licenziamento.

Con l’ottavo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente affermato che gravava sulla dipendente licenziata l’onere di provare l’esistenza, nell’ambito dell’amministrazione scolastica provinciale, di diverse utilizzazioni compativi ove ricollocarla utilmente, onere probatorio che invece gravava sul datore di lavoro.

Con il nono motivo si censura la sentenza impugnata per non avere il giudice del gravame spiegato le ragioni per le quali non aveva ammesso i mezzi di prova richiesti dalla ricorrente in grado di appello (CTU e informazioni alle associazioni sindacali ed alla pubblica amministrazione) intesi ad accertare la sussistenza nell’amministrazione scolastica provinciale di profili compatibili con quello di collaboratrice scolastica ove essere riutilizzata.

Il ricorso nel suo complesso non è meritevole di accoglimento. Il primo motivo di ricorso è infondato.

A seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego del personale scolastico deve ritenersi che spetti al dirigente dell’istituzione scolastica ove il dipendente presta lavoro il potere di dispensarlo dal servizio per motivi di salute ai sensi del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 129, o di licenziarlo per i motivi previsti dalla contrattazione collettiva.

Il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, art. 14 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche) al comma 1, dispone che “a decorrere dal 1 settembre 2000 alle istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni già di competenza dell’amministrazione centrale e periferica relative…allo stato giuridico ed economico del personale non riservate, in base all’art. 15 o ad altre specifiche disposizioni, all’amministrazione centrale e periferica”.

L’art. 15 dello stesso decreto, nel disporre che “sono esclusi dall’attribuzione alle istituzioni scolastiche le seguenti funzioni in materia di personale, il cui esercizio è legato ad un ambito territoriale più ampio di quello di competenza della singola istituzione”, non menziona la risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle istituzioni scolastiche tra le materie riservate all’amministrazione centrale e periferica, mentre riserva a quest’ultima, al punto c), la “mobilità esterna alle istituzioni scolastiche” e “l’utilizzazione del personale eccedente l’organico funzionale di istituto”.

All’amministrazione centrale e periferica sono dunque riservati i provvedimenti in materia di personale “il cui esercizio è legato ad un ambito territoriale più ampio di quello di competenza della singola istituzione” e tale non può certo ritenersi il provvedimento di licenziamento del dipendente che presti servizio presso l’istituzione scolastica, sia perché esso non eccede l’ambito territoriale dell’istituzione, sia perché detto provvedimento, risolvendo il contratto di lavoro, rientra tra quelli che attengono comunque allo stato giuridico del personale.

La Corte di Appello, pertanto, nel ritenere la competenza diretta del dirigente dell’istituto scolastico ad irrogare il licenziamento del dipendente in servizio presso l’istituzione, ha fatto corretta applicazione delle norme giuridiche.

Restano di conseguenza assorbite tutte le censure poste dal secondo al sesto motivo di ricorso, in quanto il dirigente scolastico, nel disporre la dispensa dal servizio della sig.ra Xxx, non ha agito per delega dell’Ufficio scolastico provinciale, ma ha esercitato un potere a lui direttamente attribuito dalla legge.

È irrilevante in proposito l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il provvedimento di recesso “è stato adottato dal dirigente scolastico a ciò delegato dall’Ufficio scolastico provinciale di Como”. I giudici di appello avevano già espresso il convincimento che il provvedimento di licenziamento era materia di competenza dell’istituzione scolastica presso cui il lavoratore presta servizio. All’affermazione della Corte, dunque, non è lecito attribuire altro significato che quello di una seconda e subordinata motivazione, che nulla toglie alla corretta interpretazione della legge fornita con la prima determinazione e che si dimostra del tutto superflua e inidonea a sorreggere la decisione.

Gli ultimi tre motivi del ricorso, che è opportuno esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati. L’Ufficio scolastico di Como, con nota del 5.12.2000, il cui testo è stato allegato al ricorso, ha comunicato al Dirigente dell’IPSIA che la sig.ra Xxx “non può trovare parziale utilizzazione nel profilo di collaboratore scolastico in quanto il Collegio medico ne ha stabilito la permanente e totale inidoneità alla qualifica di appartenenza, ne’ può essere prevista una utilizzazione in altro profilo, all’interno di questa Amministrazione, atteso che nella stessa non compare alcun altro profilo, coerente con quello di attuale assegnazione, in cui collocare la predetta”. Il ricollocamento della Xxx, giudicata totalmente inidonea per motivi di salute alla qualifica di appartenenza, in altre mansioni compatibili spetta certamente all’Ufficio scolastico provinciale a norma del D.P.R. n. 275 del 1999, art. 15, lett. c), trattandosi di potere il cui esercizio è legato ad un ambito territoriale più ampio di quello di competenza della singola istituzione, come si evince anche dall’art. 23 del CCNL comparto scuola del 1999, il cui testo è stato trascritto in ricorso.

L’Ufficio scolastico di Como ha però escluso di poter assegnare la Xxx ad altro profilo “coerente” con quello di appartenenza. L’Amministrazione, dunque, ha preso in esame la possibilità di utilizzare diversamente la dipendente esonerata dal servizio, ma ha dichiarato che non vi era possibilità di utilizzarla in posto con mansioni coerenti con quelle di appartenenza. A questa dichiarazione, in quanto proveniente dal dirigente di un ufficio pubblico, deve assegnarsi un valore, almeno presuntivo, di corrispondenza al vero. A fronte di questa affermazione di insussistenza di diverse utilizzazioni compatibili, i giudici di appello hanno rilevato che mancava in atti la prova contraria dell’esistenza di posizioni lavorative utilmente assegnabili alla Xxx. Argomentando in tal modo i giudici del gravame non hanno invertito l’onere della prova, ponendo a carico del lavoratore licenziato un onere probatorio incombente sul datore di lavoro; onere, peraltro che questa Corte ha precisato dover essere comunque mantenuto entro limiti di ragionevolezza, sicché esso può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria (Cass. n. 3198 del 1987, Cass. n. 8254 del 1992).

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, infatti, questa Corte ha ripetutamente affermato che il lavoratore licenziato, pur non avendo l’onere di provare la possibilità di impiego nell’ambito dell’organizzazione aziendale in mansioni equivalenti, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di repechage (Cass. N. 8396 del 2002, Cass. n. 10559 del 1998, Cass. n. 8254 del 1992). I rilievi della Corte di Appello vanno dunque riferiti a tale onere di allegazione.

Nella specie è mancata da parte della ricorrente qualsiasi allegazione in ordine alla scopertura nell’ambito delle istituzioni scolastiche della provincia o dell’Amministrazione periferica di posti con mansioni compatibili con quelle di appartenenza. Nè la ricorrente può lamentare la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti, in quanto sia i quesiti proposti per una CTU che le informazioni da richiedere alla pubblica amministrazione ed alle organizzazioni sindacali, quali si evincono dalle richieste istruttorie trascritte in ricorso, mostrano di avere un contenuto meramente esplorativo, anziché accertativo di un fatto o di una situazione che si afferma esistente, e sono stati quindi giustamente disattesi dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 3191/2006, n. 26083/2005, n. 16256/2004).

Per tutte le considerazioni sopra svolte il ricorso, dunque, deve essere respinto.

Nulla deve disporsi per le spese del giudizio di Cassazione, poiché gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2007