Corte di Giustizia UE – Sentenza del 20 settembre 2018

In linea di principio, la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, in allegato alla direttiva 1999/70/CE, non osta a una normativa nazionale, in materia di ricostruzione della carriera, che preveda una differenziazione di trattamento, tra lavoratori precari e lavoratori di ruolo, sulla base di concreti e precisi elementi di diversità (“ragioni oggettive”) non riconducibili al mero superamento di un concorso, bensì alle sole prestazioni di sostituzione temporanea dei colleghi, e all’insegnamento di materie diverse, cui i precari sono a volte chiamati. Di tal ché, previa verifica del Giudice nazionale, può essere ritenuta legittima l’applicazione della normativa nazionale (che tenga conto dei periodi di servizio di pre-ruolo in misura integrale fino al quarto anno e dei restanti, parzialmente, a concorrenza dei due terzi) al precario che abbia prestato esclusivamente supplenze brevi e temporanee, su svariate materie, ritenendosi invece integralmente computabile come annualità completa il servizio di almeno 180 giorni conseguiti in un anno scolastico.

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In tema di ricostruzione della carriera, su domanda di pronuncia pregiudiziale esperita dal Tribunale di Trento, la Corte di Giustizia Europea ha avuto modo di affrontare, e chiarire, il dubbio sollevato dal Giudice di prime cure in merito alla disparità di trattamento riservata al personale scolastico a tempo determinato.

Come noto, infatti, in applicazione delle disposizioni nazionali in materia (articolo 485, comma 1, del decreto legislativo n. 297, del 16 aprile 1994), al personale scolastico che abbia prestato servizio di pre-ruolo (precariato) è riconosciuta solo parte della propria anzianità di servizio nel momento del passaggio in ruolo.

Infatti, a differenza di quanto accade per i colleghi a tempo indeterminato (la cui carriera progredisce parallelamente all’anzianità conseguita), il personale della scuola precario, all’atto del passaggio in ruolo, si vede riconosciuta solo una parte della propria anzianità di servizio: i primi quattro anni per intero, e i restanti anni solo per 1/3 ai fini giuridici, e 2/3 ai fini economici.

Tale disparità di trattamento, superata per costante e granitico orientamento giurisprudenziale nell’ambito di una annosa e tormentata vicenda giudiziaria, è oggetto della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

La predetta clausola, infatti, vieta la discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, laddove le mansioni svolte siano equiparabili e sovrapponibili, così statuendo: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive (…)”.

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In tale contesto, il Tribunale del Lavoro di Trento ha sospeso il procedimento intentato dalla lavoratrice, che richiedeva il riconoscimento integrale del proprio servizio di precariato, sottoponendo alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali, così riassunte:

  1. Se il superamento di concorso, da parte del lavoratore, costituisce “verifica della professionalità” del lavoratore stesso, con la conseguenza che il giudice italiano ne deve tener conto “al fine di stabilire se sussista la comparabilità tra la situazione del lavoratore a tempo indeterminato e quella del lavoratore a tempo determinato, nonché al fine di accertare se ricorra una ragione oggettiva idonea a giustificare un diverso trattamento tra lavoratore a tempo indeterminato e lavoratore a tempo determinato”;
  2. Se il principio di non discriminazione ex clausola 4 dell’accordo quadro osti a una norma interna” che riconosca un diverso trattamento, nel computo dell’anzianità di servizio, al lavoratore precario “in ragione della mancanza, ai fini dello svolgimento di lavoro a tempo determinato, di un’iniziale verifica oggettiva della professionalità, mediante concorso pubblico”;
  3. Se il principio di non discriminazione ex clausola 4 dell’accordo quadro osti a una norma interna” che riconosca un diverso trattamento, nel computo dell’anzianità di servizio, al lavoratore precario “in ragione dell’obiettivo di evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso pubblico”.

In altre parole, il Giudice del Lavoro si domanda se, nonostante il principio di non discriminazione contenuto nella direttiva comunitaria, le disposizioni nazionali in materia possano riconoscere – come riconoscono – una disparità di trattamento tra lavoratori in ruolo e lavoratori precari in ragione del fatto che, questi ultimi, non godono di una “verifica della professionalità” in quanto non hanno superato un concorso. Un eguale trattamento, continua il Giudice di prime cure, potrebbe addirittura configurare una “discriminazione alla rovescia” nel momento in cui dovesse essere riconosciuto al precario lo stesso trattamento riservato ai lavoratori assunti a seguito di superamento di concorso.

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La Corte di Giustizia, sul punto, precisa che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano “ragioni oggettive”.

Come risulta dalla formulazione letterale stessa della clausola 4 – continua la Corte – la parità di trattamento si applica solo tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comparabili, rivelandosi necessario “valutare se, tenuto conto di un insieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che tali persone si trovino in una situazione comparabile”.

Ebbene, nel caso di specie, nonostante la ricorrente principale non abbia superato alcun concorso, risulta che le mansioni svolte da quest’ultima in qualità di precaria, fossero poi identiche a quelle affidatele una volta transitata nei ruoli.

E infatti – continua la Corte – nonostante la lavoratrice non abbia superato proficuamente alcun concorso, si deve necessariamente ritenere che, al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, ella si trovasse in una situazione comparabile a quella dei dipendenti pubblici di ruolo, dato che i requisiti stabiliti dalla procedura nazionale di assunzione per soli titoli (tramite scorrimento della graduatoria) mirano a consentire l’immissione in ruolo nella p.a. di lavoratori a tempo determinato con un’esperienza professionale assimilata a quella dei dipendenti pubblici di ruolo.

Peraltro – aggiunge la Corte – l’ipotesi secondo cui la qualità dell’insegnamento dei docenti a tempo determinato sarebbe inferiore a quella dei vincitori di concorso non appare conciliabile con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere integralmente l’anzianità maturata nei primi quattro anni di servizio prestato in regime di precariato.

Diversamente opinando, infatti, si incorrerebbe nella paradossale circostanza per cui il docente a tempo determinato offrirebbe una qualità della didattica inferiore per il sol fatto di essere precario.

Dunque, solo una “ragione oggettiva”, secondo i Giudici di Lussemburgo, potrebbe giustificare una legittima disparità di trattamento, laddove sussistano elementi precisi e concreti che contraddistinguano la condizione di precario da quella a tempo indeterminato: il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme a tali requisiti e non può dunque configurare una “ragione oggettiva” ai sensi della predetta clausola 4.

Tuttavia, in considerazione del margine di discrezionalità nell’organizzazione delle loro p.a., gli Stati membri possono stabilire determinate condizioni per l’accesso al ruolo laddove ricorrano le “ragioni oggettive” richieste.

In particolare, ritiene la Corte, può configurare “ragione oggettiva” la tutela, invocata dallo Stato italiano, dei lavoratori a tempo indeterminato nell’individuazione delle differenze che sussistono con i lavoratori precari, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità.

Lo stesso Stato italiano, precisa la Corte, afferma che le prestazioni fornite dai docenti a tempo determinato, per un periodo di almeno 180 giorni in un anno, sono computate dalla normativa nazionale come annualità complete all’atto del passaggio di ruolo. La normativa nazionale, al contrario, mira a rispecchiare le differenze insite nella “diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti”.

Da tanto ne discende che, in linea di principio, la clausola 4 non osta a una normativa nazionale, in materia di ricostruzione della carriera, che preveda una differenziazione di trattamento, tra lavoratori precari e lavoratori di ruolo, sulla base di concreti e precisi elementi di diversità (“ragioni oggettive”) non riconducibili al superamento di un concorso, bensì alle sole prestazioni di sostituzione temporanea dei colleghi, e all’insegnamento di materie diverse, cui i precari sono a volte chiamati.

Di tal ché, previa verifica del Giudice nazionale, può essere ritenuta legittima l’applicazione della normativa nazionale (che tenga conto dei periodi di servizio di pre-ruolo in misura integrale fino al quarto anno e dei restanti, parzialmente, a concorrenza dei due terzi) al precario che abbia prestato esclusivamente supplenze brevi e temporanee, su svariate materie, ritenendosi invece integralmente computabile come annualità completa il servizio di almeno 180 giorni conseguiti in un anno scolastico.

Avv. Alessandro De Martino