Corte di Cassazione – Sentenza n. 5035 del 11-03-2004

Difensore iscritto all’albo avvocati – situazione di incompatibilità – legittimazione alla professione – sussistenza.

 

Come queste Sezioni unite hanno già avuto occasione di stabilire con la sentenza 18 aprile 1988, n. 3034, dalle cui conclusioni non v’è ragione di discostarsi, sulla validità dell’atto posto in essere dal difensore, iscritto, come nella specie, all’albo e munito di procura, non incidono eventuali situazioni d’incompatibilità con l’esercizio della professione, quali quelle discendenti dalla qualità di pubblico dipendente, che, sanzionabili sul piano disciplinare, non privano della legittimazione alla professione medesima, fino a che persista detta iscrizione.

 

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Sez. U, Sentenza n. 5035 del 11/03/2004

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTINIANI Vito – Primo Presidente f.f. –
Dott. GRIECO Angelo – Presidente di sezione –
Dott. GENGHINI Massimo – Presidente di sezione –
Dott. PAPA Enrico – Consigliere –
Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –
Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere –
Dott. PREDEN Roberto – Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giandonato – Consigliere –
Dott. EVANGELISTA Stefanomaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
XXX, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTIO CALVINO 193, presso lo Studio dell’avvocato ANTONIO AVITABILE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI SCIALDONI, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA SOCIETÀ PER AZIONI (GIÀ FERROVIE DELLO STATO, SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZIO PER AZIONI), in persona del legale rappreaentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio dell’avvocato LUCIO V MOSCARINI, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3321/00 del Tribunale di NAPOLI, depositata il 06/06/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/03 dal Consigliere Dott. Stefanomaria EVANGELISTA;
udito l’Avvocato Lucio V. Moscerini;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. Iannelli Domenico che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso, sul secondo motivo, giurisdizione della Corte dei Conti.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in cancelleria il 6 giugno 2000, il Tribunale di Napoli, in grado d’appello ed in funzione di giudice del lavoro, ha negato resistenza del diritto del sig. XXX di ottenere, quale ex dipendente della s.p.a Ferrovie dello Stato, la liquidazione dell’indennità di buonuscita su di una base di computo comprensiva degli incrementi retributivi di cui al contratto collettivo di categoria, relativo al periodo 1990 – 1992. Per la cassazione di questa sentenza propone ora ricorso il sig. XXX, svolgendo motivi di censura che possono compendiarsi come segue.

Il giudice d’appello non ha preso in esame l’eccezione di inammissibilità del gravame, sollevata (allora e qui riproposta come motivo di ricorso inteso a dimostrare la nullità della sentenza impugnata) in considerazione del difetto di jus postulandi dell’avvocato della società appellante, il quale per essere dipendente delle Ferrovie dello Stato in epoca nella quale il patrocinio delle medesime rimaneva ancora affidato all’Avvocatura erariale, versava nella situazione di incompatibilità all’esercizio della professione forense sancita dall’art. 3 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, in legge 22 gennaio 1934, n. 36, sicché risultava del tutto irrilevante la sua iscrizione nell’Elenco speciale (ex art. 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1949) annesso all’Albo degli Avvocati e concernente i professionisti dipendenti abilitatati al patrocinio per le cause e gli affari propri dell’ente datore di lavoro.

Il giudice a quo, inoltre, ha erroneamente individuato il contenuto della domanda introduttiva del giudizio, avendo ritenuto che il preteso computo dei suddetti incrementi retributivi riguardasse l’indennità di buonuscita e non, invece, il trattamento di pensione. La s.p.a. Ferrovie dello Stato ha resistito con controricorso. Il ricorso è stato assegnato, ai sensi dell’art. 142 disp. att., cod. proc. civ., alle Sezioni unite, per l’eventuale rilevanza di una questione di giurisdizione in ordine alla domanda – che il ricorrente asserisce proposta in luogo di quella, esaminata, invece, dal giudice a quo, di adeguamento dell’indennità di buonuscita – concernente il trattamento pensionistico.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Pregiudiziale all’esame della questione di giurisdizione è quello dell’assunto di inammissibilità dell’appello, la cui eventuale fondatezza implicherebbe il rilievo del giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado, che ha deciso la causa nel merito e che, per tale ragione, ove presidiata da siffatta irretrattabilità, ne estenderebbe gli effetti, con rilevanza panprocessuale, anche all’implicitamente ritenuta sussistenza della giurisdizione ordinaria.

L’assunto è, tuttavia, infondato, poiché come queste Sezioni unite hanno già avuto occasione di stabilire con la sentenza 18 aprile 1988, n. 3034, dalle cui conclusioni non v’è ragione di discostarsi, sulla validità dell’atto posto in essere dal difensore, iscritto, come nella specie, all’albo e munito di procura, non incidono eventuali situazioni d’incompatibilità con l’esercizio della professione, quali quelle discendenti dalla qualità di pubblico dipendente, che, sanzionatali sul piano disciplinare, non privano della legittimazione alla professione medesima, fino a che persista detta iscrizione.

Per altro verso, valgono le considerazioni che seguono. L’art. 3 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito in l. 22 gennaio 1934 n. 36 e recante disposizioni sull’ordinamento della professione di avvocato, stabilisce nel secondo comma che l’esercizio di tale professione è incompatibile, fra l’altro, con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato (oltre che di altri enti pubblici) e “in generale di qualsiasi amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni”.

Da questa disposizione, per l’espressa previsione contenuta nel successivo quarto comma lett. b del medesimo articolo, sono peraltro esclusi gli avvocati “degli uffici legali organicamente istituiti come tali presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari inerenti all’ufficio a cui sono addetti”.

Pertanto, in relazione al patrocinio esercitato dagli avvocati ai quali fa riferimento la norma di deroga, è prevista l’iscrizione dei medesimi “in un elenco speciale annesso all’albo” di ogni singolo Consiglio dell’ordine (ultimo alinea del medesimo quarto comma), proprio per significare che l’attività di rappresentanza e di difesa in giudizio può essere espletata dagli iscritti nell’elenco speciale esclusivamente nei confronti degli enti di appartenenza. Non è controverso che l’Ente Ferrovie dello Stato, istituito con la legge 17 maggio 1985 n. 210 per succedere in tutti i rapporti attivi e passivi già di pertinenza dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, si era dotato di un proprio Ufficio Affari Legali (v. il regolamento approvato con decreto del Ministro dei Trasporti del 25 ottobre 1990), nel quale erano stati immessi, previa assunzione in servizio e dislocazione presso le varie sedi compartimentali, professionisti abilitati, ivi compreso l’avv. YYY. Tale iscrizione ha mantenuto i suoi effetti anche nel periodo successivo alla trasformazione dell’Ente Ferrovie dello Stato in società per azioni, attuata in virtù delle disposizioni di legge e regolamentari che si sono succedute a decorrere dal 1992 (v., in particolare, il d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in l. 8 agosto 1992 n. 359 e la delibera CIPE 12 agosto 1992).

Infatti, con l’art. 2, quinto comma, d.l. 21 giugno 1993 n. 198, ultimo di una serie di decreti legge reiterati e convertito in l. 9 agosto 1993 n. 292, è stato modificato l’art. 18, primo comma, del d.l. n. 333 del 1992, sopra indicato, essendo stata estesa al personale dipendente degli enti pubblici economici privatizzati – ivi compreso, quindi, l’Ente Ferrovie dello Stato – la norma in precedenza dettata per gli enti creditizi privatizzati e contenuta nell’art. 3, comma 2, della legge 30 luglio 1990 n. 218, che aveva fatti salvi per i dipendenti “i diritti quesiti, gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza” (v. per l’interpretazione di tale disposizione di legge Cass. Sez. Un. 12 giugno 1997 n. 5301). Sostiene il ricorrente che le norme appena indicate, dalle quali la società controricorrente trae argomento per legittimare il corretto esercizio dello ius postulandi da parte dell’Avv. YYY nel giudizio di appello davanti al Tribunale di Napoli, non sono applicabili al caso in esame, occorrendo fare riferimento a tre altre disposizioni di legge.

Con la prima di tali disposizioni (art. 24, terzo comma, l. 17 maggio 1985 n. 210, relativa, come è stato detto sopra, alla istituzione dell’Ente Ferrovie dello Stato) sono state affidate all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza e la difesa in giudizio dell’ente di nuova istituzione, in conformità con le norme contenute nel r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (Testo Unico delle norme sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato).

Con la seconda disposizione (art. 15, comma 3 bis, d.l. 23 gennaio 1993 n. 16, convertito in l. 24 marzo 1993 n. 75) è stato stabilito che “in sede di prima applicazione delle disposizioni ‘inerenti alla privatizzazione degli enti pubblici economici’ continua ad applicarsi alle Ferrovie dello Stato s.p.a. quanto disposto dall’art. 24, terzo comma, della legge 17 maggio 1985 n. 210 per le controversie pendenti e limitatamente al grado di giudizio in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. La terza disposizione (art. 3 r.d 30 ottobre 1933 n. 1611, inerente all’Avvocatura dello Stato) faceva riferimento ad uffici giudiziari ormai soppressi, dato che stabiliva che “innanzi alle preture ed agli uffici di conciliazione le amministrazioni dello Stato possono, intesa l’avvocatura dello Stato, essere rappresentate dai propri funzionari che siano per tali riconosciuti”.

Dal combinato disposto delle tre norme di legge il ricorrente trae argomento per affermare che l’Ente Ferrovie dello Stato non poteva affidare la rappresentanza e difesa in giudizio a dipendenti facenti parte del proprio ufficio legale, essendo stato il suo patrocinio attribuito per legge, in via esclusiva, all’Avvocatura dello Stato e potendo i suoi funzionari (ancorché abilitati alla professione forense) rappresentare l’ente solamente davanti alle preture e agli uffici di conciliazione. Secondo il medesimo ricorrente, quindi, analoga situazione è derivata alla società per azioni di nuova costituzione, al momento della trasformazione dell’ente, limitatamente al grado dei giudizi in corso, con la conseguenza che l’Avv. YYY, pur essendo legittimata a rappresentare la società davanti al Pretore del lavoro di Napoli, era peraltro priva della necessaria legittimazione a ricevere la necessaria procura alle liti per impugnare la sentenza di primo grado davanti al Tribunale di Napoli e, quindi, a sottoscrivere l’atto di appello. Questa tesi – che va posta in relazione con una sentenza emessa da queste Sezioni Unite (n. 10367 del 19 ottobre 1998), con la quale è stato confermato il diniego dell’iscrizione nell’albo speciale di un Consiglio dell’ordine di un avvocato facente parte del molo legale della società Ferrovie dello Stato, pronunciato dal Consiglio Nazionale Forense (v. pure la successiva conforme sentenza n. 1255 del 12 dicembre 2000) – non tiene però conto del dato formale costituito dalla avvenuta (e come sopra rilevata) iscrizione dell’Avv. YYY, senza contestazioni di sorta, nell’albo speciale del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Napoli. Tale definitiva iscrizione, come deve ritenersi, ha legittimato la professionista all’esercizio dell’attività forense (naturalmente soltanto nell’interesse esclusivo dell’ente del quale la stessa era dipendente) senza le limitazioni alle quali fa riferimento il ricorrente, essendo stato l’esercizio stesso reso possibile, in primo luogo, dalla sopra indicata disposizione contenuta nell’art. 3, quarto comma lett. b, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, convcrtito in l. 22 gennaio 1934 n. 36 e relativa alla iscrizione negli elenchi speciali degli avvocati degli uffici legali organicamente istituiti presso gli enti sottoposti alla tutela e alla vigilanza dello Stato e, in secondo luogo, dalla norma di cui all’art. 3, secondo comma, della legge 30 luglio 1990 n. 218, pure già indicata, che ha fatto salvi, per i dipendenti degli enti pubblici privatizzati, “i diritti quesiti, gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza” (Cass. 3 giugno 2002, n. 7985).

In conclusione, dovendo essere considerato del tutto legittimo l’esercizio dello ius postulandi, davanti al Tribunale di Napoli, da parte dell’Avv. YYY che ha sottoscritto l’appello, tale atto deve essere ritenuto ammissibile, conformemente a quanto è stato affermato, con implicita pronuncia, dallo stesso Tribunale. Deve, dunque, anche escludersi la sussistenza del giudicato interno. La questione del difetto di corrispondenza fra chiesto e pronunciato è, a sua volta, pregiudiziale a quella di giurisdizione, poiché, ove dovesse rivelarsi infondata, ne seguirebbe la necessità di verificare la sussistenza o meno della potestas judicandi del giudice a quo con riguardo al contenuto della domanda dal medesimo identificato, laddove nell’ipotesi contraria, il riferimento non potrebbe che avvenire al contenuto della domanda effettivamente proposta dall’attore.

La Corte ritiene che ricorra quest’ultima ipotesi.

Come emerge dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio e come, del resto riferisce lo stesso ricorrente, questi aveva proposto una domanda così articolata: a) dichiarazione di nullità dell’accordo del 21 maggio 1992, limitativo della computabilità, a fini pensionistici, dei miglioramenti economici attributi dal C.N.L. per il periodo 1990 – 1992; b) dichiarazione del diritto al computo, ai detti fini, dell’incremento retributivo di cui al punto 4 dell’art. 37 del medesimo C.C.N.L. e) ordine alla convenuta di porre in essere i comportamenti e provvedimenti coerenti con tale declaratoria. Erroneamente il giudice a quo ha, invece, ritenuto che la domanda avesse ad oggetto la pretesa della computabilità dei suddetti incrementi retributivi al fine della liquidazione dell’indennità di buonuscita.
Orbene, con riguardo alla domanda effettivamente proposta, sussiste il difetto della giurisdizione ordinaria.

Per costante giurisprudenza delle Sezioni unite (cfr. tra le numerose altre conformi, le sentenze 27 dicembre 2000, n. 1212; Id, 12 aprile 2000, n. 130; Id.) 12 giugno 2000, n. 451; Id., 29 gennaio 2000, n. 20; Id., 30 dicembre 1999, n. 946; Id., 1 settembre 1999, n. 617; Id., 20 aprile 1998, n. 4018; Id., 21 marzo 1997, n. 2519; Id., 28 novembre 1996, n. 10618), la devoluzione alla giurisdizione contabile della materia relativa al trattamento di quiescenza dei dipendenti dell’azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, stabilita dagli artt. 13 e 62 r.d. 12 luglio 1934 a 1214, è rimasta immutata nonostante l’entrata in vigore della l. 17 maggio 1985 n. 210, istitutiva dell’Ente Ferrovie dello Stato, ed anche dopo la trasformazione dell’ente in società per azioni (verificatasi in virtù della delibera CIPE del 12 agosto 1992, a norma dell’art. 18 del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992 n. 359, sulla base delle disposizioni dettate in materia di trasformazione di enti pubblici economici dall’art. 1 del d.l. 5 dicembre 1991 n. 386, convenite in legge 29 gennaio 1992 n. 35). La ritenuta persistenza di siffatta giurisdizione si fonda sul rilievo che il trattamento pensionistico dei menzionati lavoratori grava su di un apposito Fondo che continua (anche dopo l’entrata in vigore della normativa da ultimo citata) ad essere alimentato parzialmente dallo Stato, il quale infatti, ai sensi dell’art. 210 comma ultimo d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, partecipa alla copertura del fabbisogno con contributo da stabilirsi, per ogni esercizio finanziario, in misura pari alla differenza fra le spese e le entrate del fondo stesso (v. Cass., sez. un., 28 novembre 1996, n. 10618 e successive conformi, nonché, con specifico riguardo al caso di domande di lavoratori già collocati a riposo, dirette alla riliquidazione della pensione sulla base di incrementi retributivi attribuiti al personale ancora in servizio, Cass. civ., sez. un., 12 aprile 2000, n. 130).

Nè può in contrario richiamarsi la circostanza del trasferimento delle posizioni assicurative del personale delle Ferrovie dello Stato dal soppresso Fondo pensioni all’apposito Fondo speciale istituito presso l’INPS ai sensi dell’art. 43 della L. 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) e del successivo decreto interministeriale 15 giugno 2000, atteso che queste sopravvenute disposizioni non hanno apportato un sostanziale mutamento al sistema pensionistico dei ferrovieri, non avendo inciso ne’ sulla disciplina della liquidazione delle prestazioni, che rimane ancorata alle “regole previste dalla normativa vigente”, ne’ sul concorso finanziario dello Stato a carico del quale rimangono, per espressa previsione del terzo comma del citato art. 43 “gli eventuali squilibri gestionali” del Fondo ai sensi dell’ari 210, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973 n. 1092.

Questo criterio di collegamento si rinviene anche nel caso di specie. Ai sensi dell’art. 386 cod. proc. civ., la giurisdizione si determina dall’oggetto della domanda ed il significato della disposizione va inteso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, nel senso che il criterio in base al quale debbono essere regolati i rapporti tra le diverse giurisdizioni è quello del “petitum sostanziale”, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi non soltanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, in funzione della “causa petendi”, costituita dal contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuabile in relazione alla sostanziale protezione accordata, in astratto, dall’ordinamento alla posizione medesima, senza che a tal fine possa assumere rilievo la prospettazione della parte.

Orbene, alla stregua di tali criteri interpretativi, la domanda introduttiva del giudizio di merito, nei termini riferiti, esibisce un petitum sostanziale che riguarda specificamente il rapporto previdenziale implicante l’intervento del suddetto Fondo pensioni il cui disavanzo è destinato ad essere ripianato dalla finanza pubblica.

Invero la lettura del menzionato atto consente di rilevare come nel medesimi espressamente si precisi che l’accertamento del diritto ai miglioramenti economici conseguenti all’applicazione del C.C. di categoria è richiesto, non in funzione della determinazione del contenuto delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro ed ai fini dell’esatto adempimento delle medesime, bensì come mezzo al fine di ottenere la condanna all’erogazione di un trattamento pensionistico parametrato ad una più consistente base di computo. La domanda, dunque, chiaramente concerne una controversia sulla misura della pensione, venendo in questione la spettanza dei miglioramenti di cui trattasi esclusivamente sotto il profilo della quantificazione di siffatta misura, senza alcuna possibilità che, con riferimento all’oggetto ed all’ambito del giudizio la decisione della Corte dei Conti abbia incidenza sull’ormai cessato rapporto di lavoro e sui provvedimenti determinativi del trattamento economico, in relazione ai quali l’esame di detto giudice si esplica solamente per valutarne gli effetti ai fini della riliquidazione della pensione (cfr. Cass., sez. un., 29 dicembre 1997, a 13058; Id., 18 dicembre 1997, n. 12826).

In conclusione, considerato l’effetto sostitutivo della sentenza di primo grado, verificatosi con la pronuncia di quella d’appello, la quale rimane, quindi, il solo dictum giudiziale sul quale è destinata ad incidere la statuizione di questa Corte, e ritenuto che, in relazione al contenuto della domanda introduttiva, la causa doveva essere portata alla cognizione della Corte dei conti, deve essere cassata senza rinvio la suddetta sentenza di gravame, con contestuale declaratoria della giurisdizione di tale ultimo giudice. Le alterne vicende della lite, il rilievo della questione di giurisdizione soltanto in questa sede ed il carattere meramente processuale della definizione del giudizio inducono a ritenere sussistenti giusti motivi per disporre la compensazione fra le parti le spese dell’intero processo, sulle quali la Corte è chiamata a provvedere, ai sensi dell’art. 385, secondo comma, cod. proc. civ., per effetto del tipo di pronuncia emessa.

 

P.Q.M.

 

La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara la giurisdizione della Corte dei conti e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2003.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2004