Licenziamento ritorsivo: alcune questioni e considerazioni

Alla luce delle recenti riforme sul contratto a tutele crescenti, una delle problematiche di maggior spessore è data dalla questione dell’applicazione del licenziamento ritorsivo.

I) Definizione

Il licenziamento, per essere considerato ritorsivo, deve costituire l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e proprio quest’ultimo ha l’onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso (https://forum.la-leggepertutti.it)

II) Problematiche di ordine generale

Secondo la giurisprudenza, il licenziamento intimato per ritorsione sarebbe un licenziamento nullo, in quanto fondato su motivo illecito determinante.

Caduto però il riferimento normativo al motivo illecito determinante il rischio concreto è ora quello che questa figura giurisprudenziale del “licenziamento ritorsivo” potrebbe essere quella di ricondurlo al concetto di “licenziamento discriminatorio”.

Rimane però concreta la possibilità che questa formula, creata dalla giurisprudenza proprio per estendere i casi in cui concedere la reintegrazione sul posto di lavoro dipendente illecitamente licenziato, vada via via scomparendo, venendo di fatto applicata a casi limite e resa inapplicabile attraverso il richiamo a oneri in capo al lavoratore (https://laleggepertutti.it).

III) La recente pronuncia di Cassazione n. 3986/2015 del 27.02.2015

La Corte di Cassazione con una recente pronuncia ha infatti chiarito che non è sufficiente che il licenziamento sia, anche se palesemente, ingiustificato perché vi sia un licenziamento ritorsivo.

È invece necessario qualcosa di più e cioè che il motivo pretesamente illecito che sorregga il recesso datoriale, contrario all’ordine pubblico e al buon costume, sia stato l’unico determinante e che il lavoratore ne abbia fornito una prova, anche presuntiva.

Così ad esempio è ritorsivo il licenziamento formalmente intimato dal datore di lavoro “per motivo oggetti-vo” (crisi aziendale) ma in realtà posto in essere dopo che il lavoratore, per anni reso oggetto di mobbing, abbia intentato una causa di risarcimento danni avanti al Giudice del Lavoro, purché sia fornita la prova che sia stato unicamente l’intento di vendicarsi di tale iniziativa a far sorgere nel datore di lavoro la volontà di liberarsi del dipendente e che non sia rinvenibile nessuna altra concausa di tale decisione.(ancora: https://laleggepertutti.it)

Si tratta, è chiaro, di una prova molto difficile da raggiungere: di fatto questo orientamento della Cassazione limita moltissimo le ipotesi di reale applicazione del licenziamento ritorsivo e, con esso, le possibilità per il lavoratore ingiustamente licenziato, di veder dichiarato nullo il provvedimento espulsivo ritornando quindi a lavorare nello stesso posto. (ancora: Maria Luisa Offer: https://laleggepertutti.it).

IV) Ancora aspetti sostanziali sul licenziamento ritorsivo alla luce di norme e sentenze di merito

Sotto la prospettiva sopra delineata, dunque, il motivo illecito, ex articolo 1345 cod. civ., deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini dell’applicazione della tutela prevista dall’articolo 18, comma 1, st.lav. novellato, ri-chiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento.

Questo è peraltro quanto recentissimamente stabilito da Cass. Civ. Sez. Lav. 04.04.2019, n. 9468. (c.f.r.:https://laleggepertutti.it, cit.)

D’altro canto, il recente intervento nomofilattico si colloca in linea con gli aspetti sostanziali relativi alla causa e al motivo quali elementi essenziali del contratto.

Com’è noto, a differenza della causa, il motivo del contratto è soggettivo e attiene alle ragioni particolari perle quali le parti si sono determinate a contrarre.

L’articolo 1325 cod. civ., del resto, individua quale elemento essenziale del contratto la sola causa, mentre i motivi sono normalmente irrilevanti a meno che non abbiano influito sulla volontà negoziale “fuorviandola” come nel caso di motivi erronei o illeciti nei negozi gratuiti.

Ai sensi del combinato disposto degli articoli 1418, comma 2 e 1325 cod. civ., il motivo illecito rende dunque nullo il contratto quando sia esclusivo, cioè determinante il consenso alla stipulazione negoziale e comune, cioè tale da muovere la volontà di entrambe le parti. (c.f.r.: Fratini, Manuale di diritto civile, Nel Diritto).

Dunque, sotto un aspetto di definizione anche dottrinale, risulta chiaro che una ragione economico-individuale risulti difficile da provare, perché comunque attinente alla mera sfera d’azione del singolo.

Sotto tale prospettiva, peraltro, si pongono anche alcune pronunce di merito.

Taluni, infatti, sia pure con riferimento a clausole di gradimento, parlano infatti, nei casi in esame, di esercizio di un diritto potestativo da parte del datore di lavoro (c.f.r: Corte Appello Milano, Sez. Lav. 10.10.2018n. 1471).

V) Considerazioni finali.

Chiaro dunque, alla luce delle recenti riforme e della evoluzione giurisprudenziale, che il licenziamento ritorsivo è una figura che deve (ri)trovare giusta collocazione nell’ordinamento giuslavoristico.

La recente giurisprudenza, soprattutto di legittimità, nell’insistere sui presupposti di cui alle norme, in parti-colare quelle sul motivo quale ragione economico-individuale, ribadisce l’onere, forse gravoso per il lavoratore, di provare questa volontà rinunciativo-dismissiva da parte del datore.

È quindi necessario porre bene l’attenzione su tutti questi aspetti e sulla prova, in quanto, come sottolineato, si tratta di argomentazioni che, in un eventuale giudizio, potrebbero essere gravose per il lavoratore.

Avv. Michele Vissani

Vicolo Lungo 4

62027 San Severino Marche (MC)