Handicap, discriminazione e tutele (a margine di una importante sentenza del Tribunale di Padova)

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di Rodolfo ROMITO, avvocato in PADOVA

 

In tempi di tagli indiscriminati, dettati da piu’ o meno stringenti obiettivi di bilancio, la sentenza del Giudice di Padova mette un po’ d’ordine sui principi costituzionali costituenti il nucleo indefettibile di garanzie apprestate per l’individuo (handicappato, in particolare).

 

IL CASO

I ricorrenti, agendo in qualità di legali rappresentanti esercenti la potestà genitoriale sui figli minori denunciano il comportamento e gli atti dell’Amministrazione scolastica, a mezzo dei quali gli Istituti vengono riconoscendo un numero limitato di ore di sostegno ai minori, inadeguato rispetto alla riconosciuta grave disabilità.

Si tratta, invero, di minori affetti da varie patologie fisio-psico-intellettive (tutte descritte piu’ sopra e documentate dall’unita documentazione) che la Commissione medica dell’ULSS ha certificato come caratterizzate da “connotazione di gravità” a sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92e, come tale,  necessitante di un insegnante di sostegno in deroga al rapporto fissato dalla legge n.104/92.

Con vari e successivi provvedimenti i Dirigenti scolastici degli istituti interessati hanno assegnato agli alunni ricorrenti un numero di ore di sostegno inferiore alle 22 ore di frequenza settimanale che necessiterebbe la situazione di gravità certificata, ed anzi addirittura inferiore alle ore (già decurtate e ridotte) attribuite  l’anno precedente ai medesimi alunni.

I ricorrenti, pertanto, assumendo l’insufficienza del numero delle ore di sostegno assegnate al minore e, comunque, l’importante riduzione oraria rispetto all’assegnazione dell’anno precedente, sono a lamentare l’evidente discriminazione cui sono stati fatti oggetto e, conseguentemente,  previa declaratoria del diritto del minore ad usufruire di un numero di ore di sostegno pari all’intero orario di frequenza settimanale ovvero comunque maggiore di quelle odiernamente assegnate o almeno pari a quelle dell’anno precedente, con la correlativa condanna della P.A. ad apprestare ogni attività necessaria od utile allo scopo; richiedono, altresì e condizionatamente, il risarcimento del danno subito, sub specie di danno esistenziale.

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PREMESSA : il diritto del disabile all’educazione, all’istruzione ed all’avviamento professionale anche con il ricorso a personale insegnante “di sostegno”

A “cappello” di ogni ragionamento, va precisato che l’art. 38, comma 3, Cost., disponendo che “gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”,  attua i principi generalissimi che, in relazione ai “diritti inviolabili dell’uomo”, sono espressi dall’art. 2 Cost. e che, in relazione alla “pari dignità sociale”, sono dichiarati dall’art. 3 Cost., quando afferma che il principio di eguaglianza sia modulato in funzione anche delle “condizioni personali“.

In relazione ai cennati principi, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 215 del 1987, ha affermato che “la partecipazione del disabile al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato“; dal che consegue il dovere dello Stato (art. 38, comma 4, Cost.) di rendere concretamente fruibile il diritto all’istruzione attraverso “misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti di istruzione“;

La legge 5 febbraio 1992, n. 104, poi, ha espressamente riconosciuto al disabile (art. 12 L. 104 cit.) il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione dalla scuola materna all’università, prevedendo che la fruibilità di tale diritto sia assicurata, tra l’altro, con il ricorso a personale docente specializzato di sostegno.

Successivamente, a partire dalla constatazione che, accanto a forme più lievi, esistono forme di disabilità particolarmente gravi, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 ha previsto la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto alunni-docenti stabilito in via generale (art. 40, comma 1). Sotto questo aspetto, peraltro, era intervenuto  l’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale veniva ad incidere sull’art. 40 co. 1 L. 449/97 testè citato,  fissando rigidamente un limite al numero degli insegnanti di sostegno e sopprimendo radicalmente la possibilità di assumere con contratti a tempo determinato altri insegnanti, in deroga al rapporto docenti-alunni pur se in presenza di disabilità gravi.

Tuttavia,  tali norme della legge n. 244 del 2007 sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 80 del 26 febbraio 2010 [1] in quanto contrastanti con il “quadro normativo internazionale (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n, 18), costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza di questa Corte a protezione dei disabili”. Nella medesima sentenza lo stesso Giudice delle Leggi osservava come “la scelta… di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato” incide sul nucleo indefettibile di garanzie costituente il limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore, in quanto “detta riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali è reso effettivo il diritto all’istruzione del disabile grave“; “la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno appresta una specifica forma di tutela ai disabili che si trovino in condizione di particolare gravità….(e) non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui è affetta la persona de qua”…”;

Nell’esaminare la questione di legittimità costituzionale, dunque, la Corte ha ribadito,  anzitutto e come già detto,  l’indefettibile ruolo che istruzione ed integrazione scolastica  svolgono ai fini della riabilitazione e dell’inserimento del disabile nella società. Più nello specifico, per la verità, ha riaffermato l’esistenza nell’ambito del nostro sistema normativo, di un diritto fondamentale ed insopprimibile del disabile all’istruzione. Pertanto, la Corte è giunta alla conclusione che prevedere un limite al numero di insegnanti di sostegno e, contestualmente, inibire la possibilità di assumerli in deroga è disposizione contrastante  con  quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché con la giurisprudenza consolidata costituzionale. Ferma, pertanto, la discrezionalità del legislatore nella scelta dei mezzi per l’effettività della tutela, tuttavia  la Corte ricorda come – sempre secondo la giurisprudenza costituzionale – detto potere discrezionale non abbia carattere assoluto e trovi invece un limite nel “rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati” (Corte cost., 4.7.2008, n. 251, in Foro it., 2009, I, 302).

A giudizio della Corte, dunque,  le norme impugnate hanno inciso proprio sull’indicato “nucleo indefettibile di garanzie” che la stessa Corte costituzionale ha già individuato quale limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore. Più nello specifico – precisa la Corte – la scelta operata in sede legislativa (in particolare quella di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato) non trova alcuna giustificazione nel nostro ordinamento, posto che detta riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali è reso effettivo il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave.

Considerando che sussistono forme diverse tra di loro di disabilità, le quali richiedono meccanismi di rimozione degli ostacoli che gli stessi disabili incontrano in ragione della tipologia di handicap da cui gli stessi risultano concretamente affetti, la ratio della norma, che prevede la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno, è, infatti, quella di apprestare una specifica forma di tutela ai disabili che si trovino in condizione di particolare gravità. Si tratta cioè di un intervento mirato, che trova applicazione una volta esperite tutte le possibilità previste dalla normativa vigente e che, giova precisare, non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui è affetta in concreto la persona.

Pertanto – così esposto il quadro normativo e costituzionale nel quale si iscrive la vicenda all’esame, –  non potrà dubitarsi (a prescindere dai rilievi circa il carattere discriminatorio di cui si dirà in appresso) dall’ intrinseca illegittimità del comportamento (e degli atti) dell’Amministrazione scolastica con i quali, nonostante l’handicap del minore sia qualificato grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, l’Amministrazione dichiara l’impossibilità di garantirgli assistenza di sostegno per un numero di ore pari almeno ad un’intera cattedra. Sotto questo profilo, infatti, l’esiguità dell’organico e le motivazioni di ordine economico, non possono mai pregiudicare il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave, essendo tenuta l’Istituzione Scolastica a provvedere a soddisfarle – in deroga al rapporto docenti-alunni ordinario – attraverso contratti a tempo determinato con insegnanti di sostegno; come prevedeva già la legge n. 449 del 1997 con norma che, in parte qua, non è suscettibile di modifica da parte del legislatore ordinario e che sancisce un ineludibile dovere da parte e dell’amministrazione scolastica [2].

Pertanto, qualora il numero di ore di sostegno indicate non possa essere soddisfatto dall’istituto scolastico ricorrendo al personale in dotazione (ad esempio anche attraverso «la flessibilità organizzativa e funzionale delle classi» di cui all’art. 40 della legge n. 104/1992) e qualora la situazione di disabilità dell’alunno sia stata definita grave, la ”possibilità” dell’amministrazione scolastica di assumere insegnanti di sostegno in deroga si traduce in un vero e proprio dovere.

Deve, altresì, essere precisato – a riprova della correttezza della ricostruzione normativa fin qui operata – come  nel recente passato l’art. 9, comma 15, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, ha confermato che il limite dei docenti di sostegno (“pari a quello in attività di servizio d’insegnamento nell’ organico di fatto dell’ a.s. 2009/2010″) fa “salva l’autorizzazione di posti di sostegno in deroga al predetto contingente da attivarsi esclusivamente nelle situazioni di particolare gravità di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104“.

Piu’ recentemente, poi, e  da ultimo proprio con Legge 15 luglio 2011, n. 111 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) all’art. 19 (Razionalizzazione della spesa relativa all’organizzazione scolastica) co. 11 si è previsto “L’organico dei posti di sostegno è determinato secondo quanto previsto dai commi 413 e 414 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, fermo restando che è possibile istituire posti in deroga, allorchè si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica. L’organico di sostegno è assegnato complessivamente alla scuola o a reti di scuole allo scopo costituite, tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili; la scuola provvede ad assicurare la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe. A tale fine, nell’ambito delle risorse assegnate per la formazione del personale docente, viene data priorità agli interventi di formazione di tutto il personale docente sulle modalità di integrazione degli alunni disabili. Le commissioni mediche di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di valutazione della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all’assegnazione del docente di sostegno all’alunno disabile, sono integrate obbligatoriamente con un rappresentante dell’INPS, che partecipa a titolo gratuito.”

Anche a livello legislativo, dunque, è stata assicurata all’alunno con disabilità grave il sostegno a “cattedra c.d. piena”.

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LA CONDOTTA DISCRIMINATORIA ex L. 67/2006 : discriminazione c.d. “indiretta” per la riduzione di orario di cattedra di sostegno per i minori handicappati in concreto inadeguata al “rispetto del nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati” (tutti handicappati certificati di gravità ex art. 3 co. 3  L. 104/92 in assenza di una corrispondente identica contrazione della fruizione del diritto allo studio anche per tutti gli altri studenti normodotati”.

Alla stregua dei richiamati principi costituzionali, dunque, si inserisce la L. 1.3.2006 n. 67.

La legge  1.3.2006, n. 67 («Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni»), infatti,  con espresso richiamo all’art. 3 Cost., intende promuovere «la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all’art. 3, l. 5.2.1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali» (art. 1, 1° co.),

Dopo aver enunciato la nozione di discriminazione diretta e indiretta (art. 2: «1. Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. / 2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. / 3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. …»), la l. 1.3.2006, n. 67 prevede uno speciale strumento riconducibile alla tutela inibitoria, modellato sul procedimento contro gli atti e i comportamenti discriminatori nei confronti degli stranieri (art. 44, t.u. immigrazione, approvato con d.lg. 25.7.1998, n. 286), ad oggi disciplinato dall’art. 28 DLT 01/09/2011, n. 150, il quale prevede la competenza derogatoria e speciale del Tribunale del luogo di residenza del ricorrente (oltrechè – a rafforzare il criterio della “prossimità della difesa” – anche quello della possibilità di questi ultimi di difendersi personalmente).

La l. n. 67/2006 prevede dunque un assoluto divieto di discriminazione in danno delle persone disabili – già introdotto in precedenza nel campo del diritto del lavoro dal d.lg. n. 216/2003 – per favorire quanto più possibile, in attuazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito nell’art. 3 Cost., il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali; nella sentenza n. 80 del 2010 – come detto – la Corte Costituzionale individua anche il limite della discrezionalità legislativa in tale materia nel “rispetto del nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati”. E’ fuor di dubbio che il predetto limite  debba trovare applicazione anche con riferimento all’attività (amministrativa od anche solo di fatto) della pubblica amministrazione che vada ad incidere sul diritto all’istruzione dei disabili.

Ora, secondo l’insegnamento della Consulta, “il diritto del disabile all’istruzione si configura come un diritto fondamentale” il cui esercizio è assicurato tramite “misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d’istruzioneinsieme agli altri studenti normodotati e che “tra le varie misure previste dal legislatore viene in rilievo quella del personale docente specializzato, chiamato per l’appunto ad adempiere alle ‘ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno’ a favore degli alunni diversamente abili”, ne viene che la scelta discrezionale dell’amministrazione scolastica di ridurre le ore di “sostegno” agli studenti disabili è idonea a concretare una discriminazione c.d. indiretta, vietata dalla l. n. 67 del 2006, ogni qual volta essa non si accompagni ad una corrispondente identica contrazione della fruizione del diritto allo studio anche per tutti gli altri studenti normodotati e risulti in concreto inadeguata al “rispetto del nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati”.

Conseguentemente diventa fondamentale verificare – ai fini della sussistenza o meno della condotta discriminatoria c.d. “indiretta” –  se, a fronte delle prospettate/dichiarate  carenze di bilancio dell’amministrazione scolastica, l’amministrazione medesima abbia proporzionalmente ridotte le ore di insegnamento per i normodotati in misura identica alla riduzione operata  per le persone con handicap. Solo in questo caso – una riduzione identica e proporzionale (che avrebbe determinato un po’ di meno ore per tutti e, forse, salvaguardato le riferite esigenze di bilancio) delle ore di cattedra tanto per i normodotati, quanto per gli ipodotati – avrebbe consentito di parlare di scelta non discriminatoria. Viceversa, così non è stato,  posto che non consta che gli alunni normodotati abbiamo subito contrazione di orario di insegnamento o riduzione di ore di cattedra.

In questo senso, anche recentemente il Tribunale di Milano (sent. 10.1.2011) per il quale “nel sindacare se la scelta delle amministrazioni scolastiche possa rientrare nella legittima discrezionalità amministrativa – magari dettata da esigenze di bilancio – o concreti invece un’illecita discriminazione indiretta ai danni degli studenti disabili occorre dunque verificare se la riduzione delle ore di “sostegno” in precedenza garantite agli studenti disabili trovi una corrispondente contrazione di didattica per gli studenti non svantaggiati, in modo che l’esercizio del “diritto allo studio” sia stato parimenti “ridotto” per tutti gli studenti e non si sia invece verificata un’indiretta discriminazione solo per gli studenti disabili. ….  Dal momento che la riduzione delle ore di sostegno agli alunni disabili ha indubbiamente comportato una contrazione del loro diritto fondamentale all’istruzione, la scelta della pubblica amministrazione, finendo per incidere negativamente solo sulle situazioni giuridiche soggettive dei disabili, concreta un’illecita discriminazione indiretta a loro danno”[3].

Nel caso di specie, pertanto,   la riduzione delle ore di sostegno di cui gli alunni disabili  (tutti, peraltro,  affetti da disabilità “grave”) usufruivano nel precedente anno scolastico  non potrà essere astrattamente giustificata dall’amministrazione pubblica con una corrispondente riduzione del diritto allo studio anche degli altri studenti normodotati (i quali hanno continuato a godere delle medesime ore di insegnamento), bensì unicamente su asserite ragioni di contabilità. Appare incontestabile dunque,  che in conseguenza della riduzione delle ore di sostegno gli alunni disabili siano venuti a trovarsi in un’ obiettiva situazione di svantaggio rispetto a quella degli altri alunni, al punto che alcuni degli alunni ricorrenti – pur certificati di disabilità grave –  sono di fatto “costretti” a frequentare meno ore di lezione degli altri, proprio per l’assenza dell’insegnante di sostegno che la scuola non è in condizione di fornire.

Va dunque affermata la natura indirettamente discriminatoria della scelta amministrativa lamentata dagli istanti nell’atto introduttivo, con il conseguente ordine all’amministrazione pubblica statale e agli istituti scolastici presso cui sono iscritti la cessazione della condotta discriminatoria mediante il ripristino dell’orario scolastico pieno o, quantomeno, il ripristino delle ore di sostegno garantite a ciascun alunno disabile nel precedente anno scolastico.

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RISARCIMENTO DEL DANNO

La sentenza in commento pronuncia anche in punto di risarcimento del danno per effetto della condotta discriminatoria in denuncia.

Non vi è dubbio, infatti, il grave danno – in termini di cambiamento in pejus della propria qualità della vita – che consegue al bambino, con già gravi problemi fisio-psichici,  nel  vedersi anche compromessa la componente educativo-scolastico-funzionale con l’attribuzione di un orario di sostegno largamente inferiore alle necessità (in assenza di un efficace apporto educativo, infatti, la scuola diverrà nulla piu’ che un “parcheggio” per questa categoria di sfortunati utenti; le chanches di migliorare la propria condizione si ridurranno progressivamente, così come pure le qualità e le aspettative di vita …).

Si tratta di un danno, tuttavia, difficile da provare e, fors’anche e prima ancora, di descrivere.

Quanto alla prova del danno, a carico del ricorrente danneggiato graverà, l’onere della dimostrazione della concatenazione degli eventi: ossia della circostanza che la vittima svolgeva una certa attività o godeva di un certo status e che la stessa non l’ha più potuta svolgere o godere a seguito della condotta (illecita o, quantomeno, illegittima) del danneggiante.

Resta, evidentemente, difficile connotare nel minore handicappato e scolarizzato la situazione ante compromessa (con orario pieno) rispetto a quella attuale di compromissione (con orario ridotto).

Va, peraltro, evidenziato che la richiesta di una specifica descrizione del danno – ovviamente finalizzata alla sua prova – non potrà mai  tradursi nell’occasione  per rigettare la domanda di ristoro. Non si può non considerare, infatti, che in determinati frangenti,  il comportamento illecito del danneggiante è destinato a produrre, in capo alla vittima, conseguenze dannose alquanto prevedibili (nell’ordine naturale delle cose e degli eventi), le quali una volta dedotte non abbisognano di specifica prova. In questi casi, stante l’immaterialità del bene tutelato, soccorre il ruolo dei mezzi di prova presuntivi (la cui rilevanza  la stessa Corte di Cassazione, nelle note SS.UU di San Martino, non ha mancato di evidenziare). Pertanto, tutte le volte nelle quali le compromissioni esistenziali scaturite dalla lesione della posizione tutelata siano evidenti, il rigido ossequio al principio processuale della domanda (iuxta alligata e probata) sarà destinato a figurare quantomeno ultroneo. In altri termini, allorché un determinato avvenimento genera, di solito, un determinato evento, non figurerà ragionevole chiedere a colui che è interessato alla sua dimostrazione, una rigorosa attestazione di esso. Si potrà ipotizzare semmai che sia il controinteressato, in applicazione dell’art. 2697, comma 2°, cod. civ., a dover dare la prova del fatto impeditivo, modificativo o estintivo di quell’evento dannoso. Al contrario, allorché il danno esistenziale assuma un contenuto strettamente individuale, esso dovrà essere senz’altro oggetto di prova a carico del danneggiato, ai sensi del comma 1° della disposizione appena citata.

Del resto va ricordato che il ragionamento, secondo cui il danno non è mai in re ipsa, ma può essere talora in re ipsa la prova, è costantemente utilizzato dalla Suprema Corte in materia di risarcimento. Ad esempio, con riguardo al  danno morale da irragionevole durata dei processi: dalla Cass.SS.UU. , infatti, è stato affermato che, sulla base dell’id quod plerumque accidit, si deve ritenere che la durata del processo oltre un ragionevole termine sia produttiva (in genere) di ansia, di patemi d’animo, di sofferenza morale e, quindi, di danno non patrimoniale.

Nei casi analoghi a quello di cui si discute, infatti, non si può NON riconoscere che il minore disabile, portatore di handicap grave, vanta un diritto all’integrazione didattica, e alla necessità che le attività integrative di valenza socio educativa (e tra queste il supporto individualizzato a favore del soggetto assistito prestato dall’educatore) siano prestate con modalità idonee a realizzare lo sviluppo della personalità. Orbene, alla luce di quanto illustrato poco sopra, le conseguenze negative destinate a derivare dalla mancanza della presenza stabile di un educatore di sostegno (ossia l’interruzione, o comunque il rallentamento in via generale, del processo di promozione e integrazione del disabile) saranno, in frangenti del genere, da ascriversi tra quelle le conseguenze per c.d. “standardizzate” di danno, ossia conseguenze dimostrabili cioè anche sulla base di presunzioni una volta allegata la violazione di diritti costituzionalmente garantiti (quale quello all’istruzione del disabile).

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LA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO in materia di comportamenti discriminatori della P.A. –  la non applicabilità del c.d. Foro Erariale –

La sentenza annotata, altresì, merita segnalazione per avere affrontato due ulteriori tematiche costantemente agitate dalle amministrazioni scolastiche resistenti, ossia la questione della giurisdizione e quella della competenza del foro erariale.

Sotto il profilo della GIURISDIZIONE, la difesa dell’Amministrazione basa l’assunto della  giurisdizione della A.G.A. Sull’osservazione secondo cui l’introduzione dello speciale procedimento ex art. 3 l. 67/2006 non potrebbe avere influenza sulle attribuzioni giurisdizionali della G.A.,  in relazione alla posizione soggettiva del privato con riguardo al singolo procedimento amministrativo (di assegnazione dei docenti di sostegno)  e dei poteri esercitati dalla p.a. nell’ambito dello stesso (relativamente  alle assegnazione ed alle dotazioni orarie).

Con riferimento all’ipotesi di specie, l’amministrazione sostiene – infatti –  che l’erogazione della prestazione scolastica sarebbe pur sempre un “servizio pubblico”;  come tale esso sarebbe soggetto ai principi ed alle regole proprie dell’azione amministrativa a fronte del quale la posizione del privato sarebbe unicamente quella di interesse legittimo azionabile solo avanti alla G.A.  Cosicchè per il solo fatto che la rimozione della dedotta condotta discriminatoria a danno degli alunni disabili abbia ad impingere con l’esercizio di pubblici poteri nell’organizzazione del servizio scolastico, farebbe scattare comunque la giurisdizione del Giudice Amministrativo.

Questo tipo di impostazione – in realtà nulla piu’ che suggestiva – è del tutto da disattendere, così come correttamente ha fatto il Giudice Padova.

In primo luogo, per l’esistenza di un dato normativo insopprimibile, che è costituito tanto dal disposto dell’art. 28 comma 1   DLT 01/09/2011, n. 150 (che dispone la trattazione con il rito sommario di cognizione ex art. 702bis cpc di tutte le controversie in materia di discriminazione); quanto dal contenuto del comma 2 dell’art. 28  DLT cit. (il quale afferma la competenza del TRIBUNALE del luogo di domicilio del ricorrente). Evidentemente, non può essere contestato che il legislatore abbia individuato nel Giudice ordinario piu’ prossimo al discriminato (ossia il Giudice del luogo del domicilio dello stesso) il Giudice naturale. E che questo abbia a valere anche nei confronti della P.A. è sempre lo stesso legislatore a sostenerlo quando a al comma V dell’art. 28 DLT cit. prevede : “ con l’ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l’ente collettivo ricorrente”. 

Sotto un secondo profilo, è lo stesso Giudice regolatore della Giurisdizione a dare sostegno in termini per c.d. di “teoria generale”. Invero con sentenza 7186 del 30-3-2011 le Sezioni Unite della Cassazione Civile hanno affermato  (sia pure n tema di azione ai sensi dell’art. 44 del T.U. sull’immigrazione, alla quale tuttavia si richiama espressamente l’art. 3 della L. 67/2006) che il legislatore, al fine di garantire parità di trattamento e vietare ingiustificate discriminazioni per “ragioni di razza ed origine etnica” ( e per quanto ci riguarda per “ragioni di abilità”), ha configurato una posizione di diritto soggettivo assoluto a presidio di un’area di libertà e potenzialità del soggetto, possibile vittima delle discriminazioni, rispetto a qualsiasi tipo di violazione posta in essere sia da privati che dalla P.A., senza che assuma rilievo, a tal fine, che la condotta lesiva sia stata attuata nell’ambito di procedimenti per il riconoscimento, da parte della P.A., di utilità rispetto a cui il privato fruisca di posizioni di interesse legittimo. In questi casi, infatti, – continua la Suprema Corte –  resta assicurata una tutela secondo il modulo del diritto soggettivo e con attribuzione al giudice del potere, in relazione alla variabilità del tipo di condotta lesiva e della preesistenza in capo al soggetto di posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo a determinate prestazioni,  non già di annullare l’atto amministrativo od organizzativo o, comunque, intervenire nelle scelte organizzatorio-disciplinari della P.A, ma  di “ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti”.

Ne consegue che è, per l’appunto,  devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario l’azione promossa contro l’amministrazione scolastica che ha deciso di tagliare il supporto degli insegnanti di sostegno (per un numero significativo di ore e senza che parimenti ciò accadesse nei confronti degli altri alunni c.d. abili) agli alunni c.d. “disabili”.

Il fatto che poi l’amministrazione dovrà adottare – per l’effetto dell’ordine giudiziale di rimozione e/o adeguamento della condotta –  talune misure organizzative per rimuovere la rilevata discriminazione,  è fatto che è successivo ed esterno al giudizio di accertamento della  condotta discriminatoria  (che fonderà la giurisdizione della G.A. ovvero del A.G.O. a seconda che si contesti la legittimità dei provvedimenti medesimi o l’omesso od il solo elusivo adeguamento all’ordinanza  del G.O.).

Il  Giudice patavino, inoltre disattende l‘eccezione di competenza del foro erariale  (art. 28 cpc) sollevata dalla Avvocatura distrettuale.  Si tratta, invero, di eccezione nel merito infondata, a fronte del letterale disposto dell’art. 28 co. 2 dlt 150/2011 che indica espressamente, da un lato, la competenza del Giudice del domicilio del ricorrente (incontestabilmente il Tribunale di Padova); dall’altro lato, il comma 3 dell’art. 28 cit., il quale consente che le parti stiano in Giudizio personalmente.

Conseguentemente, non può dubitarsi che il disposto dell’art .28 cit. introduca per i procedimenti in materia di discriminazione una regola processuale che è apertamente e necessariamente derogatoria e speciale rispetto al disposto del foro erariale. Come si può infatti conciliare l’affermata non necessità patrocinio legale obbligatorio – posto che le parti possono stare in giudizio personalmente – con il foro erariale (che impone che si vada dal Giudice del luogo ove ha sede l’avvocato dell’Amministrazione) ? E d’altronde,  come potrebbe affermarsi la regola del foro erariale, quando una  norma successiva espressamente individua (indicando una competenza territoriale speciale) il foro del domicilio del ricorrente?

Peraltro ed a tutto concedere,  il semplice fatto che sia convenuta una amministrazione dello stato non introduce automaticamente la competenza territoriale del foro erariale. Vero è, infatti, che non è punto escluso che la disciplina del foro erariale sia derogata, per effetto di specifiche disposizioni del legislatore (controversie previdenziali, di opposizione a sanzioni amministrative, di disciplina dell’impugnazione, di convalida di sfratto), ogni volta che sia manifesto l’intento di determinare la competenza per territorio sulla base di elementi diversi ed incompatibili rispetto a quelli risultanti dalla regola del foro erariale e, perciò, destinati a prevalere su questa (cfr. Cass. civ. Sez. Unite Ord., 02/07/2008, n. 18036).

La stessa giurisprudenza della Suprema Corte, peraltro, ha affermato che tale elemento diverso e predominante sia, ad esempio, da rinvenire nel criterio della “prossimità“,  rimasta attuale per il campo delle sanzioni (amministrative) in cui la competenza è quella del “luogo in cui è stata commessa la violazione” (cfr. Cass. civ., 18/11/2010, n. 23285).

Analogamente nel caso di specie, è il legislatore ad avere individuato come criterio prevalente il criterio di “prossimità” al luogo della commessa violazione (per solito coincidente con il luogo di domicilio della vittima della discriminazione); invero, appare del tutto ragionevole che a decidere sulla esistenza o meno della discriminazione commessa, per esempio nelle valli bellunesi, sia un giudice “alpino”, piuttosto che “lagunare”.

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CONCLUSIONI

La sentenza merita condivisione per la chiarezza con cui vengono affrontate e risolte una molteplicità di questioni (di giurisdizione, di competenza, di merito per c.d. Discriminatorio … ) con riguardo ad un tema così delicato come la tutela della persone meno fortunate. Un invito ad una costante attività di monitoraggio per evitare  che attività di organizzazione (anche, tutto sommato,banali … come la predisposizione di un calendario scolastico) possano occultare attività piu’ o meno consapevoli, più o meno occulte  di discriminazione.

 



[1]        Sull’illegittimità dell’art. 28, comma 3°, della l. 30.3.1971, n. 118, in quanto si limita a prevedere che “sarà facilitata” anziché disporre che “è assicurata” la frequenza alle scuole medie superiori ai soggetti portatori di handicap, ossia affetti da menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali comportanti sensibili difficoltà di sviluppo, apprendimento e inserimento nella vita lavorativa e sociale, rendendo così doverosa l’adozione delle necessarie misure di integrazione e sostegno vedi  Corte cost., 8.6.1987, n. 215, in Giur. cost., 1987, I, 1615, e in Foro it., 1987, I, 2935; mentre sull’incostituzionalità dell’art. 2, commi 413° e 414°, della l. n. 244/2007, nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno ed esclude la possibilità, già contemplata nell’art. 40, comma 3°, della l. n. 449/1997, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente: Corte cost., 22.2.2010, n. 80, in Foro it., 2010, I, 1066.

 

[2]        In ordine alla previsione degli insegnanti di sostegno ed alla posizione da riconoscere in proposito al soggetto disabile, v., tra le altre, T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, 17/11/2010, n. 33536 Giur. It., 2011, 4, 960 nota di COMINO secondo il quale è illegittimo il provvedimento che neghi a un minore disabile l’assistenza di sostegno per un numero di ore almeno pari a un’intera cattedra; principio poi affermato in tutta in una serie di pronunce successive del medesimo Tribunale Amministrativo vd. Da ultime  T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 06-07-2011, n. 5959; Cons. di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2010, n. 2231, in Giur. Cost., 2010, 1827, con nota di Madeo, Insegnante di sostegno: possibile presenza per tutte le ore di frequenza scolastica dello studente disabile grave; ex multis T.A.R. Sardegna, Cagliari, 30 ottobre 2010, n. 2457, in www.giustizia-amministrativa.it; Id. Calabria, Catanzaro, 7 ottobre 2010, n. 2577, ivi; Id. Campania, Napoli, 20 aprile 2010, n. 2054, ivi; Id. Puglia, Bari, 25 giugno 2009, n. 1616, ivi; Id. Campania, Napoli, 28 gennaio 2009, n. 467, ivi; in senso contrario, ma la decisione non appare corretta anche in virtù del successivo intervento della Corte cost. con la sentenza 26 febbraio 2010, n. 80, in Foro Amm. CdS, 2010, 4, 797, solo T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, 27 febbraio 2009, n. 90, in www.giustizia-amministrativa.it, poi riformata dal Cons. di Stato, 21 aprile 2010, n. 2231, cit; ed ancora Cons. Stato, VI sez., 20.5.2009, n. 3104, in Rep. Foro it., 2009, voce “Istruzione pubblica”, n. 295, secondo cui con riferimento al diritto del minore disabile alla continuità didattica, è necessario che le attività integrative di valenza socio educativa vengano prestate con modalità idonee a realizzare lo sviluppo della personalità dell’alunno; Trib. Reggio Calabria, 9.4.2007, in Fam. e min., 2007, 73, per cui la situazione giuridica soggettiva del disabile che necessita del supporto di personale di sostegno scolastico assume i connotati del diritto soggettivo (inviolabile e tutelato dalla Costituzione) e non dell’interesse legittimo pretensivo che pertanto non può essere condizionato dall’esercizio dei poteri di organizzazione della scuola pubblica attribuiti alla p.a.; Cons. Stato, VI sez., 21.3.2005, n. 1134, in Rep. Foro it., 2005, voce “Istruzione pubblica”, n. 123, secondo cui l’amministrazione scolastica ha il potere-dovere di individuare le corrette modalità di realizzazione del diritto al sostegno spettante all’alunno disabile, assicurando per quanto possibile un servizio che sia adeguato in relazione alle patologie sofferte e documentate con l’attribuzione di un numero di ore di insegnamento, da parte di appositi insegnanti specializzati, idonee a realizzare il particolare diritto della persona in stato di disabilità riconosciuto dalla legge; Trib. Venezia, 9.3.2004, in Giur. merito, 2004, 1829, secondo cui il diritto del minore disabile ad avere un insegnante di sostegno non è limitato alla scuola dell’obbligo, ma si estende a tutti i presidî scolastici (nella specie, la scuola d’infanzia); Trib. Bari, 15.10.1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 589, secondo cui la l. 5.2.1992, n. 104 configura, ex artt. 12 e 13, un diritto soggettivo perfetto del portatore di handicap al suo inserimento non solo nella scuola dell’obbligo, ma anche nelle istituzioni scolastiche secondarie ed universitarie, prevedendo gli strumenti idonei al raggiungimento di tale finalità (ivi compresa l’assegnazione di insegnanti di sostegno) ed escludendo in capo alla pubblica amministrazione ogni discrezionalità, non potendosi ravvisare quest’ultima nell’esercizio dei poteri di autoorganizzazione sicuramente inidonei a comprimere un diritto affermato sia dall’art. 34 Cost., sia in via di legislazione primaria (l. 5.2.1992, n. 104, Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

 

[3]         Trib. Milano, 10/01/2011 Fam. Pers. Succ., 2011, 2, 153 La scelta discrezionale dell’amministrazione scolastica di ridurre le ore di “sostegno” agli studenti disabili può costituire discriminazione indiretta ogni qual volta essa non si accompagni ad una corrispondente identica contrazione della fruizione del diritto allo studio anche per tutti gli altri studenti normodotati e risulti in concreto inadeguata al “rispetto del nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati” (il giudice, accogliendo il ricorso ex art. 3, legge 1 marzo 2006, n. 67 ha ordinato alle amministrazioni convenute il ripristino del numero di ore sostegno fornito ai figli dei ricorrenti nell’anno scolastico 2009/2010). si veda il commento di Antonio COSTANZO in  Fam. Pers. Succ., 2011, 2, 153.  L’ordinanza  è stata confermato dal Collegio Tribunale di MILANO con decreto 26.3.11 (n.d.r.) ed altresì in senso analogo si è pronunciato il Tribunale di La Spezia con ordinanza 30.3.11