L’insegnante di sostegno e la sua mobilità: l’equilibrio difficile fra l’interesse meta-individuale all’inclusione dello studente portatore di handicap ed aspirazioni di carriera del docente

di Lorenzo Maratea (Avvocato)

 

Premessa

La materia dell’insegnamento di sostegno rappresenta senza dubbio, un ambito poco sondato a livello giuridico e difficile da affrontare a livello di politica del diritto[1].

L’evidente preminenza dell’interesse dello studente portatore di handicap ha lasciato in penombra la posizione del docente facendo sì che la discussione, sul corredo di diritti ed obblighi connessi alla funzione, sia sovente condizionata da valutazioni, apertamente o nascostamente, connesse al tema dell’handicap ed alla sua valutazione sociale[2].

Scopo dello scritto è analizzare alcune criticità della disciplina legale e contrattual-collettiva del rapporto di lavoro degli insegnanti di sostegno nel campo della mobilità professionale su base volontaria[3]; con specifico riguardo (I) alla regolamentazione del passaggio su posti comuni alla luce della prassi amministrativa e della giurisprudenza, (II) al confronto fra le soluzioni e gli orientamenti sviluppati in sede di merito e le modifiche che il Governo ha adottato[4].

Si cercherà, in particolare, di comprendere se, ed in che modo, la previsione di specifiche norme per il personale assegnato alla funzione docente di sostegno sia coerente con il relativo percorso formativo e professionale, tanto più che tale contingente, tradizionalmente, non ha mai formato una classe professionalmente distinta rispetto a quella assegnata alla funzione docente su posto comune, essendone, al contrario, parte, come dimostrano le stesse previsioni del Legislatore[5].

Il punto è cruciale in quanto solo comprendendo la presenza, nell’attuale scenario, di una fisiologica e non occasionale aspirazione al passaggio dalla funzione cosiddetta di sostegno, a quella di docente su posto comune, è possibile riflettere accuratamente sulle soluzioni adottate dalla giurisprudenza a fronte delle prassi amministrative che, nel tempo, sono state sviluppate dal Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca[6]. Si tratta, dunque, di ragionare sullo statuto del docente di sostegno valorizzando adeguatamente sia la crucialità della funzione e, quindi, la basilare caratura dell’interesse oggetto di tutela (l’istruzione della persona portatrice di handicap), sia le forzature di una sistema che, in talune ipotesi, è immotivatamente penalizzante per il docente e per le sue aspettative di carriera[7]. Si ha, infatti, la sensazione che, a livello di prassi amministrativa, stia prevalendo una tendenza a comprimere la posizione dell’insegnante di sostegno per  neutralizzare gli endemici problemi organizzativi che caratterizzano l’istruzione pubblica e che – nel delicato settore in esame – fanno sentire maggiormente il loro rilievo. Un esame della disciplina complessiva induce a ritenere che tale distorsione sia talora avvenuta e avvenga per il tramite di operazioni interpretative non sempre convincenti. Paradigmatico appare l’improprio appello al principio della continuità didattica e, quindi, alle esigenze dell’utenza che, come parte attenta della giurisprudenza ha notato, sono evocate solo formalmente, ma sostanzialmente disattese visto che nessuna norma sancisce il diritto soggettivo perfetto del singolo studente a svolgere (in tutto od in parte) il proprio percorso di studi con uno specifico docente di sostegno[8].

Il potere-dovere della P.A. di ottimizzare il supporto degli studenti disabili  – da conseguire attraverso una adeguata gestione dell’avvicendamento dei docenti di sostegno e la prevenzione di repentine e drastiche riduzioni dell’organico, ineludibile fonte della discontinuità del servizio – continuerà ad essere perseguito, nonostante le modifiche apportate al quadro normativo dai decreti di aprile, insistendo in una interpretazione forzata di taluni istituti (e.g. la nomina prioritaria su posto di sostegno, il depennamento, il vincolo quinquennale) propri del diritto del lavoro pubblico, al duplice  scopo di promuovere l’accesso e limitare la mobilità in uscita del personale addetto all’insegnamento di sostegno[9]. Non a caso i citati istituti sono stati posti sotto la lente di ingrandimento del giudice ordinario che ha “smussato gli angoli” di poteri dalla valenza e dagli effetti troppo sbilanciati a favore del datore pubblico e, quindi appartenenti a una logica autoritativa in via di progressivo smantellamento.

 

L’approccio decisorio del giudice di merito sul tema della mobilità professionale.

La propensione del Giudice Ordinario ad un approccio tendenzialmente paritetico dei rapporti giuridici ha introdotto nel campo in esame elementi correttivi della rigidità con cui la P.A. ha inteso esercitare talune prerogative. Del resto, l’inerenza del tema della mobilità professionale alla fase esecutiva del contratto (anche quando coinvolto è il tema del depennamento), e non a quella genetica, ha radicato la giurisdizione della giustizia ordinaria. La materia è connotata, per sua natura, da atti assunti dalla P.A. con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato e che, più in generale, è espressione di quel “diritto all’assunzione” devoluto alla cognizione del Giudice del Lavoro in quando disancorato dalle graduatorie formatesi all’esito di procedure concorsuali. È per questa ragione che i tre profili che, di qui a poco, si esamineranno (i.e. disciplina processuale della nomina prioritaria, accettazione e rifiuto del ruolo su posto di sostegno ed, infine, vincolo quinquennale) hanno quale ideale trait d’union la stretta inerenza alla giurisdizione ordinaria nel cui alveo sono state elaborate le soluzioni ai principali problemi applicativi suscitati dai temi in discorso.

 

Il blocco sulla funzione di sostegno. La nomina prioritaria

Il primo tema problematico concerne la cosiddetta nomina prioritaria su posto di sostegno[10], istituto che, all’atto pratico, è stato funzionale a “bloccare” taluni insegnanti, con determinati requisiti, sulla funzione di sostegno.

Tralasciando le modifiche introdotte dal d.lgs. 13 aprile 2017 n. 66, ognun vede come nella nomina prioritaria prevalga più il limite alla posizione soggettiva del docente (non a caso la norma è declinata in chiave di obbligo per l’insegnante[11]) che la facoltà, specie se si considera la non occasionale aspirazione del docente di sostegno nel sistema italiano a chiedere, ed in determinati casi, ottenere la mobilità verso un posto di tipo comune[12].

Va, quindi, fatta una prima fondamentale distinzione fra docenti soggetti alla cosiddetta nomina prioritaria e soggetti che, viceversa, ne sono esenti.

La nomina prioritaria è prevista dal D.M. n. 21 del 9 febbraio 2005, il cui  comma 9 dell’art. 7 stabilisce che “i docenti di cui al precedente art. 1 lettere a), b) e c) e art. 3 ricorrendone le condizioni debbono stipulare contratti a tempo indeterminato e determinato, con priorità su posto di sostegno[13].

Chiara è la ratio della norma: la funzione dell’insegnamento di sostegno – alle condizioni di cui al citato comma 9 – viene sostenuta “in entrata” dal Legislatore attraverso la previsione di limiti di accesso alla funzione concorrente, ossia quella di insegnamento su posto comune.

Non vi sono precedenti giurisprudenziali di rilievo sui profili di diritto sostanziale della nomina prioritaria, ma sembra che la principale questione abbia natura processuale ed attenga al riparto dell’onere della prova nei casi in cui il docente, che rivendichi il diritto all’immissione su posto comune, contesti la propria soggezione alla nomina prioritaria. La nomina prioritaria sembra, infatti, integrare una eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio e, quindi, avente a oggetto un fatto estintivo della pretesa. Come tale, è parte dell’onere della difesa erariale provare la soggezione del docente alla nomina prioritaria e non il contrario. Non sempre a livello di prassi applicativa tale tema è preso in adeguata considerazione, ma è oggettivamente incontrovertibile che la priorità – vista dal punto di vista di un soggetto interessato al passaggio al posto comune – dia luogo a un fatto impeditivo della sua pretesa: un limite che non è, quindi, suo onere dimostrare.

 

Accettazione e rifiuto del ruolo su posto di sostegno.

Si è già detto che non tutta la platea dei docenti di sostegno è soggetta alla nomina prioritaria.

Per coloro che non rientrino in tale ambito si profilano altre incertezze.

La prima può condensarsi nell’interrogativo se il rifiuto del docente (non soggetto a nomina prioritaria) all’immissione in ruolo su posto di sostegno, possa comportare effetti abdicativi per l’insegnante rispetto alla posizione vantata nelle graduatorie relative a posto comune.

Un secondo dubbio riguarda l’ipotesi opposta dell’accettazione del ruolo su posto di sostegno. In tal caso, ci si è domandati se ne possano conseguire pregiudizi rispetto alle aspettative di mobilità verso il posto comune, cristallizzando la collocazione su posto di sostegno.

Entrambe le questioni incrociano evidentemente il potere della P.A. di eliminare, a determinate condizioni, il nominativo di uno o più soggetti da un elenco di aspiranti a un ruolo (il cosiddetto depennamento).

Vale notare che, sul tema del depennamento/cancellazione, mentre i decreti di aprile 2017 hanno con chiarezza inibito la titolarità di più posizioni utili in graduatoria[14]; non altrettanta chiarezza connotava il quadro normativo anteriore, come hanno dimostrato rilevanti pronunce[15].

La giurisprudenza anteriore alla Legge 107/2015 – stigmatizzando la discutibile prassi del MIUR del depennamento del docente – ne aveva sancito il diritto alla re-immissione in ruolo su posto comune, dimostrando come il rifiuto dell’immissione su posto di sostegno fosse stato trattato dalla P.A. con una misura (il depennamento, appunto) non contemplata dalla legge e, quindi illegittima.

Discorso diverso per l’ipotesi del docente che, dopo aver accettato il ruolo su posto di sostegno, abbia manifestato l’aspirazione alla mobilità verso posto comune.

Sul punto, vale, anzitutto, notare che la cosiddetta Buona Scuola (v. art. 1 comma 104) è intervenuta stabilendo, con riferimento al cosiddetto piano straordinario, l’esclusione dal piano straordinario di assunzioni del“personale già assunto come docente a tempo indeterminato alle dipendenze dello Stato, anche se presente nelle graduatorie di cui al comma 96 lettera a) e b), e indipendentemente dalla classe di concorso, dal tipo di posto, e dal grado di istruzione per i quali vi è iscritto o in cui è assunto”. Una previsione di identico tenore, ma destinata a regolare il “sistema ordinario di reclutamento dei docenti” e, quindi, ad “applicarsi «comunque» ai concorsi pubblici per titolo ed esami dopo il completamento del piano”  è stata, invece annullata dalla Consulta[16].

Vale, tuttavia, notare che la nuova norma posta dal comma 104, priva di efficacia retroattiva, fa salvo quanto previsto dalla disciplina di cui al T.U.. In relazione a tale ipotesi, non manca una prassi amministrativa nel senso del depennamento del docente come conseguenza della sua accettazione.

Anche tale soluzione è stata oggetto di esame a livello giurisprudenziale conclusosi con la declaratoria di illegittimità del depennamento[17].

Sembra, dunque, che il vero limite sia quello del cosiddetto vincolo quinquennale di permanenza sul ruolo come docente di sostegno che, negli ultimi anni, ha fatto emergere una “penalizzazione” del tutto peculiare a carico dei docenti di sostegno precari cui la giurisprudenza di merito, più attenta ai principi comunitari, ha posto rimedio.

 

Il vincolo quinquennale.

Il vincolo quinquennale, come la nomina prioritaria, assolve una funzione limitativa delle prerogative del docente di sostegno.

Il  discorso al riguardo è, tuttavia, più ampio rispetto a quello valevole per la nomina prioritaria, complice anche il fatto che vi è maggiore ricchezza di contributi giurisprudenziali.

La peculiarità del settore rende particolarmente evidente l’esigenza del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca di contare su di un contingente stabile di docenti specializzati che soltanto un congruo vincolo di permanenza, può garantire, ma ciò che si intende esaminare è se la norma regolatrice di tale vincolo sia stata e sia correttamente applicata.

In base all’art. 12 del D.P.R. 970/1975: “Il passaggio del personale direttivo e insegnante dalle scuole e istituzioni di cui al precedente art. 1 ai corrispondenti posti o cattedre delle scuole e istituti normali può essere disposto soltanto nei confronti di coloro che abbiano prestato almeno cinque anni di servizio effettivo di ruolo nelle predette scuole e istituzioni con particolari finalità, sempreché siano in possesso dei requisiti richiesti per l’accesso ai ruoli cui aspirano.  

Il passaggio predetto è disposto secondo le modalità e nei limiti di cui al secondo comma dell’art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417”. In forza dell’art. 127 comma 2 d.lgs. 297/1994 “I docenti di sostegno fanno parte integrante dell’organico di circolo ed in esso assumono la titolarità. Essi, dopo cinque anni di appartenenza al ruolo dei docenti di sostegno, possono chiedere il trasferimento al ruolo comune, nel limite dei posti disponibili e vacanti delle dotazioni organiche derivanti dall’applicazione dei commi 5, 7 e 8 dell’articolo 133 del presente testo unico”[18].

Anche in questo caso il rigore della prassi amministrativa è stato vigorosamente attenuato da impostazioni attente a evitare che il “vincolo” esorbiti dai limiti imposti dal Legislatore.

Vale, del resto, notare come il vincolo di permanenza appaia saldamente ancorato a una concezione pubblicistica del rapporto di lavoro e, quindi, di difficile armonizzazione con il percorso intrapreso dal Legislatore di parificazione in chiave privatistica delle parti del rapporto.

Vanno, quindi, salutate con favore le tante pronunce di merito che hanno inteso, anche al prezzo dell’inevitabile disapplicazione di norme interne disarmoniche con la disciplina comunitaria del contratto a termine, valorizzare i periodi di svolgimento del servizio in fase anteriore al ruolo, ossia a tempo determinato, sull’assunto, assolutamente condivisibile, della preminenza del principio di non discriminazione fra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato[19].

 

Conclusioni.

L’insegnamento di sostegno esprime in modo eloquente la tensione esistente fra due opposte culture e conseguenti politiche del diritto del nostro ordinamento.

Da una parte, si colloca indubbiamente l’avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro, ma, sul fronte opposto, si staglia, contrastante, l’interesse della P.A. datrice a continuare a servirsi, anche praeter legem di un corredo di strumenti oggettivamente pubblicistici (su tutti il vincolo di permanenza) che mal si concilia con la richiamata natura paritetica del rapporto fra le due parti.

Il punto di equilibrio non può che trovarsi in una esegesi corretta delle norme che eviti che poteri per loro natura “eccentrici”, e poco coerenti con la logica di un rapporto fra pari, possano essere impiegati malamente e, quindi, a ulteriore detrimento della posizione del lavoratore.

In parallelo, vi è la necessità che la logica dell’emergenza (autentica linea guida della Buona Scuola e del cosiddetto “Piano straordinario” nel contrasto al precariato storico) non condizioni il momento applicativo. Sebbene sia condivisibile la preminenza dell’interesse alla stabilizzazione (v. Corte costituzionale sent. n. 192/2016) è errato non riconoscere pieno rilievo all’interesse al “miglioramento della […] posizione professionale” da intendersi quale ambizione alla perfetta coincidenza fra posizione lavorativa ambita e posizione lavorativa effettivamente detenuta.

Vi è, dunque, da valutare in tale chiave anche l’ambizione del docente di sostegno al passaggio sul posto comune in linea con quanto persuasivamente affermato in una pronuncia del Giudice amministrativo che ha appunto affermato che “ruolo di sostegno e ruolo per insegnamento comune appaiono significativamente differenziati, sussistendo autonomia tra sostegno e insegnamento comune, di tal che la rinuncia alla assunzione per un posto di sostegno non può ripercuotersi negativamente sulla posizione che l’aspirante ricopre nella graduatoria dell’insegnamento comune”[20].

Questa significativa differenziazione cui si è alluso non corrisponde ad altro che alla (oggettivamente frequente) ipotesi che il passaggio su ruolo comune sancisca il coronamento effettivo del percorso di studi compiuto dal docente. Non si crede di errare se si ritiene corretto che anche simili ambizioni vadano tutelate.

 


 

[1] V. M. Pavone, Valutare gli alunni in situazioni di handicap, Erickson, Trento, 2008; V. altresì A. Di Geronimo, Diritto del lavoro dei docenti della scuola statale, 2012, Milano; interessanti spunti anche in S. Nocera N. Tagliani, La normativa inclusiva nella nuova legge di riforma sulla buona scuola, 2015 Vicalvi (Key Editore).

[2] Eco di questo condizionamento è, per esempio, nella difficoltà di far valere l’interesse del docente al passaggio dal ruolo su posto di sostegno ad uno su posto comune che, talora, è paralizzato dalla impossibilità, anche a livello di dialettica processuale, di presentare tale interesse come degno di tutela senza, al contempo, che la domanda suoni in chiave di allusione al sostegno come una forma di deminutio per la professionalità del docente. Nelle controversie introdotte ex art. 700 c.p.c. è scarsamente ricevuta la tesi secondo cui la perdurante assegnazione del docente alla funzione di sostegno in luogo di quella su posto di tipo comune, possa tradursi in danno alla sfera della professionalità, eppure è ben poco contestabile il fatto oggettivo della lesione potenziale del patrimonio delle competenze.

[3] Quanto alla contrattazione collettiva si rinvia alle previsioni del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per l’anno scolastico 2017/2018.

[4] Cfr. d.lgs. 13 aprile 2017 n. 59 e d.lgs. 13 aprile 2017 n. 66 emanati nell’esercizio della delega di cui alla Legge 13 luglio 2015 n. 107 (cosiddetta “Buona Scuola”) ed, in specie, di quella contenuta ai commi da 180 a 185 dell’art. 1 per una ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno. Per una più ampia ricognizione delle novità introdotte con la Legge 107/2015 si rinvia a V. Capuzza, E. Picozza, N. Spirito, La buona scuola: introduzione alla riforma dell’istruzione italiana, 2016, Torino (Giappichelli). Sul tema delle deleghe, v. altresì S. Nocera N. Tagliani, La normativa cit., pag. 47.

[5] In base al comma III dell’art. 127 del d.lgs. 16 aprile 1994 n. 297, “I docenti di sostegno assumono la contitolarità delle classi in cui operano; collaborano con i docenti del modulo organizzativo di cui all’articolo 121, con i genitori e con gli specialisti delle strutture territoriali, per programmare ed attuare progetti educativi personalizzati; partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse e dei collegi dei docenti

[6] Indicativo di questo “dissidio” è, per esempio, il tema (di recente regolamentato da una circolare dell’USP di Como) della ammissibilità di un’utilizzazione del docente su posto di sostegno per attività di supplenze temporanee.

[7] I valori sanciti dall’art. 1 della Legge 5 febbraio 1992 n. 104 («La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società») costituiscono la ratio di molte delle norme che rendono speciale il regime giuridico del docente di sostegno, ma è degno di tutela l’interesse ad una corretta interpretazione di tale disciplina.

[8] Prova del nove di tale dato è, del resto, nel fatto che nel d.lgs. 13 aprile 2017 n. 66 (quello, come detto che ha attuato la delega in materia di inclusione) non è certo adeguatamente regolamentato il tema della “continuità educativa e didattica” che è affidato alle modeste previsioni dell’art. 14.

[9] Come correttamente evidenziato in una interessante pronuncia di merito (Tribunale Bari 4 agosto 2017, inedita a quanto consta) la “continuità didattica” è un valore che non può essere posto a base del vincolo quinquennale. Va, infatti, ricordato che il CCNL Mobilità (art. 23 comma 9) attribuisce la facoltà ai docenti di sostegno di chiedere – già prima del quinquennio – il trasferimento ad altra sede per analogo posto. Ancora più eloquente sul tema è Tribunale Ravenna 7 marzo 2017; la sentenza è inedita a quanto consta.

[10] Per comprendere il tema si rinvia a quanto previsto al § A.12 dell’Allegato A delle “Istruzioni operative” MIUR Direzione Generale Personale della Scuola.

[11] Indicativo il dettato del § A.12 delle “Istruzioni operative”. Ivi si legge: “Il personale in possesso di titolo di specializzazione sul sostegno […] è obbligato a stipulare contratto a tempo indeterminato e determinato con priorità su posto di sostegno”.

[12] In tema di mobilità professionale si rinvia all’art. 470 del d.lgs. 16 aprile 1994 n. 297 ed alla contrattazione collettiva che ne è scaturita.

[13] L’art. 1 lettera a) contempla «insegnanti di scuola secondaria in possesso del diploma di laurea, del diploma di accademia di belle arti o del diploma ISEF che consentono l’accesso all’insegnamento per il quale si chiede l’ammissione al corso abilitante ai sensi del D.M. 30 gennaio 1998 n. 39 e del D.M. 10 agosto 1998 n. 354, privi della specifica abilitazione all’insegnamento nelle scuole di istruzione secondaria da conseguire con il corso speciale»;

l’art. 1 lett. b) contempla «insegnanti di scuola dell’infanzia e della scuola primaria in possesso del titolo conclusivo del corso di studi dell’istituto magistrale e i diplomati di scuola magistrale privi della specifica abilitazione o idoneità all’insegnamento da conseguire con il corso speciale»;

l’art. 1 lett. c) contempla «insegnanti in possesso di diploma di scuola secondaria superiore, di durata quinquennale che consente l’accesso alle classi di concorso di cui alle Tabelle C e D annesse al D.M. n. 39/1998 nonché i docenti in possesso dei diplomi di scuola secondaria superiore che danno accesso alle classi di concorso 75/A e 76/A di cui alla Tabella A annessa al citato D.M. n. 39/1998 purché privi della specifica abilitazione o idoneità all’insegnamento da conseguire con il corso speciale».

L’art. 3 stabilisce che «i corsi speciali per il conseguimento dell’abilitazione o idoneità nella scuola secondaria saranno svolti:

per ciascuna delle classi di concorso di cui alla Tabella A allegata al D.M. n. 39/1998, non comprese in ambiti disciplinari, indicate nell’unito elenco (Allegato 1);

per ciascuna delle classi di concorso di cui alla Tabella C allegata al D.M. n. 39/1998, non comprese in ambiti disciplinari, indicate nell’unito elenco (Allegato 2);

per gli ambiti disciplinari 1, 2, 4, 5 e 6 e per gli ambiti dal 10 al 20 di cui al D.M. n. 39/1998 indicati nell’unito elenco (Allegato 2); per ciascuna delle classi di concorso di cui alla Tabella D del D.M. n. 39/1998, indicate nell’unito elenco (Allegato 4)»;

[14]  La costituzionalità dell’art. 7 – Graduatorie – del d.lgs. 13 aprile 2017 n. 59 è dubbia.

[15] Le oscillazioni giurisprudenziali dipendono dalla scarsa chiarezza del quadro normativo; indicativa la peculiare ambivalenza dei §§ A.18 e A.19 delle già richiamate “Istruzioni operative”. Non vi è dubbio che, per esempio, il riferimento al “medesimo anno” come orizzonte temporale per l’esercizio della facoltà di accettare una diversa proposta assuntiva abbia dato luogo a interpretazioni diametralmente opposte con buona pace della certezza del diritto.

[16] Da notare la sentenza n. 251 del 6 dicembre 2017 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 110, ultimo periodo della Legge 13 luglio 2015 n. 107.

[17] V. Trib. Napoli sent. n. 6442/2016 del 15 settembre 2016, GDL dott.ssa Bonfiglio.

[18] In tema v. anche § A.22 delle “Istruzioni operative”.

[19] Il tema è evidentemente quello della prevalenza del diritto comunitario e, quindi del dettato della Direttiva 1999/170/CE del 28 giugno 1999. Quanto alla prassi giurisprudenziale, si rinvia a Trib. Milano, Sez. Lavoro, 25 marzo 2016, GDL dott.ssa Di Lorenzo. V. anche Tribunale di Bari, Sezione Lavoro del 4 agosto 2017, inedita a quanto consta.

[20] V. T.A.R. Veneto, 20 dicembre 2007 n. 4078.