di Antimo Di Geronimo
L’art. 40 del CCNL dispone che i docenti precari titolari di spezzone hanno diritto, in presenza delle relative disponibilità, a completare l’orario di cattedra o, perlomeno, all’elevamento di orario.
Tale diritto, che le parti hanno concepito alla stregua di incondizionato, è stato interpretato dalla giurisprudenza di merito in senso restrittivo, introducendo una vera e propria condizione (non prevista da alcuna disposizione pattizia o di legge). Condizione che postula la intangibilità dell’orario delle lezioni già in essere presso la scuola di completamento.
In buona sostanza, dunque, tale indirizzo degrada il diritto al completamento, di fatto, a mero interesse legittimo, atteso che pone nella disponibilità del dirigente scolastico il diritto di precludere la fruizione del bene della vita qualificato con il nomen iuris di “diritto al completamento”, opponendo la mera intangibilità dell’orario delle lezioni. Il completamento, quindi, non sarebbe un diritto, ma l’aspirazione a un bene della vita oggetto di potere amministrativo, secondo la nota definizione di interesse legittimo operata dalle Sezioni Unite con la famosa sentenza 500/99.
Non vi è chi non veda che tale posizione ermeneutica pone nel nulla il diritto alla retribuzione sufficiente, di cui l’art. 40 u.c. CCNL è espressione e, nel contempo, riduce il principio del merito ad una mera eventualità legata all’alea della possibilità di incastrare perfettamente lo spezzone di completamento nella disponibilità oraria del docente interessato. Con ciò includendo il contratto individuale di lavoro, basato sull’insorgenza del diritto di cui al citato art. 40 CCNL, nel novero dei contratti aleatori.
Il rischio che si corre è quello di privare gli alunni interessati del diritto a giovarsi del docente più titolato, in favore di altro docente meno titolato e, per questo motivo, non titolare di altro spezzone.
Oltre, naturalmente, alla mancata soddisfazione del diritto alla retribuzione sufficiente in capo al docente più meritevole.
Tale orientamento, già affermato da taluni giudici di primo grado, ha ottenuto di recente il crisma dei giudici di II grado, per il tramite di una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Potenza il 14 marzo 2012 (n.72) il cui testo si riporta di seguito.
Corte d’Appello di Potenza – Sentenza n. 72-2012