Corte dei Conti (Lombardia) – Sentenza n. 16 del 27-01-2010

Atti osceni a danno di minori e danno all’immagine della scuola – fatti sprovvisti di prova – insussistenza – giudizio contabile – autonomia rispetto al giudizio penale.
Nell’ambito dell’autonomia di giudizio riconosciuta al giudice contabile rispetto alle statuizioni rese in sede penale, peraltro prive di autorità di giudicato, in pendenza di appello, deve affermarsi la insussistenza della benché minima prova che nella scuola si siano verificati atti osceni ai danni di minori; difatti il giudice per le indagini preliminari ha basato il proprio convincimento esclusivamente su racconti di alcuni studenti, senza alcun riscontro probatorio, ma anzi in presenza di fatti che contrastavano in modo stridente con le morbose e fantasiose narrazioni dei minori.
D’altra parte la sola mancanza di capacità di mantenere l’ordine in classe, se valutabile sotto il profilo disciplinare, non integra neppure lontanamente i presupposti per la configurazione del danno all’immagine.

 

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Sent. 16/2010

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

composta dai seguenti magistrati:
Dott. Antonio VETRO Presidente relatore
Dott.ssa Luisa MOTOLESE Consigliere
Dott. Luigi CASO I Referendario

S E N T E N Z A

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 25726 del registro di segreteria, ad istanza della Procura regionale della Corte dei conti per la Lombardia, contro XXX, nata a ….. il …., residente a ……. in via ……, rappresentata e difesa dall’avv. Carmelina Genovese ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Paolo Nicolini, in Milano, via Alfonso Lamarmora n. 4.
Visti gli atti e i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 26.1.2010 il presidente relatore, nonché l’avv.to Paolo Nicolini su delega dell’avv.to Genovese ed il P.M. nella persona del Vice Procuratore generale dott. Paolo Evangelista, che hanno confermato le rispettive tesi.

FATTO

Con atto di citazione del 21.5.2009 la Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale ha convenuto in giudizio la sig. XXX per sentirla condannare al risarcimento dei danni arrecati all’immagine della Scuola Media Statale “…….” di ……, presso la quale la convenuta ha insegnato come professoressa supplente di matematica.
Il danno è stato quantificato in via equitativa in €. 4.446,27, pari al decuplo della retribuzione percepita in qualità di supplente per 17 giorni.
Nell’atto di citazione la Procura ha precisato che il presidente di questa Sezione ha tuttavia la facoltà, ai sensi dell’art. 55 del r.d. 12.7.1934 n. 1214 e successive modificazioni, di determinare la somma da pagare alla “Amministrazione comunale” (riferimento errato, in quanto il risarcimento è stato richiesto in favore della “Amministrazione scolastica”), precisando che trattasi di “ipotesi sulla quale si esprime preventivamente parere favorevole”.
Peraltro il presidente ha disatteso tale parere, in quanto la delicatezza del caso, riguardante alunni minorenni, con pesanti implicazioni sull’onorabilità della persona convenuta, imponeva un approfondito riscontro della vicenda nell’ambito processuale.
Dall’atto di citazione emerge che il dirigente del Servizio legale dell’Ufficio scolastico regionale per la Lombardia ha comunicato con nota del 21.6.2007 alla Procura contabile che nei confronti della convenuta era stata esercitata azione penale per il reato previsto dall’art. 609 quater n. 1 e 2 c.p., in relazione ad atti sessuali nei confronti dei minori ad essa affidati per ragione di istruzione.
In esito a tale procedimento è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Monza la sentenza di condanna n. 715 in data 31.10.2007.
Secondo la Procura attrice, dalla condotta posta in essere dalla convenuta è derivato all’Amministrazione scolastica “un danno patrimoniale indiretto, consistente nella perdita di prestigio e lesione da immagine”.
Con atto del 3.12.2008, la Procura regionale ha rivolto alla presunta responsabile l’invito a fornire le proprie deduzioni, pervenute in data 3.2.2009, nelle quali essa ha prospettato le proprie tesi difensive, poi richiamate e sviluppate nella memoria difensiva del 5.1.2010.
La XXX ha rinunciato all’audizione personale, per gravi difficoltà economiche che le impedivano di sostenere le spese per il trasferimento dal Molise a Milano.
Dall’esame dei documenti acquisiti – secondo la Procura attrice – sono emersi sia il fatto materiale (atti sessuali nei confronti dei minori a lei affidati per ragioni di istruzione) sia la condotta illecita della convenuta, causativa del danno.
Nella memoria difensiva ed allegata istanza di nullità la convenuta ha chiesto:
1) La nullità di tutti gli atti istruttori e processuali sino ad ora compiuti nell’ambito del presente procedimento, compreso l’atto di citazione, in quanto posti in essere al di fuori dei casi espressamente previsti dall’art. 7 della legge n. 97/2001, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17, comma 30 ter., del d.l. n. 76/2009, in assenza di una intervenuta sentenza di responsabilità amministrativa.
2) La declaratoria di inattendibilità delle prove assunte nel procedimento penale e degli elementi probatori e, quindi, il rigetto della domanda.
3) In subordine, la riduzione dell’addebito in ragione della lievità della colpa e delle precarie condizioni economiche.
4) In via istruttoria, l’ammissione della prova testimoniale della professoressa ……, sui fatti contestati.

DIRITTO

1) In via preliminare, occorre esaminare la prospettata eccezione di nullità.
L’eccezione è infondata e va respinta.
Questa Sezione, con sentenza 20.10.2009 n. 641, ha interpretato come segue la novella legislativa di cui al decreto-legge 3 agosto 2009 n.103 il quale, all’art.1 lettera c), ha modificato l’art. 17 comma 30-ter del decreto-legge n.78/2009 nel testo convertito, con modificazioni, in legge 3 agosto 2009, n. 102; a seguito di tali modifiche, l’art. 17 comma 30 ter vigente così recita: “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione, di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”.
Il Collegio, con tale sentenza, ha osservato che “il riferimento testuale – contenuto nel secondo periodo dell’art. 17 comma 30-ter sopra citato – ai soli “modi” e “casi” previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, implica che il riferimento medesimo contempli sia la comunicazione al P.M. contabile (“modo” previsto nel primo periodo del citato art. 7) della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo 1° del titolo 2° del libro secondo del codice penale (i “casi” previsti per tale “modo” ai sensi del medesimo primo periodo dell’art. 7), sia l’obbligo per il P.M. penale di comunicare al P.M. contabile, ex art. 129 delle norme di attuazione c.p.p. (altro “modo” menzionato nel secondo periodo dell’art. 7), l’esercizio dell’azione penale per i reati (i “casi” previsti per tale “modo”) che hanno cagionato un danno per l’erario. Tale lettura della novella normativa … é confermata anche dalla lettera della novella legislativa di cui al decreto-legge 103/2009. Quest’ultimo, significativamente, ha modificato il testo del precedente art. 17 comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78 convertito, con modificazioni, in legge 3 agosto 2009 n. 102, prevedendo non solamente i “casi” ma anche i “modi” di cui all’art. 7 L. n. 97/2001. Ha statuito, altresì, che “a tale ultimo fine” (l’esercizio dell’azione), “il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”. … Tale ultima previsione normativa, a ben vedere, rileva unicamente per i “casi” previsti dal disposto normativo di cui all’art. 129 disp. att. c.p.p., essendo evidente che per i “casi” attinenti alla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna il procedimento penale è ormai concluso”.
La citata interpretazione risulta costituzionalmente orientata, in quanto la limitazione della perseguibilità del danno all’immagine ai soli casi di delitti contro la P.A. e non a qualsiasi reato suscettibile di arrecare danno all’erario risulterebbe affetta da illogicità di grado talmente elevato – il caso in esame ne costituisce la prova evidente: il reato di atti osceni ai danni di alunni minorenni, non rientrando nella categoria dei delitti contro la P.A. non comporterebbe discredito all’Istituzione scolastica, secondo un’interpretazione restrittiva della norma – da non superare presumibilmente il vaglio di costituzionalità da parte della Consulta, alla quale, peraltro, la questione è stata già prospettata dalle Sezioni giurisdizionali campana, con ordinanza del 29 settembre 2009 e siciliana, con ordinanza del 14 ottobre 2009.
Vero è che, a differenza del caso già esaminato da questa Sezione nella sentenza 20.10.2009 n. 641, nella fattispecie non risulta che il P.M. penale abbia fatto alla Procura contabile la comunicazione prevista dall’art. 129 disp. att. c.p.p., ma l’inosservanza dell’obbligo di legge da parte della Procura penale non muta i termini della questione, dovendosi altrimenti arrivare alla conclusione assurda che l’estensione applicativa di una norma possa variare in conseguenza della condotta, commissiva od omissiva, di un pubblico dipendente.
In conclusione, secondo l’interpretazione di questa Sezione, costituzionalmente orientata, la novella legislativa consente, nella fattispecie, l’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine in quanto il reato contestato, riguardante atti sessuali compiuti da un’insegnante nei confronti di minori nell’ambito di una istituzione scolastica, è produttivo di danno erariale, nella specie per le spese occorrenti per il ripristino del prestigio della P.A.

2)Nel merito, la richiesta risarcitoria è manifestamente priva di qualsiasi fondamento.
La Procura ha, infatti, acriticamente avallato le conclusioni del giudice per le indagini preliminari, che, a sua volta, ha basato il proprio convincimento esclusivamente su racconti di alcuni studenti, senza alcun riscontro probatorio, ma anzi in presenza di fatti che contrastavano in modo stridente con le morbose e fantasiose narrazioni dei minori.

A)Il giudice penale ha ritenuto che “un primo fondamentale elemento di convincimento è costituito dalla univocità e concordia della ricostruzione fornita dai minori”, pur ammettendo la presenza di una “contraddizione di un qualche rilievo” riguardante la posizione ed il ruolo di due minori.
La prima valutazione di questa Sezione riguarda la scarsa attendibilità dei racconti – non univoci se si ammette la presenza di contraddizioni sulla posizione ed il ruolo di due soggetti interessati – da parte di minori la cui maggioranza (tre su cinque) era composta da persone caratterizzate dal pessimo rendimento scolastico, tanto da essere ripetenti, e da una spiccata mancanza di decoro, tanto da essere sorprese, in un’aula scolastica, uno in mutande e gli altri due con la cerniera dei pantaloni aperta.

B)Se, come è intuitivo, le dichiarazioni rese al momento del fatto sono da considerare ben più convincenti rispetto a quelle rese in momenti successivi, emerge ancor più evidente l’inattendibilità dei racconti dei minori, i quali, sorpresi dalla professoressa ……, come risulta dalla deposizione di quest’ultima, davano risposte che nulla avevano a che fare con presunti atti sessuali. Infatti, uno “sosteneva che aveva i pantaloni larghi e gli erano scesi”, due “dicevano di essersi colpiti a vicenda per gioco ed avendo ricevuto colpi nelle parti basse si erano slacciati i pantaloni”, gli altri due “sostenevano di non aver fatto niente”.
Nella sentenza penale si afferma che “ciò, a ben vedere, non mina affatto la attendibilità dei minori, ma si spiega agevolmente con un tentativo “difensivo” da parte loro, finalizzato ad evitare conseguenze di qualsiasi natura nei loro confronti”.
Il ragionamento risulta viziato sul piano della logica: non si comprende, sulla base di tali premesse, perché dovrebbero essere ritenuti attendibili i racconti resi a distanza di tempo e non quelli forniti subito dopo il fatto, dal momento che la stessa strategia difensiva poteva aver indotto i cinque a concordare una versione fantasiosa, per evitare le conseguenze derivanti dalla scoperta della loro condotta disdicevole. La prof. …… ha, infatti, attestato di aver detto ai cinque alunni che “le loro risposte non erano state per nulla convincenti” e che avrebbe “riferito il tutto al preside, per i provvedimenti del caso”.

C) Nella sentenza penale, oltre alla presunta attendibilità dei racconti dei cinque alunni, si sostiene che “altri corposi argomenti militano in favore della prospettazione accusatoria”.
Queste “corpose argomentazioni” consisterebbero nelle “dichiarazioni rese sia dalla prof. …… sia dal preside ……”.
Occorre subito sottolineare che la deposizione del preside non è di alcuna utilità ai fini della ricostruzione della scena apparsa alla sola prof. ……, in quanto il primo non era neppure a scuola al momento, ma ha soltanto dichiarato fatti riferiti da altri.
Tanto precisato, dalla narrazione della prof. …… risulta che per la classe stava per iniziare l’ora di educazione fisica ma, prima un alunno, poi altri due, le si avvicinarono “insistendo anche loro affinché rimanessero con la supplente di matematica. Io dicevo che non era possibile. Loro insistevano ed anche l’insegnante sosteneva che loro avevano bisogno di recuperare la materia, quindi acconsentivo alla cosa”.
Nella sentenza penale, uno dei “corposi argomenti” è individuato nel fatto che “fu proprio la XXX a chiedere con insistenza di poter trattenere” gli alunni.
Dalla riportata deposizione risulta che il ragionamento riposa su un dato errato.
L’insegnante, infatti, si limitò a dire che gli studenti avevano bisogno di ripetizioni, mentre furono solo quest’ultimi e non la XXX, come ripetuto due volte in tale deposizione, resa ai Carabinieri il 10.11.2006, riportata testualmente a pag. 2 della sentenza penale, ad insistere per rimanere con la supplente di matematica.
Vero è che a pag. 4 della sentenza si riportano, ma non testualmente, le precisazioni che in data successiva, il 15.11.2006, la prof. …… ha fatto al P.M., dalle quale si evince che “era stata proprio la XXX a chiederle se fosse stata d’accordo a far rimanere con lei i tre alunni”, aggiungendo l’inciso “insistendo insieme (omissis: ai tre alunni)”.
Peraltro tale precisazione, detta per inciso, non è affatto convincente, perché contrastante con le precise e reiterate dichiarazioni rese ai Carabinieri pochi giorni prima.

D) Secondo la sentenza penale “questa insistita richiesta appare pienamente coerente con il racconto di tutti e cinque i minori, secondo cui già nell’ora precedente la XXX aveva tranquillamente accettato confidenze di ogni tipo da parte degli alunni, apprezzamenti ed argomenti di dialogo che con la matematica non avevano nulla a che fare”.
Se il presupposto da cui muove il ragionamento è presumibilmente errato, in quanto non risulta provata la “insistita richiesta da parte della XXX”, anche il ragionamento in sé risulta viziato sul piano della logica.
L’unica richiesta certa formulata dalla supplente concerneva infatti la necessità di ripetizioni in matematica e non si comprende come ciò possa dimostrare che nell’ora precedente l’insegnante aveva accettato indebite confidenze da parte degli alunni.

E) Altro “corposo argomento” sul verificarsi degli atti osceni riposa sul fatto che “la stessa prof. …… ebbe a passare fuori la porta dell’aula di sostegno anche in precedenza, nel corso della sesta ora, senza udire alcun rumore. Tale circostanza … risulta assai più coerente con la ricostruzione fornita dai minori, secondo cui nell’aula erano in atto attività sessuali tra alcuni alunni e la prof., con il pieno consenso e la cosciente, libera e volontaria partecipazione da parte di quest’ultima”.
Sul punto va osservato come sia priva di qualsiasi valore la incomprensibile deduzione che dal silenzio in aula possa derivare la prova degli atti sessuali, addirittura con particolari sulla situazione psicologica della presunta responsabile.
E’ sufficiente ricordare che, dalla deposizione della prof. ……, risulta che, in presenza della XXX, “si avvicinava la collaboratrice scolastica …, la quale si impegnava a collaborare nella sorveglianza degli alunni”.
Quindi la XXX, pur sapendo che nell’aula sarebbe potuta entrare in qualsiasi momento la bidella che aveva assicurato la propria sorveglianza, avrebbe, ciò nonostante, commesso fatti irripetibili, desumibili, secondo il giudice penale, dal silenzio in aula, ciò che è semplicemente assurdo.

F) A parte le ricostruzioni di fantasia, è opportuno verificare lo stato dei fatti quale emerge dalla descrizione, sicuramente degna di fede, della prof. …….
“Decidevo di entrare ed, aperta la porta, notavo che l’alunno (omissis) si trovava di fronte alla porta avendo i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Poi, sul lato sinistro, appoggiata di schiena alla parete, vi era in piedi la prof. XXX. Di fronte a lei vi erano (omissis: due alunni), i quali, entrambi avevano la cintura dei pantaloni slacciata e la cerniera della patta aperta. Gli altri (omissis: due) alunni erano seduti normalmente al banco. Presi dall’imbarazzo, i tre giovani frettolosamente cercavano di ricomporsi”.
Da tale descrizione può dedursi soltanto “una bravata”, non si sa se commessa nell’imminenza dell’entrata in scena della prof. ……, di tre ragazzi che volevano mettere in difficoltà una supplente giovane, inesperta, in quanto al suo primo approccio con la scuola, priva delle capacità necessarie per tenere a bada dei ripetenti privi del benché minimo senso di rispetto per l’istituzione scolastica e meritevoli di una esemplare sanzione disciplinare.

G) Dalla sentenza penale si evince che “nel corso delle indagini preliminari venivano anche disposte intercettazioni telefoniche – senza che ne emergessero elementi di particolare rilievo – ed erano acquisiti i tabulati telefonici relativi al cellulare della XXX e quello di (omissis: un alunno), dai quali erano rilevabili contatti fra i due”, per l’esattezza una chiamata di 27 secondi e due chiamate senza conversazione partite dal cellulare dell’insegnante.
Anche qui non si riesce a comprendere quale luce sulla vicenda possa trarsi da una telefonata durata meno di mezzo minuto, di cui si ignora il contenuto e da due chiamate senza colloquio.
Riguardo alla denunzia fatta dalla XXX nei confronti degli alunni per una presunta aggressione subita, anche se la questione non interessa direttamente in questo giudizio, nel quale l’insegnante ha la veste di presunta responsabile e non di parte lesa, può osservarsi, per completezza, che probabilmente vi furono comportamenti disdicevoli ai danni della supplente da parte dei minori ripetenti e tale presunzione è avvalorata dall’unica dichiarazione di importanza determinante nella vicenda, resa dalla prof. …… nella deposizione del 10.11.2006, del seguente tenore: “So che i tre alunni in questione sono ripetenti e messi insieme tra loro avrebbero potuto creare problemi all’insegnante”.
Peraltro non è da escludere, anzi è probabile, una esagerazione nella ricostruzione delle presunte molestie che la supplente avrebbe subito.
E’ significativa, al riguardo, la frase contenuta nel verbale dell’interrogatorio della XXX al P.M., trascritto a pag. 12 della sentenza penale:
“La professoressa di educazione fisica (……) mi ha detto che se non avessi messo io nei guai i ragazzi, mi ci avrebbero messo loro”.
In conclusione, nell’ambito dell’autonomia di giudizio riconosciuta al giudice contabile rispetto alle statuizioni rese in sede penale, peraltro prive di autorità di giudicato, in pendenza di appello, deve affermarsi la insussistenza della benché minima prova che nella scuola si siano verificati atti osceni ai danni di minori.
Oltre che per l’acritica condivisione di una decisione priva di qualsiasi consistenza, un’altra censura va formulata nei confronti della citazione.
A pag. 8 si afferma che l’insegnante “non ha saputo esercitare la sua funzione di docente, che esige anche di fronteggiare e contrastare eventuali atteggiamenti di indisciplina o violenza da parte degli alunni. In altri termini il danno all’immagine consegue direttamente dalla incapacità dell’insegnante di assumere e mantenere un contegno adeguato rispetto ai suoi doveri di docente, in disparte la questione delle presunte attività sessuali”.
A pag. 19, invece, si fa particolare riferimento ai fatti oggetto di reato accertati in sede penale e quindi proprio alle “presunte attività sessuali”.
A parte la rilevata contraddizione, va sottolineato che la sola mancanza di capacità di mantenere l’ordine in classe, se valutabile sotto il profilo disciplinare, non integra neppure lontanamente i presupposti per la configurazione del danno all’immagine che, in caso contrario, dovrebbe ravvisarsi nei riguardi di buona parte degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto della frequenza degli episodi di indisciplina degli alunni.
Un’ultima notazione: la condotta della docente, sia pure con le attenuanti della giovane età e dell’inesperienza, non appare priva di un certo grado di colpa, per non avere immediatamente denunziato al preside la condotta inqualificabile di tre alunni, anche se, come già osservato, non è possibile stabilire il momento delle infrazioni alle norme di comune decoro, in relazione all’entrata nella scena della prof. …… ed inoltre quest’ultima comunque provvedeva tempestivamente alla dovuta segnalazione al capo dell’Istituto.

Il comportamento colposo, di grado non grave, assume rilevanza ai fini della compensazione delle spese legali.

Come stabilito da questa Sezione con sentenza 11.11.2009 n. 767, “il potere di compensazione delle spese di giudizio, in presenza di adeguata motivazione, resta intatto anche dopo la novella legislativa recata dall’art. 17, co. 30-quinquies, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, coordinato con la l. di conversione 3 agosto 2009, n. 102, che ha modificato l’art. 10-bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248. Quest’ultima disposizione, nel dare interpretazione autentica alla disposizione di cui all’art. 3 co. 2 bis del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito dalla l. 20 dicembre 1996 n. 639, ha affermato che le spese legali restano a carico dell’amministrazione di appartenenza “in caso di definitivo proscioglimento.” Pertanto, essa ha stabilito, con l’integrazione posta dall’art. 17, co. 30-quinquies, d.l. n. 78/2009, che le succitate norme “si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto….”. Come appare evidente, la novella legislativa non ha modificato il presupposto in base al quale sorge l’obbligo di non procedere alla compensazione delle spese e di liquidare l’ammontare delle spese legali e cioè la sussistenza di un “proscioglimento nel merito”, che però deve essere “pieno”, nel senso che non risulti accertato, come nella fattispecie, un comportamento colposo dei soggetti convenuti. In tal senso è la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha escluso la sussistenza dell’indicato presupposto anche in altri casi, come nel proscioglimento in rito o per prescrizione (sentenze Sez. III app. n. 40/2002 ; Sez. I app. n. 88/2008). In tali casi permane il potere di compensare le spese tra le parti, in presenza di giusti motivi “esplicitamente indicati nella motivazione” (artt. 91 e 92, co. 2, c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 2, co. 1, lett. a, l. 28 dicembre 2005, n. 263). D’altra parte, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, la decisione del giudice contabile di compensare le spese di lite è espressione di un potere discrezionale incensurabile in sede di legittimità (Cass., sez. III, 18 aprile 2007, n. 9296; id., sez. un., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989; id., sez. un. 15 novembre 1994, n. 9597), quando vi è specifica motivazione sul punto (Cass., sez. II, 21 marzo 2007, n. 6681). Va infine osservato che una diversa interpretazione, nel senso di imporre al solo giudice contabile, a differenza di altri giudici, il divieto di compensazione delle spese in ogni caso di proscioglimento, senza alcun potere di valutare, da una parte le circostanze di diritto e di fatto che hanno portato a quella particolare species di proscioglimento, nell’ambito del più ampio genus, dall’altra la condotta dei convenuti, porterebbe a concludere per una presumibile, macroscopica illegittimità costituzionale della norma, sia per violazione dei principi di uguaglianza, ponendo il giudice contabile in una ingiustificata, deteriore situazione di limitazione dei propri poteri decisori, a differenza di altri giudici, sia perché verrebbe ad interferire irrazionalmente nei poteri giurisdizionali di questa Corte alla quale verrebbe inibito di valutare tutti gli elementi, soggettivi ed oggettivi, della controversia, ai fini della decisione sulle spese, che costituisce parte integrante della statuizione giurisdizionale”.
Alla luce degli indicati principi giurisprudenziali, va dichiarata la compensazione delle spese legali.

PER QUESTI MOTIVI

La Sezione giurisdizionale per la Lombardia, definitivamente pronunziando:
1) Respinge l’eccezione di nullità dell’azione della Procura regionale.
2) Proscioglie la convenuta, XXX, da ogni addebito contestato dalla Procura regionale.
3) Dichiara la compensazione delle spese legali. Nulla per le spese di giudizio.
4) Dispone che la presente sentenza, oltre che alle parti interessate, venga comunicata all’Ufficio scolastico regionale per la Lombardia.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 26 gennaio 2010.

IL PRESIDENTE RELATORE
Antonio VETRO

Depositata in Segreteria in data 27/01/2010
Il Dirigente