Riconoscimento della progressione stipendiale del CCNL Comparto Scuola – Docente precaria

Il Tribunale di Modena – sez. Lavoro, Giudice Dott. Vincenzo Conte, con la Sentenza n. 264/2020 del 30.06.2020, accogliendo la tesi dell’avvocato Giuseppe Versace (Presidente dell’Associazione Avvocati di Diritto Scolastico), ha respinto le motivazioni del Ministero Dell’Istruzione, riconoscendo alla Docente la progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato ex CCNL, succedutisi nel tempo e, per l’effetto, condanna il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca a corrispondere le relative differenze retributive, oltre interessi legali o, se maggiore, rivalutazione monetaria, dalla data di maturazione di ciascun incremento retributivo fino al saldo; Inoltre ha accertato il diritto della Docente all’inserimento nella fascia stipendiale 3-8. Il Giudice Modenese ha condannato il Ministero alle spese di lite, con la seguente motivazione:  

 

“Il merito: progressione stipendiale ex C.C.N.L. Comparto Scuola – scatti biennali ex art. 53 Legge 312/1980 – differenze retributive.

4.1. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato è stato sancito, nell’ordinamento comunitario, dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, che al punto 1 stabilisce: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive»; in particolare, al punto 4 della clausola si prevede: “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.

Nell’interpretare la Direttiva 1999/70/CE, la Corte di Giustizia UE (cfr. Sent. 13.9.2007, C-307/05, Del Cerro Alonso) ha stabilito che le prescrizioni dell’Accordo Quadro e della citata Direttiva sono applicabili anche «ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le Amministrazioni e con altri enti del settore pubblico» (cfr. Sent. 4.7.2006, C-212/04, Adeneler e altre), trattandosi di «norme di diritto sociale comunitario di particolare importanza» che devono trovare applicazione a «tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di impiego a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro».

La Corte ha poi chiarito il significato della locuzione «condizioni di impiego», precisando che la riserva di cui all’art. 137, n. 5, del Trattato UE (che esclude la materia della retribuzione dalle competenze delle istituzioni comunitarie) «non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione».

Quanto poi alla questione degli scatti di anzianità del personale assunto a termine dalle pubbliche amministrazioni, di ruolo o non di ruolo, la CGUE ha affermato: «La mera circostanza che un impiego sia qualificato come ‘di ruolo’ in base all’ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato è priva di rilevanza sotto questo aspetto, a pena di rimettere seriamente in questione l’efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell’Accordo Quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari».

La Corte di Giustizia ha infine spiegato che la nozione di “ragioni oggettive” che, secondo la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, possono giustificare la deroga al principio di non discriminazione in materia di periodi di anzianità, “non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo”, ma solo quando “la disparità di trattamento in causa sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria”. In conclusione, la nozione di “condizioni di impiego” di cui alla clausola 4, punto 1, “dev’essere interpretata nel senso che essa può servire da fondamento ad una pretesa … che mira ad attribuire ad un lavoratore a tempo determinato scatti di anzianità che l’ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato”.

Tali principi sono stati ribaditi nella sentenza del 22/12/10 (resa nei procedimenti riuniti C-444/09, Gaviero e C-456/09, Iglesias Torres): “un’indennità per anzianità di servizio … rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d’impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’Accordo Quadro”.

Ancora più di recente la Corte di Giustizia (ordinanza del 7/3/13 in causa C-393/11), pronunciando sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni dettate in tema di inquadramento dei dipendenti “stabilizzati” dall’art. 75 D.L. n. 112/08, ha richiamato detti principi, evidenziando innanzitutto che le ragioni oggettive che giustificano la diversità di trattamento, devono consistere in “elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”.

Deve, invece, escludersi che possa configurare una ragione oggettiva il mero richiamo alla natura temporanea del rapporto, in quanto ciò “svuoterebbe di contenuti gli obiettivi della direttiva e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato” (punto 41); “il principio di non discriminazione, enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro, sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una “ragione oggettiva” ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversità di trattamento…”, essendo necessario “prendere in considerazione la natura particolare delle mansioni svolte dai resistenti nel procedimento principale” (punti 50 e 51).

Nella citata ordinanza è stata infine affrontata anche la questione delle modalità di reclutamento e la Corte ha evidenziato che la diversità fra procedura di stabilizzazione (che veniva in rilievo nel procedimento principale) e concorso pubblico può giustificare una diversità di trattamento quanto alle condizioni di impiego solo qualora “un siffatto trattamento differenziato derivi dalla necessità di tener conto di esigenze oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione” (punti 45 e 46).

Nella sentenza del 18/10/12 (nella causa C-302/11, Valenza), pronunciata sempre con riferimento alle procedure di stabilizzazione, la Corte ha in sintesi affermato che “se nell’ambito della presente causa fosse dimostrato – conformemente alle deduzioni in tal senso svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali, rammentate al punto 47 della presente sentenza – che le funzioni svolte da queste ultime in veste di dipendenti di ruolo sono identiche a quelle che esse esercitavano in precedenza nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, e se fosse vero che, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la normativa nazionale in questione mira a valorizzare l’esperienza acquisita dai dipendenti con contratto a termine in seno all’AGCM, simili elementi potrebbero suggerire che la mancata presa in considerazione dei periodi di servizio compiuti dai lavoratori a tempo determinato è in realtà giustificata soltanto dalla durata dei loro contratti di lavoro e, di conseguenza, che la diversità di trattamento in esame nei procedimenti principali non è basata su giustificazioni correlate alle esigenze oggettive degli impieghi interessati dalla procedura di stabilizzazione che possano essere qualificate come “ragioni oggettive” ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro”.

4.2. Tali principi sono stati recepiti nella pronuncia della Cassazione n. 22558/16: “In particolare la Corte (di Giustizia delle Comunità Europee) ha evidenziato che:

  1. a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);
  2. b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);
  3. c) le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);
  4. d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi)”.

Ne consegue che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste, quindi, a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacché detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9/7/15, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32).

Le previsioni dei CCNL del Comparto Scuola succedutesi nel tempo si pongono in contrasto con la Direttiva sopra citata e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Invero tali previsioni sono fondate sul principio sancito dall’art. 526 D. Leg. n. 297/94, secondo cui “al personale docente ed educativo non di ruolo spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale docente di ruolo” senza alcun riconoscimento dell’anzianità di servizio. I contratti collettivi, invece, prevedono per il personale assunto a tempo indeterminato un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali, e stabiliscono che il passaggio tra una posizione e l’altra avviene alla maturazione di una determinata anzianità di servizio senza demerito.

Tale disparità di trattamento sotto il profilo retributivo potrebbe ritenersi giustificata, ai sensi della Direttiva 1999/70/CE, soltanto ove fosse dimostrata l’esistenza di “ragioni oggettive”, che tuttavia, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, devono essere strettamente attinenti alle modalità di svolgimento della prestazione e non possono consistere nel carattere temporaneo del rapporto di lavoro, nel fatto che il datore di lavoro sia una Pubblica Amministrazione, nella circostanza che il trattamento deteriore sia previsto da una norma interna generale e astratta, quale una legge o un contratto collettivo, nella sola diversità delle modalità di reclutamento.

Ragioni incentrate sulla specialità del sistema normativo di reclutamento del personale scolastico (caratterizzato dalla necessità di garantire il servizio scolastico) e di assegnazione della supplenza (caratterizzata dall’imprevedibilità delle esigenze sostitutive) possono essere invero legittimamente invocate per sostenere la legittimità del ricorso da parte dell’amministrazione alle assunzioni a tempo determinato del personale scolastico, ma non hanno alcuna correlazione logica con la negazione della progressione retributiva in funzione dell’anzianità di servizio maturata, che risponde unicamente ad una finalità di risparmio di spesa pubblica, del tutto estranea alle “ragioni oggettive” nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato.

Detto altrimenti, non vi sono ostacoli razionali alla possibilità di ricostruire la carriera intera del personale assunto ripetutamente a termine, tenendo conto dei rapporti pregressi (ovviamente nella loro durata concreta, senza alcuna proiezione in avanti della stessa) ed applicando gli scatti allo stesso modo di quanto avviene per il personale a tempo indeterminato.

Il contrasto tra le previsioni del diritto dell’Unione e le regole dettate dalla normativa interna speciale del settore scolastico, non giustificato da “ragioni oggettive”, deve essere risolto dal giudice nazionale in favore delle prime, attesa la loro superiorità nella gerarchia delle fonti, attraverso la disapplicazione delle norme interne confliggenti. E’ infatti pacifico, come ribadito nella citata sentenza Gavieiro, che “qualora non possano procedere ad un’interpretazione e ad un’applicazione della normativa nazionale conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e gli organi dell’amministrazione hanno l’obbligo di applicare integralmente quest’ultimo e di tutelare i diritti che esso attribuisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno”; nella stessa sentenza la Corte ricorda che “la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego»: essa, pertanto, «è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da dipendenti pubblici temporanei dinanzi ad un giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il beneficio delle indennità per anzianità di servizio”.

Secondo il principio di diritto enunciato nella sentenza n. 22558/2016, “la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato” (in senso conforme le successive pronunce della Cass. n. 8945/2017, Cass. n. 20918/2019).

4.3. Gli approdi interpretativi testé esposti non possono essere messi in discussione, almeno con riferimento al caso di specie, dalla recente sentenza della C.G.U.E., 20 settembre 2018, in causa C-466\17, Motter. In tale pronuncia la Corte di Giustizia ha esplicitamente affermato che “[…] gli obiettivi invocati dal governo italiano consistenti, da un iato, nel rispecchiare le differenze nell’attività lavorativa tra le due categorie di lavoratori in questione e, dall’altro, nell’evitare il prodursi di discriminazione alla rovescia nei confronti di dipendenti pubblici di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso generale, possono essere considerati come configuranti una “ragione oggettiva ai sensi della clausola 4… nei limiti in cui essi rispondano ad una reale necessità” e che, in tutta teoria, “.. non si può ritenere che una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale consente di tener conto dell’anzianità eccedente quattro anni maturata nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato solo nella misura dei due terzi vada oltre quanto è necessario per conseguire gli obiettivi precedentemente esaminati e raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato, nel rispetto dei valori di meritocrazia delle considerazioni imparzialità e di efficacia dell’amministrazione su cui si basano le assunzioni mediante concorso”.

La stessa Corte Europea ha fatto riferimento, esemplificativamente, ad alcuni criteri che integrerebbero oggettive differenze di esperienza tra precari ed assunti di ruolo, quali l’insegnamento, da parte dei primi, di svariate materie, nonché “delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti” (cfr. p. 49 sent. Motter) e “… la mancata verifica iniziale delle competenze mediante un concorso ed il rischio di svalutazione di tale qualifica professionale” (p. 50) tali da costituire “ragione oggettiva” di non irragionevoli differenziazioni di carriera tra le due categorie.

Analogamente Cass. n. 31149/2019 ha statuito che: “Poiché, ad avviso del Collegio, la lettura della pronuncia deve essere complessiva, non possono essere svalutate, come ha fatto il Ministero ricorrente nel corso della discussione orale, le affermazioni contenute ai punti 33-34 e 37-38, quanto alla non decisività della diversa forma di reclutamento ed alla necessità che la disparità di trattamento sia giustificata da «elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi», sicché la verifica che il giudice nazionale, nell’ambito della cooperazione istituita dall’art. 267 TFUE, è chiamato ad effettuare riguarda tutti gli aspetti che assumono rilievo ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro, ivi compresa l’effettiva sussistenza nel caso concreto delle ragioni fatte valere dinanzi alla Corte di Lussemburgo dallo Stato Italiano per giustificare la disparità di trattamento” […] “E’, pertanto, da escludere che la disciplina dettata dall’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994 possa dirsi giustificata dalla non piena comparabilità delle situazioni a confronto e, comunque, dalla sussistenza di ragioni oggettive, intese nei termini indicati nei punti che precedono” (cfr. punti 7 e 8).

Fermo restando – perché in alcun modo messo in discussione neppure dalla più recente giurisprudenza della C.G.U.E.- che la regola generale è il divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato e che questo è quanto unicamente deve dedurre chi agisce in giudizio, va rilevato che la prova della concreta sussistenza di ragioni giustificatrici di una differenza di trattamento tra gli stessi spetta certamente all’Amministrazione, in quanto fatto impeditivo e/o riduttivo della lesione economica derivante dalla violazione di un principio generale ed astratto. Nel caso di specie, nessuna prova è stata data della sussistenza di siffatte ragioni giustificatrici, il che rende insuscettibile di modifiche l’approdo interpretativo ormai diffusamente raggiunto, confermando il diritto di parte attrice alla piena parità di trattamento. In tal senso la prevalente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Milano sez. lav., 08/07/2019, n. 1688; Trib. Roma sez. lav., 22/10/2019, n. 9093).

Si osserva, inoltre, che anche recentemente la Corte di Lussemburgo ha ribadito i suddetti principi nella sentenza del 20.6.2019 (Causa C- 72/18, Ustariz Aróstegui), secondo cui “la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione, in particolare, degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto, se il compimento di un determinato periodo di servizio costituisce l’unica condizione per la concessione di tale integrazione salariale.”

4.4. La comparazione, ai fini della ricostruzione della teorica anzianità di servizio del lavoratore a termine, non può che avvenire facendo riferimento ai mesi effettivamente lavorati dal docente a termine, e non certo simulando la sussistenza di contratti di durata annuale, quando i contratti, con riferimento ad ogni anno scolastico, hanno avuto durata inferiore. La mancanza di “ragioni oggettive” idonee a giustificare una disparità di trattamento ricorre infatti solo quando il docente a tempo determinato abbia operato in ragione di più contratti a tempo determinato in successione, senza rilevante soluzione di continuità, e di durata almeno annuale o comunque tale da coprire pressoché integralmente ciascun anno scolastico. Solo in questo caso, durata e frequenza delle prestazioni non differiscono, in fatto, da quelle del personale docente assunto a tempo determinato, con conseguente sostanziale identità di situazioni. Lo stesso non accade quando il docente a tempo determinato sia stato assunto soltanto per pochi giorni e con rilevante soluzione di continuità tra un’assunzione e l’altra.

I principi qui affermati valgono, dunque, soltanto con riferimento alle supplenze annuali o alle supplenze a queste equiparate. In proposito ex art.11, comma 14 Legge n. 124/99, “il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”. Inoltre la ricostruzione dell’anzianità maturata non può che avvenire sommando i mesi lavorati dal docente a termine in ogni anno scolastico, e in vigenza del rapporto di lavoro.

Dunque, per accertare il diritto al riconoscimento della anzianità di servizio, occorre verificare per ogni singolo anno scolastico se il docente abbia svolto supplenze uniche o ravvicinate tali da integrare il disposto di cui all’art. 11/14 L. n. 124/99 e cioè superiori a 180 giorni o con servizio prestato ininterrottamente dal 1° febbraio al termine delle operazioni di scrutinio. Solo in ipotesi di positivo riscontro le supplenze potranno dirsi utili per il calcolo della anzianità di servizio riferita alla determinazione della fascia stipendiale altrimenti la supplenza non potrà dirsi utile e come tale non sarà passibile di essere considerata.

Occorre poi considerare che per coloro che sono stati assunti dal 1995 fino all’1/09/10 le fasce di anzianità devono essere calcolate sulla base dei CCNL allora vigenti secondo i seguenti parametri: classe 0 fascia da 0 a 2 anni, classe 3 fascia da 3 a 8 anni, classe 9 fascia da 9 a 14 anni, classe 15 fascia da 15 a 20 anni, classe 21 fascia da 21 a 27 anni, classe 28 fascia da 28 a 35 anni, classe 35 da 35 anni in poi; il CCNL 4/8/11, che ha modificato le fasce di anzianità, reca una norma di salvaguardia secondo al quale “il personale già in servizio a tempo indeterminato alla data del 1/9/2010, inserito o che abbia maturato il diritto all’inserimento nella preesistente fascia stipendiale“3-8 anni”, conserva “ad personam” il maggior valore stipendiale in godimento, fino al conseguimento della fascia retributiva “9-14 anni” [e che] il personale già in servizio a tempo indeterminato alla data del 1/9/2010, inserito nella preesistente fascia stipendiale “0-2 anni”, conserva il diritto a percepire “ad personam”, al compimento del periodo di permanenza nella predetta fascia, il valore retributivo della preesistente fascia stipendiale “3-8 anni”, fino al conseguimento della fascia retributiva “9-14 anni”. Per gli assunti dall’1/09/10 le fasce secondo la nuova normativa contrattuale sono invece 1-8, 9-14 e 15-20.

Deve, infine, escludersi che la discriminazione possa essere negata per la circostanza che nel settore scolastico, al momento della definitiva assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di servizio pregresso venga riconosciuto ai fini della anzianità di servizio. La trasformazione del rapporto, infatti, oltre a essere solo eventuale, non è idonea a compensare la diversità di trattamento economico riferibile al periodo antecedente, giacché il riconoscimento dell’anzianità pre-ruolo ai fini dell’aumento retributivo opera solo dopo l’immissione definitiva nell’organico e non comporta alcun recupero delle differenze retributive pregresse.

Invero l’anzianità maturata nel corso di rapporti a termine riceve una certa valorizzazione soltanto dopo l’immissione in ruolo e solo con efficacia ex nunc dal momento della conferma in ruolo. Il Ministero, cioè, corrisponde soltanto eventuali arretrati maturati da tale momento fino alla ricostruzione di carriera. Al momento dell’immissione in ruolo il dipendente viene inquadrato nella prima fascia stipendiale. Successivamente al superamento positivo del periodo di prova, a domanda dell’interessato, il MIUR prende in considerazione i servizi eventualmente prestati da costui anteriormente all’immissione in ruolo nel corso di rapporti di lavoro a termine e, in un apposito decreto di ricostruzione della carriera, li trasforma in anzianità di servizio aggiuntiva rispetto a quella maturata e maturanda in ruolo quindi ridetermina la corretta fascia stipendiale spettante al momento della conferma in ruolo e ne trae tutte le conseguenze in termini di evoluzione successiva della retribuzione, compreso il pagamento di eventuali arretrati che risultino dovuti per il periodo dalla conferma in ruolo al decreto.

Le norme che regolano tale operazione sono costituite dagli art. 485 e ss. D. Leg. n. 297/94. L’art. 485 intitolato “Riconoscimento dei servizi agli effetti della carriera” stabilisce al comma 1 che “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai solo fini economici per il rimanente terzo”. La norma deve essere integrata con l’art. 4 L. n. 399/88, intitolato “Inquadramento economico Passaggi di qualifica funzionale”, che al comma 3 stabilisce che “Al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l’anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali”.

L’art. 489, rubricato “Periodi di servizio utili al riconoscimento”, dispone al primo comma: “Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell’anno dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione”. La norma deve essere letta congiuntamente all’art. 11/14 L. n. 124/99 che stabilisce che “Il comma 1 dell’articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”.

In applicazione dell’art. 489, come interpretato dall’art. 11/14, il ministero raggruppa i servizi a termine in base all’anno scolastico di riferimento, quindi prende in considerazione ai fini della ricostruzione della carriera soltanto quelli che, sommati tra loro, raggiungono almeno 180 giorni nell’ambito dell’anno scolastico corrispondente. Una volta calcolata così l’anzianità anteriore all’immissione in ruolo, il ministero fa applicazione dell’art. 485 e dunque ricostruisce l’anzianità utile a fini retributivi prendendo in considerazione i primi 4 anni per intero e quelli successivi soltanto per due terzi. Il terzo escluso dal computo dell’anzianità utile ai fini retributivi – che nei decreti di ricostruzione della carriera viene definita come “utile ai fini giuridici ed economici” – viene accantonato con la qualificazione come utile “ai soli fini economici” in attesa che il docente maturi l’anzianità complessiva di cui all’art. 4/3 L. n. 399/88 (ad esempio 16 anni per i docenti laureati di scuola media superiore).

Superato tale momento, a domanda dell’interessato, viene emesso un nuovo decreto di ricostruzione della carriera in cui – con efficacia ex nunc dal compimento dell’anzianità rilevante in base all’art. 4 – anche gli anni accantonati vengono inseriti nell’anzianità “utile ai fini giuridici ed economici”, con conseguente adeguamento della fascia stipendiale spettante.

Appare pertanto evidente come per il periodo pregresso all’immissione in ruolo le differenze retributive tra il lavoratore a tempo determinato e quello a tempo indeterminato non siano prese in considerazione e liquidate nell’ambito della ricostruzione della carriera secondo le norme ad essa applicabili.

4.5. Dunque, le norme del CCNL vanno interpretate in modo conforme alla clausola n. 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70, nel senso che gli aumenti retributivi correlati alla maturazione dell’anzianità di servizio competono anche ai lavoratori della scuola assunti in virtù di contratti a tempo determinato.

Quanto alla norma del CCNL del 4 agosto del 2011 che ha previsto, per i soli lavoratori già in servizio a tempo indeterminato, inseriti “nella preesistente fascia stipendiale “0-2 anni”, il diritto a percepire “ad personam”, al compimento del periodo di permanenza nella predetta fascia, il valore retributivo della preesistente fascia stipendiale “3-8 anni”, fino al conseguimento della fascia retributiva “9-14 anni”, essa, stabilendo un’evidente e non giustificata discriminazione ai danni dei lavoratori assunti con contratto a termine, va disapplicata nella parte in cui limita l’applicazione del beneficio in questione ai lavoratori assunti a tempo indeterminato in virtù della efficacia diretta, in tale parte, della clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 70 del 1999, clausola, questa, che come chiarito dalla Corte di Giustizia, può fondare la pretesa di lavoratori impiegati con contratti a termine di beneficiare delle progressioni retributive riconosciute ai lavoratori di ruolo. In tal senso la recente pronuncia della Cass. n. 2924/2020: “In tema di riconoscimento dei servizi preruolo del personale scolastico, l’art. 2 del c.c.n.l. del 4 agosto 2011, nella parte in cui limita il mantenimento del maggior valore stipendiale in godimento “ad personam”, fino al conseguimento della nuova successiva fascia retributiva, ai soli assunti a tempo indeterminato, viola la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, con conseguente disapplicazione della norma contrattuale da parte del giudice e riconoscimento della medesima misura transitoria di salvaguardia anche al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione”.

4.6. L’anzianità di servizio è imprescrittibile. Ciò che si prescrive sono i singoli ratei retributivi rapportati alla maggiore anzianità. Secondo il consolidato insegnamento del giudice di legittimità, l’anzianità di servizio rappresenta un fatto giuridico che integra il presupposto di distinti specifici diritti, per ciascuno dei quali l’ordinamento stabilisce un termine di prescrizione. Pertanto al dipendente che faccia valere il proprio diritto ad una maggior retribuzione rapportata all’anzianità, e così ai relativi scatti, è opponibile la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai singoli ratei maturati ma non la prescrizione dell’anzianità di servizio quale fattispecie costitutiva di diritti di credito ancora non prescritti. (cfr. Cass. 1 settembre 2003 n. 12756; Cass. 27 febbraio 2004 n. 4076; Cass. 12 maggio 2004 n. 9060; Cass. 3 luglio 2007, n. 14998).

Con specifico riferimento al personale docente Cass. n. 2232/2020: “L’anzianità di servizio in ruolo degli insegnanti configura un mero fatto giuridico, come tale insuscettibile di una prescrizione distinta da quella dei diritti patrimoniali che su di essa si fondano, con la conseguenza che, nel caso in cui il docente, prescrittosi un primo scatto di retribuzione, agisca tempestivamente per ottenere l’attribuzione di scatti successivi, questi debbono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente, e cioè come se quello precedente, maturato ma non più dovuto per effetto della prescrizione, fosse stato corrisposto, in quanto il datore di lavoro può opporre al lavoratore la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai singoli aumenti ma non la prescrizione dell’anzianità di servizio quale fattispecie costitutiva di crediti ancora non prescritti” (Cass. Sez. L, Ord. n. 2232 del 30/01/2020).

4.7. I contratti collettivi ante 2011 prevedono le prime due fasce stipendiali da 0-2 anni (fascia 1) e da 3-8 anni (fascia 2), rimodulate nell’unica fascia 0-8 dal CCNL 04.08.2011.

Orbene, parte attrice ha dimostrato lo svolgimento di supplenze negli anni scolastici 2010/2011, 2011/2012, 2012/2013 (supplenza dal 20 al 30 novembre 2012), 2013/2014, 2014/2015 e 2015/2016, per un totale di sei anni. L’anzianità di servizio maturata giustifica il passaggio alla seconda fascia stipendiale 3-8 anni e il riconoscimento delle relative differenze retributive.

L’attrice ha concluso il primo contratto a termine in data 04.10.2010 ed è stata collocata nella fascia stipendiale “0” del CCNL 2006/2009; nell’anno scolastico 2010/2011 essa ha svolto più di 180 giorni di lavoro, quindi può essere riconosciuto l’intero anno di servizio ex art. 11 L. n. 124/1999. La docente è confluita nella fascia stipendiale “1” (0-2 anni) dopo un anno di servizio, prima della rimodulazione delle posizioni stipendiali da parte del CCNL 04.08.2011. Pertanto in forza della clausola di salvaguardia citata deve essere garantito il medesimo trattamento dei docenti assunti a tempo indeterminato pena la violazione del principio di non discriminazione, come testé argomentato (cfr. Cass. n. 2924/2020). In altri termini la clausola di favore opera anche per i dipendenti che hanno sottoscritto contratti a tempo determinato prima dell’1.09.2011, purché essi abbiano maturato il primo scatto stipendiale dopo un anno di servizio. Non è necessario che il docente abbia maturato almeno due anni di servizio prima dell’Accordo del 04.08.2011, posto che l’art. 2, comma 3 è chiaro nello stabilire che il personale a tempo indeterminato inserito nella preesistente fascia stipendiale 0-2 anni conserva il diritto a percepire il valore retributivo della fascia 3-8 anni “al compimento del periodo di permanenza nella predetta fascia”.

Il MIUR va, quindi, condannato al pagamento in favore di parte ricorrente delle differenze retributive tra quanto corrisposto per il servizio prestato e quanto spettante in base alla posizione stipendiale acquisita in ragione dell’anzianità di servizio che sarebbe maturata con l’attività lavorativa precedentemente svolta; spetta, inoltre, la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria ex art. 22, comma 36 L. n. 724/1994 dalla data di maturazione di ciascun incremento retributivo fino al saldo”.

Avv. Giuseppe Versace

(Presidente dell’Associazione Avvocati di Diritto Scolastico).