Il Consiglio di Stato da’ torto ai riservisti del concorso per docenti (non abilitati e bocciati alla prova preselettiva)

Con decisione resa sul ricorso straordinario n. 491/13, la seconda sezione del Consiglio di Stato ha escluso dal concorso per il personale docente, indetto con decreto 82/12, quattordici candidati che avevano presentato domanda di partecipazione pur essendo privi dell’abilitazione all’insegnamento o di una laurea conseguita entro l’anno accademico 2001/02 (come specificamente previsto dall’art.2 dal bando di concorso).

In particolare, il massimo organo della giustizia amministrativa ha ritenuto l’infondatezza della domanda “avuto riguardo all’impianto normativo vigente ed applicabile, alle finalità di tutela, anche in via transitoria, dei soggetti ivi contemplati, da tempo in attesa di espletare le prove d’accesso alle cattedre e agli incarichi di docenza, nonché alla compatibilità del detto impianto con la Carta Costituzionale”.

Per meglio comprendere la motivazione del Consiglio di Stato, occorre tenere presente che, sin dal 1990 (legge 341/90, art.4), la normativa ha imposto uno specifico percorso di abilitazione all’insegnamento (ivi compreso un congruo periodo di tirocinio pratico), al condivisibile fine di  pervenire ad un elevato livello di qualificazione professionale del corpo docente e, quindi, in ottemperanza al principio costituzionale (art. 97) di buon andamento del servizio pubblico d’istruzione (da qui il richiamo del Consiglio di Stato anche alla Carta Costituzionale); a tal fine, sono state, quindi, attivate, com’è noto, le Scuole universitarie di Specializzazione (S.I.S.S.), prima, e gli analoghi Corsi universitari per il Tirocinio Formativo Attivo (T.F.A.), come, peraltro, imposto dall’ordinamento comunitario. Con tale impianto, legislativo e costituzionale, è, quindi, evidentemente incompatibile, il conseguimento dell’abilitazione con il mero superamento del concorso; evenienza che, difatti, il bando in questione prevede, in via del tutto eccezionale e transitoria, solo per coloro che avessero situazioni di risalente affidamento in ordine alla spendibilità del proprio titolo di studio, in quanto avevano già intrapreso un percorso universitario allorquando, con  D.M. n.460 del 1998, venne definitivamente chiarito che non sarebbe stato più possibile partecipare ai concorsi per docenti con il solo titolo di laurea.

Anzi, a parere di chi scrive, i candidati danneggiati, ai fini della nomina in ruolo, dalla presenza nelle graduatorie finali del concorso di candidati non abilitati, oltre a richiedere il depennamento dei laureati dopo il 2002 (con ottime chances di successo, considerato che il TAR Lazio ha ammesso solo provvedimenti di ammissione cautelativa e con espressa riserva di valutare nel merito la fondatezza dei ricorsi, mentre il Consiglio di Stato si è già espresso, nel merito, in senso avverso ai ricorrenti), potrebbero porre, altresì, in giudizio – entro il previsto termine di decadenza  – questione di legittimità del bando di concorso nella parte in cui non preclude la partecipazione di tutti i non abilitati, considerata la più rigida previsione legislativa, in tal senso, di cui all’art.400 comma 12 del Testo Unico sulla Scuola (D.Lgs. 1997/94), norma di rango superiore.

Analoga evoluzione giurisprudenziale ha avuto l’ulteriore questione relativa alla soglia di superamento della prova preselettiva, fissata dal bando di concorso in 35 punti, da taluno ritenuta troppo severa e da doversi, invece, rifissare in 30 punti.

Anche in tal caso il TAR Lazio ha emesso meri provvedimenti di ammissione cautelativa, senza entrare nel merito della fondatezza dei ricorsi. Il Consiglio di Stato, con decisione resa sul ricorso straordinario n.450/13, ha, invece, già chiarito che “la norma richiamata dalla ricorrente (art.400, comma 11, d. lg. 297/94), in relazione alla votazione minima  di ciascuna prova di esame per procedere alla valutazione delle prove successive, non preclude la possibilità di fissare legittimamente per la prova in questione, che è preselettiva, una votazione minima necessaria (pari all’equivalente di 7/10) corrispondente alla votazione complessiva  minima prevista dal bando (e dal comma 10 della medesima norma richiamata) per le prove scritte, nonché per quelle grafiche, pratiche e orali”.

Per entrambe le questioni di cui sopra non può che auspicarsi un’uniformità di pronunzie giurisprudenziali, nel solco di quanto già disposto dal Consiglio di Stato, onde evitare disparità di trattamento tra i vari candidati, oltre che pericolosi arretramenti sul piano della meritocrazia e dell’efficienza del servizio pubblico d’istruzione.

Avv. Fabio Rossi