Assente ingiustificato/UILDM – La voce dell’esperto: Salvatore Nocera

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Intervista a Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), impegnato dagli Anni Sessanta nel settore scuola e considerato oggi uno dei massimi esperti italiani.

Qual è il suo giudizio sulla qualità dell’inclusione scolastica nel nostro Paese?
Senza dubbio, in àmbito di inclusione scolastica, la nostra normativa è la migliore al mondo. Ci sono invece molti dubbi sulla reale e puntuale applicazione di tale normativa, per cui spesso si nota uno scarto considerevole tra le leggi e i princìpi in esse contenuti e le pratiche attuazioni – o disapplicazioni – delle leggi stesse. Da un punto di vista quantitativo, oggi abbiamo circa duecentomila alunni con disabilità, di cui più o meno il 16/17% con una disabilità solo motòria. Qualitativamente, invece, non possiamo non considerare come vi siano molte cause in corso, portate avanti dalle famiglie tramite i TAR (Tribunali Amministrativi Regionali), per mancate ore di sostegno. Ma cominciano ad esserci cause anche per l’eccessivo numero di alunni nelle classi e per la qualità dell’insegnamento dei docenti di sostegno, di quelli curricolari e anche degli educatori, forniti come assistenti per l’autonomia o la comunicazione dagli Enti Locali. Cause che però non interessano più del 5% degli alunni con disabilità e quindi, sotto il profilo della qualità, circa il 95% dei casi sembra svilupparsi su un profilo accettabile, anche se certamente migliorabile, soprattutto se pensiamo che non ci sono ancora norme che fissino degli indicatori, cioè dei fatti, per valutare la qualità dell’integrazione. Per cui possiamo dare un giudizio di qualità generico, mentre buon senso, esperienze e studi vorrebbero che si fissassero degli indicatori in base ai quali definire un’integrazione di qualità.

Quali dovrebbero essere quegli indicatori e a chi spetterebbe realizzarli?
Possono essere a livello strutturale. Un esempio è quello delle barriere architettoniche, perché laddove una scuola presenti barriere, si può dire fin da subito che essa non è idonea a una buona integrazione. Ci possono essere poi indicatori di processo, cioè su come si realizza l’integrazione, e penso alla presenza o meno di percorsi di dialogo tra famiglie e corpo docente, o di programmi didattici concordati tra le famiglie e la scuola. E vi sono anche indicatori di esito, che emergono verificando le modalità con cui si misurano i risultati dell’integrazione in termini di apprendimento, di soddisfazione e di crescita successiva alla scuola. Ancora, vi possono essere indicatori per valutare le prove realizzate, per misurare l’apprendimento. Ad esempio, se agli alunni con disabilità motoria non vengono dati tempi più lunghi per lo svolgimento delle prove, è chiaro che specie quelli con problemi alle mani avranno difficoltà e saranno in svantaggio. Mancano anche indicatori per verificare quanti alunni usciti dalla scuola riescano a inserirsi professionalmente, oltre a una norma vincolante e generale che imponga a tutti di formulare degli indicatori. Provvedere alla loro definizione spetterebbe al Ministero dell’Istruzione o al Parlamento. In questo senso, una maggiore pressione potrebbe arrivare dall’Osservatorio Ministeriale per l’Inclusione Scolastica, da quello sul Monitoraggio della Convenzione ONU e anche dalle Associazioni.

In merito all’Osservatorio per l’Inclusione, può spiegarci perché è nato e come opera?
L’Osservatorio è stato costituito all’inizio degli Anni Novanta, operando con maggiore attenzione nelle prime fasi del suo lavoro, e con minore negli ultimi dieci-tredici anni. Vi partecipano associazioni aderenti alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e alla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), un comitato tecnico di funzionari del Ministero, docenti universitari e dirigenti scolastici. Questa composizione permette un confronto tra utenti, esponenti dalle associazioni e operatori coinvolti a vario titolo. L’Osservatorio ha prodotto frutti interessanti, come una maggiore attenzione da parte delle Direzioni del Ministero e un collegamento tra queste ultime, che di solito operavano in modo separato. Ha anche elaborato importanti documenti, come le Linee Guida per l’Integrazione Scolastica del 2009, che hanno dato indicazioni molto chiare, sotto forma di raccomandazioni, per le Scuole e gli Enti Locali. Ancora, favorisce un maggior collegamento con la Conferenza Stato Regioni ed è riuscito a far stipulare una convenzione tra il Ministero dell’Istruzione e quello della Salute, che permetterà una maggiore collaborazione – e quindi una maggiore attenzione a livello locale – verso gli alunni con disabilità.
Ciò che non va bene è che la convocazione dell’Osservatorio sia rimessa alla discrezionalità del Ministro e il fatto che sia difficile tradurre in Circolari, Ordinanze o Proposte di Legge le idee formulate al suo interno. L’Osservatorio, in ogni caso, rimane un luogo importante di dialogo e incontro e la sua esistenza è positiva.

Le Linee Guida da lei citate sono uno strumento valido?
Si tratta dell’atto più importante firmato dal ministro Gelmini, che sulla base dei princìpi consolidati dell’inclusione, dà indicazioni operative ai Dirigenti Scolastici, ai singoli docenti (sia curricolari che specializzati), agli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, ai collaboratori e alle collaboratrici scolastiche e alle famiglie, specie nella terza parte. La prima parte, invece, produce una sintesi storica della normativa sull’inclusione scolastica in Italia e la seconda è sull’apparato amministrativo di supporto, aspetto, questo, molto importante, perché un’organizzazione come quella dell’inclusione necessita di un supporto amministrativo funzionante, anche tramite internet, che permetta la circolazione di informazioni e la possibilità di scambiarsi consulenze tra la base e il vertice dell’Amministrazione, e tra uffici, scuole e associazioni. Va ricordato infine che le Linee Guida sono un atto amministrativo e come tale vanno rispettate. La loro violazione, infatti, può comportare il ricorso al TAR, per pretenderne l’attuazione e chiedere un risarcimento.

A proposito di “sintesi storica”, può elencare le tappe fondamentali dell’inclusione scolastica nel nostro Paese?
Innanzitutto c’è la Legge 517/77, la prima a parlare espressamente di integrazione scolastica e a proporre gli strumenti utili a realizzarla. La precedente Legge 118/71, infatti, aveva parlato solo in modo generico di «obbligo di frequentare le scuole pubbliche anche per gli alunni con disabilità non grave», mentre la 517/77 parla di «tutti gli alunni». Poi la Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale, che chiarisce l’esistenza di un diritto pieno e incondizionato all’inclusione scolastica per tutti gli alunni con disabilità, anche quella più grave, inserendo princìpi sulla valutazione degli alunni e sugli obblighi, che non sono solo della scuola, ma anche degli Enti Locali. Quindi la Legge Quadro 104/92 che recepisce gli orientamenti della Corte Costituzionale e li trasforma in norme fondamentali. Successivamente, le norme sull’autonomia scolastica del 1997 prevedono una maggiore attenzione all’inclusione e alla personalizzazione degli interventi a favore degli alunni con disabilità e sei anni dopo la Legge 53/03, la cosiddetta “Riforma Moratti”, pur ponendo condizioni generali impeditive dell’inclusione scolastica, ribadisce i princìpi di inclusione e personalizzazione dei rapporti, rispettando quanto fatto in precedenza. Negli anni più recenti, il DPCM 185/06 (Regolamento sulla certificazione degli alunni con disabilità ai fini scolastici), recepisce i princìpi dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), permettendo di impostare un migliore Profilo Dinamico Funzionale, mentre nella Legge 296/06 si stabilisce con grande chiarezza che le ore di sostegno vengano assegnate secondo le «effettive esigenze di ciascun alunno», risultanti da accordi tra ASL, Scuole ed Enti Locali. Arriva poi la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata nel 2009 dall’Italia, che rappresenta un rilancio della cultura dell’inclusione, in generale, avendo come maggiori riferimenti il contesto sociale, ambientale, culturale. Questo documento può aiutarci infatti a ridare forza a una generazione di appassionati all’inclusione scolastica, anche tra persone non disabili. Ora si tratta di renderne operativi i princìpi, per contrastare la disattenzione della classe politica e i tentativi che talvolta emergono di rilancio di “scuole speciali”. Infine, la Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale (relatrice Maria Rita Saulle), che ribadisce il principio pieno e incondizionato del diritto all’integrazione scolastica, in particolare con riferimento alle ore di sostegno in deroga, superando il rapporto di un insegnante ogni due alunni, quando ci sia la necessità di farlo, e ribadendo che non vi possono essere limiti di bilancio – quindi legati al taglio della spesa pubblica – ad ostacolare la realizzazione di questo diritto.

Quali richieste avanza al nuovo Governo?
Innanzitutto è importante che venga varata la normativa, in parte già esistente, sulla formazione iniziale di tutti i docenti, sulle problematiche della didattica dell’inclusione degli alunni con disabilità e l’avvio di un programma di formazione obbligatoria in servizio per gli attuali docenti curricolari che abbiano in classe alunni con disabilità, perché anch’essi possano farsi carico dell’integrazione. Ovviamente non da soli, ma “sostenuti” dagli insegnanti di sostegno. Oggi, invece, c’è una vera e propria delega dei docenti curricolari a questi ultimi, ciò che coincide con uno snaturamento della cultura e dell’esperienza di questi quarant’anni di integrazione. Ancora, ritengo necessario il rispetto delle norme che riguardano il numero massimo di alunni per classe e una maggiore continuità, almeno per tre anni, degli insegnanti di sostegno con un alunno, mentre spesso cambiano ogni anno. Ed è giusto chiedere una maggiore attenzione delle scuole ai problemi degli alunni con disabilità più grave, soprattutto per la cura dell’igiene personale, che sarebbe di competenza dei collaboratori scolastici. Essi, però, non sempre vengono formati dalle scuole, e spesso non sono affatto disposti a svolgere queste mansioni. Il Governo, infine, dovrà prendere contatto con gli Enti Locali, per definire le responsabilità in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e senso-percettive, oltreché di assegnazione dei trasporti e degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione.