Va stabilizzato il supplente della scuola con più di 36 mesi di servizio

Anief – 02 Maggio 2012 alle 19:59

La sentenza n. 2262/12 del giudice Chirone di Trani ripropone la stessa conversione del contratto ordinata nella sentenza n. 2296/12 del giudice Brudaglio, nelle cause patrocinate dall’avv. M. Ursini, e della sentenza n. 2291/12 patrocinata dall’avv. S. Campanile, entrambi legali rappresentanti dell’Anief. Condannato il Miur al pagamento complessivo di 20.000 euro.

Il giovane sindacato, grazie a un’équipe di legali coordinata dagli avvocati F. Ganci e W. Miceli, aveva presentato migliaia di ricorsi in tutte le corti territoriali italiane l’anno scorso, per i propri iscritti, ottenendo la condanna dell’Amministrazione scolastica al pagamento di risarcimenti danni per diverse centinaia di migliaia di euro, per condanna dell’abuso del termine del contratto a termine apposto.

Ora giunge dai giudici di Trani anche l’ordine di stabilizzare tre precari della scuola, in deroga al principio vigente nella Pubblica Amministrazione di mai consentire, in caso di utilizzo improprio di contratti di lavoro flessibile, la conversione del rapporto di lavoro.

Nella sentenza n. 2262/12, il giudice, dopo aver preliminarmente disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione (sent. Cass. SS. UU. n. 16041/10), l’eccezione di incompetenza funzionale del giudice (art. 409 del C. P. C.) e l’eccezione di prescrizione (sent. Cass. SS. UU. n. 10813/11) in quanto il diritto trova fondamento giuridico nella direttiva comunitaria 1999/70/CE, osserva che il ricorrente, supplente da oltre 10 anni, se fosse stato dipendente di un’impresa privata non avrebbe avuto contestato il diritto alla stabilizzazione, essendo palesi le esigenze strutturali dell’impiego e il palese abuso da parte del datore di lavoro.

Vista la natura pubblica dell’amministrazione convenuta, allora, ritiene necessario dipanare le complesse regole che disciplinano il contratto a tempo determinato nel pubblico impiego, in particolare nella scuola dove si è proceduto con qualcosa di “raffazzonato”. In primo luogo, spiega come il D.lgs. 368/01 si coordina bene con il D.lgs. 165/01 grazie alle modifiche apportate dalla L. 247/2007, quando il legislatore fissa un arco temporale oltre il quale il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato, indipendentemente dalla legittimità del termine: l’art. 5, c. 4 bis così inserito, che prescinde dai vizi del contratto, provoca la riqualificazione del rapporto con la P.A. Come ha osservato la Corte di giustizia europea, nell’ordinanza del 1 ottobre 2010 (causa C-3/10), lo stesso Governo italiano ha sottolineato che, nel 2007, nel settore pubblico, il legislatore è intervenuto per evitare il ricorso abusivo dei contratti a tempo determinato, aggiungendo una durata massima oltre il quale il contratto di lavoro può essere ritenuto concluso a tempo indeterminato: il giudice europeo soltanto per questa ragione ha ritenuto la disciplina nazionale rispettosa della normativa comunitaria, stante il suo carattere proporzionato, sufficientemente effettivo e dissuasivo. Tale modifica del D.lgs. 368/01 rispetta anche il contenuto precettivo dell’art. 97, c. 3 della Costituzione visto che la stabilizzazione trova la sua forma in una espressa norma di legge e visto che l’assunzione è la legittima conseguenza del posizionamento del ricorrente nella graduatoria ex-permanente, a cui ha avuto accesso superando un pubblico concorso, come ha ricordato la Consulta nella sentenza n. 41/11. Se non è contestabile l’applicabilità di tale norma al pubblico impiego, lo stesso D.lgs. 165/01 all’ottavo c., art. 70, ricorda come la stessa sia applicabile al personale della scuola, mentre soltanto di recente, con l’art. 1 del D. L. 134 del 25 settembre 2009 è stato deciso che i contratti a tempo determinato non possono trasformarsi a tempo indeterminato, ovvero, in sede di conversione nella L. 167/09, salvo in caso di immissione in ruolo. La nuova regula, ad avviso dell’interprete, si applica dal 25 settembre 2009 e trova una conferma nel D. L. n. 70 del 13 maggio 2011 che ha esteso con decorrenza di quella data l’inapplicabilità della conversione del contratto per il personale della scuola.

Pertanto, avendo la ricorrente prestato servizio per più di 36 mesi, ha diritto a beneficiare della conversione del contratto, e a rivendicare, per i soli vizi dei contratti, i debiti risarcimenti danni perché, ad eccezione del periodo intercorso dal 1 gennaio 2008 al 24 settembre 2009, nel settore scolastico, non è stato mai fissato un numero massimo di rinnovi dei contratti né una durata massima né le ragioni oggettive per la giustificazione dei suddetti contratti nei documenti negoziali, almeno fino al 12 maggio 2011. Ciò comporta una palese discordanza del quadro normativo interno con la normativa comunitaria e l’illegittimità di tutti i contratti posti, per un’indennità risarcitoria, in considerazione dell’avvenuta conversione del rapporto di lavoro, di 10 mensilità. Così nell’accogliere la domanda si dichiara che il rapporto di lavoro tra la ricorrente e il Miur è da considerarsi a tempo indeterminato, il termine apposto a tutti i contratti è nullo, e si ordina al Miur di riammettere in servizio la ricorrente a t. i. con un risarcimento danni di 10 mensilità e una condanna al pagamento di 2.500 di spese legali.

Nelle sentenze n. 2291 e 2296 del 2012, un altro giudice respinge analogamente le eccezioni di difetto di giurisdizione e di incompetenza funzionale o di prescrizione. Nel merito, rileva come tale sequenza di contratti sopra i 36 mesi sia così manifestamente illegittima, non avendo l’attuale ordinamento contenuto alcuna efficace sanzione idonea ad ovviare all’utilizzo abusivo del predetto tipo di contratto come prescritto dall’ordinanza della corte di giustizia europea sopra richiamata. D’altronde, qualora fosse applicabile la norma al solo risarcimento del danno, è evidente che non si otterrebbe alcun effetto deterrente, visto che il “malvezzo” è continuato per un decennio. La stessa Consulta, infatti, nella sentenza n. 303/11 ha asserito che la stabilizzazione del rapporto di lavoro è la tutela più intensa che il lavoratore precario possa ricevere al luogo del risarcimento danni come valore logicamente secondario; mentre è evidente che l’art. 97 della Costituzione rimane osservato nel prevedere specifiche disposizioni di legge che autorizzano l’assunzione da graduatoria come prodotto finale di un procedimento concorsuale. Pertanto, si dichiara per il ricorrente la conversione a tempo indeterminato dalla data della primo contratto a tempo determinato apposto, con ogni effetto giuridico ed economico e si condanna il Miur al pagamento di 2.000 euro di spese per ciascuno dei due ricorrenti.