Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, e di maltrattamenti a danno degli studenti. L’obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 331 c.p.p.

Alcuni comportamenti “sopra le righe” dei docenti nei confronti di alunni/studenti non solo possono configurare violazione di norme deontologiche, contrattuali, e disciplinari, ma anche alcune tipologie di reato tra cui il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 c.p.), e di maltrattamenti /art. 572 c.p.).

L’art. 571 c.p. recita:

“Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni”.

L’art. 572 c.p. recita:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.”

Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è un reato proprio (ossia che può essere riferito solo ad un soggetto che esercita una autorità negli ambiti indicati dall’art. 571 c.p., che si consuma anche con una sola condotta. Le condotte poste in essere, e configuranti il reato, sono lecite, ma eccessive rispetto al necessario: ad esempio un rimprovero (condotta lecita), ma esplicitato attraverso insulti (condotta non congrua) nei confronti di uno studente indisciplinato.

Anche il reato di maltrattamenti è un reato proprio, ma con la differenza che si tratta di un reato abituale, ossia che richiede per il suo configurarsi più condotte maltrattanti, tenute nel corso del tempo. In merito si riporta la chiara distinzione tra i due reati, operata dalla Corte di Cassazione:

Cassazione  penale. n. 17810/2019

In tema di rapporti tra maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, nel caso di uso sistematico di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del minore affidato, anche se sorretto da “animus corrigendi”, deve escludersi la configurabilità del meno grave delitto previsto dall’art. 571 cod. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che integri il delitto di maltrattamenti la condotta di sistematico ricorso ad atti violenti tenuta dal ricorrente nei confronti dei figli minori della propria convivente, a nulla rilevando il preteso intento educativo).

Entrambi i reati sono perseguibili di ufficio.

Di seguito una sintetica rassegna giurisprudenziale della Corte di Cassazione in riferimento all’art. 571 c.p., e la citazione di una sentenza della Corte di Cassazione che specifica ulteriormente le differenze tra il reato di cui all’art. 571 c.p. e il reato 572 c.p..

Cassazione penale n. 7969/2020

in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l’intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità, sicché integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi” (Cass. Pen., n. 9954/2016; Cass. Pen., n. 47543/2015).

Cassazione penale n. 44109/2018

Relativamente alla fattispecie giuridica di inquadramento del caso in esame, va detto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi (Sez. 6, n. 9954 del 03/02/2016).

A ciò si aggiunga che l’abuso dei mezzi di correzione, previsto e punito dall’art. 571 cod. pen., presuppone un uso consentito e legittimo di tali mezzi tramutato per eccesso in illecito (abuso); ne consegue che non è configurabile tale reato qualora vengano usati mezzi di per sé illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità di danno (Sez. 5, n. 10841 del 09/05/1986).

Cassazione penale n. 9954/2016

4.1. Ai fini della valutazione della condotta deve tenersi conto che nel rapporto tra insegnante e bambini affidati alle sue cure assume predominante rilievo il profilo educativo, rispetto al quale il bambino deve essere considerato non destinatario passivo di una semplice azione correttiva ma titolare di diritti, a cominciare da quello alla propria dignita’, che implica in ogni caso un’azione volta a realizzare l’armonico sviluppo della sua personalita’ (si rinvia a Cass. Sez. 6, n. 4904 del 18/3/1996, C., rv. 205033).

Cio’ preclude in partenza ogni strumento che faccia leva sulla violenza, pur orientata a scopi educativi (Cass. Sez. 6, n. 4904 del 1996, C., cit.).

In realta’ il perseguimento di una finalita’ correttiva o educativa e’ del tutto irrilevante, giacche’, proprio a fronte della peculiare qualita’ del destinatario del comportamento, deve considerarsi preclusa qualunque condotta che assuma in concreto il significato dell’umiliazione, della denigrazione, della violenza psicologica (Cass. Sez. 6, n. 34492 del 14/6/2012, V., rv. 253654), oltre che, come detto, della violenza fisica.”

Cassazione penale n. 47543/2015.

Anche con riguardo ai restanti comportamenti compresi nell’abuso di mezzi di correzione le valutazioni della Corte territoriale sono in sintonia con gli approdi della giurisprudenza, secondo la quale (Sez. VI, n. 34492 del 14/6/2012, Rv. 253654) integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che umilii, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità.”

Cassazione penale n. 53425/2014

“…con riguardo ai bambini il termine “correzione” va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. E che in ogni caso non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perchè non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini.”

Cassazione penale n. 3459/2021

“3.1. Nell’individuazione dei confini tra le fattispecie di cui agli artt. 571 e 572 c.p., particolarmente nell’ambito scolastico, questa stessa sezione della Corte di cassazione ha avuto modo di enunciare i seguenti principi di diritto, che si attagliano perfettamente al caso in rassegna e che, pertanto, il Collegio intende ribadire.

1) L’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto e punito dall’art. 571 c.p., consiste nell’uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi od educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore nonchè dalla scienza pedagogica, quali, a mero titolo esemplificativo, l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate.

2) L’uso di essi deve ritenersi appropriato, quando ricorrano entrambi i seguenti presupposti: a) la necessità dell’intervento correttivo, in conseguenza dell’inosservanza, da parte dell’alunno, dei doveri di comportamento su di lui gravanti; b) la proporzione tra tale violazione e l’intervento correttivo adottato, sotto il profilo del bene-interesse del destinatario su cui esso incide e della compressione che ne determina. 3) Qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo; e, qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti, ai sensi dell’art. 572, c.p. (Sez. 6, n. 11777 del 21/01/2020, P., Rv. 278744).

3.2. Nello specifico, dunque, risulta accertato in fatto che l’imputato apostrofasse sistematicamente la vittima, allora appena dodicenne, durante le lezioni e comunque dinanzi ai compagni di classe, con epiteti dall’indiscutibile valenza ingiuriosa (“fetente”, “deficiente”, “coglione”, “fituso”, che sta per sporco, e “vucca aperta”, nel senso di stolto), ma anche umiliante, considerando la differenza di ruolo, oltre che di età, tra costoro. Di contro, non soltanto non risulta che un siffatto contegno si rendesse necessario a scopi correttivi, ma anzi è indiscutibile che, in ogni caso, e cioè quand’anche il suo autore avesse agito con quegli intenti, tale suo comportamento non fosse affatto adeguato a questi ultimi, perciò mancando anche del necessario requisito della proporzione. Deve, perciò, ritenersi corretta la qualificazione del fatto come delitto di “maltrattamenti”, ai sensi dell’art. 572 c.p..”

Conclusioni.

L’iter argomentativo delle sentenze sopra indicate rispecchia il più generale e consolidato pensiero psico-pedagogico-didattico. In ogni caso la Comunità Educante ha il dovere non solo etico e morale di “vigilare” affinché non accadano comportamenti configuranti i reati di cui all’art. 571 c.p. e 572 c.p., ma nel caso dei dirigenti scolastici e dei docenti, in quanto pubblici ufficiali, sussiste l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. qualora vengano a conoscenza di comportamenti che possono prefigurare i predetti reati; nel caso di omissione dovranno rispondere a loro volta del reato di cui all’art. 361 c.p., che recita:

Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da euro 30 a euro 516.

La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria [c.p.p. 57], che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto [c.p.p. 330332347].

Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.”

 

Giovanni Paciariello, Presidente dell’Associazione Papa Giovanni Paolo II, che si occupa della tutela dei diritti degli studenti, e dirigente scolastico in quiescenza.