Ritardata assunzione. Quale risarcimento per il ritardo?

Corte di Cassazione n. 16664/2020

Corte di Cassazione n. 16665/2020

 

Tardiva assunzione a seguito di provvedimento illegittimo della P.A.
Diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni. Sussistenza. Esclusione. Diritto al risarcimento del danno ex art. 1218 c.c.. Sussistenza. Mancata instaurazione del rapporto di lavoro. Danno in re ipsa. Esclusione.

 

Con due ordinanze pubblicate in pari data, la Corte di Cassazione ha preso posizione su un problema non infrequente, legato all’avvenuto accertamento giudiziale del diritto all’assunzione, assunzione disposta però a distanza di anni.

Spettano al dipendente le retribuzioni medio tempore non corrisposte?

Sul punto, a dire il vero, la Corte si era pronunciata in passato, affermando il seguente principio: “«in materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, né, a tal fine, assume rilevanza l’eventuale messa in mora volta ad ottenere la costituzione del rapporto, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro » (Cass. 5 giugno 2017, n. 13940; Cass. 14 dicembre 2007, n. 26822).

In pratica, secondo la Corte di legittimità, in mancanza della prestazione lavorativa, viene meno il nesso sinallagmatico tra prestazione e retribuzione, per cui il lavoratore tardivamente assunto non può pretendere alcuna retribuzione nel periodo in cui non ha dispiegato le proprie energie lavorative.

La Corte ripercorre anche la giurisprudenza del Giudice Amministrativo (ex multis, Cons. di Stato, sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7110), secondo cui «la liquidazione del danno, provato nella sua esistenza, ma non dimostrabile nel suo preciso ammontare, va effettuata in via equitativa e tenendo, altresì, conto del fatto che l’interessato, nel periodo in questione, non ha comunque svolto attività lavorativa in favore dell’amministrazione che avrebbe dovuto assumerlo», al punto di gravare il ricorrente dell’ «onere di dimostrare di non avere potuto rivolgere le proprie energie alla cura di altri interessi e attività lavorative da cui potrebbe aver tratto un utile».

Tali decisioni, in caso di accoglimento della domanda, riconoscono un risarcimento pari al 50 %  delle potenziali retribuzioni maturate.

La Corte ritiene però- anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia[1]che l’orientamento finora seguito abbia bisogno di un approfondimento.

Escluso – per le ragioni supra evidenziate- un obbligo di corrispondere le retribuzioni, va invece riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, danno di natura contrattuale (danno da inadempimento o ritardo, ex art. 1218 c.c.).

Secondo il ragionamento della Corte, “l’intervenire postumo della fattispecie costitutiva comporta che, prima di tale momento, il rapporto non possa dirsi esistente, se non per quegli effetti che il provvedimento o l’atto facciano espressamente retroagire; in tale ipotesi, il rimedio all’inadempimento, prima dell’effettivo sopravvenire della fattispecie costitutiva, non può che essere risarcitorio, perché la costituzione ex post di un rapporto non può essere paragonata all’esistenza ex tunc di esso, se in realtà il medesimo all’epoca non esisteva ancora”.

Resta dunque confermato (…) l’orientamento secondo cui «in materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni», ma solo al risarcimento del danno”.

Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “in materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego che non siano state riconosciute nei successivi atti di assunzione, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento ex tunc del rapporto di lavoro; il lavoratore può invece agire, in ragione della violazione degli obblighi sussistenti in capo alla P.A. ed in presenza di mora della medesima, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., ivi compreso, per il periodo anteriore a quello per il quale vi sia stata retrodatazione economica, il mancato guadagno da perdita delle retribuzioni fin dal momento in cui sia accerti che l’assunzione fosse dovuta, detratto l’aliunde perceptum, qualora risulti, anche in via presuntiva, che l’interessato sia rimasto privo di occupazione nel periodo di ritardo nell’assunzione o sia stato occupato, ma a condizioni deteriori” (Cass. Civ. sez. lavoro, ord. n. 16665/2020).

Per inciso, con ordinanza n. 16664/2020, la stessa Corte ha rigettato la domanda di altra dipendente, per difetto di prova in ordine al danno subito.

Avvocato Francesco Orecchioni

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[1] Cfr. Cass., S.U., 7 febbraio 2018, n. 2990, secondo cui «la declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera per violazione di norme imperative e la conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato determina, nell’ipotesi in cui per fatto imputabile al datore di lavoro non sia possibile ripristinare il predetto rapporto, l’obbligo per quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora decorrente dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa, in virtù dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003, che non contiene alcuna previsione in ordine alle conseguenze del mancato ripristino del rapporto di lavoro per rifiuto illegittimo del datore di lavoro e della regola sinallagmatica della corrispettività, in relazione agli artt. 3,36 e 41 Cost.».