Tar Piemonte – Sentenza n. 580 del 28 aprile 2016

Gli allievi DSA non possono pretendere la promozione a tutti i costi

 

Tar Piemonte – Sentenza n. 580-2016

Sempre più frequentemente assistiamo a dibattiti o leggiamo articoli dai quali parrebbe che gli allievi che soffrono di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) siano portatori di diritti tali per cui si debba garantire loro la promozione ad ogni costo. In altri casi vengono accomunati impropriamente ai soggetti portatori di handicap cognitivi, prevedendo anche per loro, nei fatti, dei programmi molto al di sotto di quelli che sono gli obbiettivi minimi disciplinari previsti per la classe.

Le norme sui portatori di DSA o con Bisogni Educativi Speciali sono molte e molto dettagliate, talmente numerose e dettagliate che molti docenti, in alcuni casi per non incorrere in ricorsi, o in altri casi per un errato senso di benevolenza, hanno preferito chiudere un occhio sulle carenze formative riscontrate nei suddetti allievi.

Facendo ciò si viene meno al primario compito educativo e formativo del docente, negando così la possibilità di sviluppare le potenzialità e le capacità dei ragazzi, ma cosa ancora più grave non garantendo loro una effettiva crescita culturale ed umana.

Certamente gli allievi DSA o BES hanno difficoltà che devono essere considerate, difficoltà che hanno bisogno di mezzi compensativi e dispensativi, oltre che di una cosa che non è scritta nelle norme, ovvero della comprensione! comprendere vuol dire considerare le difficoltà della persona, tenerne conto, ma anche cercare di aiutare il soggetto a superarle. L’insegnante che di fronte all’allievo DSA non lotta per superare le sue difficoltà, premiandolo per i miglioramenti ma anche segnalando i mancati progressi, sicuramente non svolge bene il suo compito.

Purtroppo in molti casi vediamo docenti che di fronte a questi ragazzi vengono meno al loro compito evitando di chiedere loro il massimo impegno possibile e valutandoli “diversamente”. Tutto ciò crea nei ragazzi o un senso di frustrazione o un senso di “impunità” che in entrambi i casi li porta allo scarso impegno per migliorarsi. Avendo come unico scopo l’essere promossi e non il “Promuoversi”. Sarebbe utile effettuare uno studio per vedere come crescono quegli allievi DSA che vengono trattati “diversamente”.

Nella mia piccola esperienza posso affermare che molti di tali allievi nell’arco di 3-4 anni di scuola hanno subito una riduzione del quoziente intellettivo di 10-20 punti. Chiaramente questo non è un dato statisticamente attendibile, ma sappiamo che l’intelligenza dei soggetti si mantiene o si sviluppa solo se il soggetto e l’ambiente la “nutrono” con nuove sfide, con nuove conoscenze, con nuovi problemi da risolvere e con nuove esperienze.  Ovvero l’esatto contrario di ciò che molti di noi docenti (e a volte anche noi psicologi) facciamo con i DSA, tenendoli, nel migliore dei casi, in un ambiente ovattato, senza stimoli, senza imprevisti e con richieste che devono essere sempre almeno il 30% inferiori a ciò che si richiede ai loro compagni. Nei casi peggiori invece non facciamo nessuna richiesta e non avanziamo alcuna pretesa con il risultato che gli allievi alla fine delle scuole superiori hanno una preparazione generale in ritardo di almeno cinque anni.

La sentenza che riporto vuole essere un incoraggiamento a quei docenti che si sentono intimoriti dalla paura dei ricorsi al TAR. A questi colleghi voglio dire che far bene il proprio lavoro, rispettando tutte le norme e i diritti e doveri degli allievi, è una cosa giusta non un reato. Pretendere che l’allievo si “Promuova” e non semplicemente che venga ammesso alla classe successiva indipendentemente da ciò che ha imparato, è una cosa giusta, non un reato

Giuseppe Armentaro

Docente di Scienze Umane

Psicologo-Psicoterapeuta