Risarcimento danno non patrimoniale per mancata assegnazione di un adeguato numero di ore di sostegno

Tar Campania – Sentenza n. 5668/2019 del 02 dicembre 2019

 

Giurisdizione. Giurisdizione esclusiva del g.a. ex art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. Sussistenza.
Assegnazione di ore di sostegno inadeguate rispetto al PEI. Illegittimità. Mancata esecuzione del provvedimento cautelare. Conseguenze.
Danno non patrimoniale in favore dell’alunno disabile per mancata assegnazione delle ore di sostegno spettanti. Configurabilità in astratto. Sussistenza.
La liquidazione del danno non patrimoniale. Criteri per la quantificazione.
Elaborazione di una tabella ad hoc.

 

FATTO

I genitori di una ragazza disabile frequentante la scuola dell’infanzia si erano rivolti al Tar, lamentando l’assegnazione dell’insegnante di sostegno per appena 12 ore, a fronte di un PEI con una quantificazione di 40 ore, ossia con il rapporto massimo tra orario di frequenza e assegnazione del docente.

La peculiarità del ricorso consiste nella proposizione di una domanda di condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno non patrimoniale da mancata assegnazione dell’insegnante di sostegno.

C’è da dire che in sede cautelare la domanda volta all’assegnazione di un adeguato numero di ore veniva tempestivamente accolta.

Tuttavia- nonostante ben due ordinanze in tal senso- l’Amministrazione resistente ometteva di incrementare le ore di sostegno per l’intera durata dell’anno scolastico.

Tale aspetto assumerà particolare rilevanza ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.

 

La sentenza

Trattasi senz’altro di una dotta e articolata sentenza, che si pone l’obiettivo di tracciare linee guida utili per risolvere casi analoghi, giungendo persino ad elaborare un’apposita tabella per la quantificazione del danno, da applicarsi a livello territoriale

Non di meno, le linee guida elaborate potrebbero costituire un importante precedente, replicabile su scala nazionale.

 

La problematica relativa all’attribuzione delle ore di di sostegno.

Com’è noto, la sentenza della Corte Cost. n. 80/2010 -nel qualificare definire il diritto del disabile all’istruzione quale diritto fondamentale – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che fissano un limite massimo al numero dei posti di sostegno, nonché di quelle che escludono la possibilità di assumere in deroga insegnanti di sostegno, in presenza di studenti con disabilità grave.

In realtà, a fronte di una normativa pensata quale diretta attuazione delle disposizioni costituzionali sul diritto all’istruzione e all’integrazione dei disabili[1], vengono emanate disposizioni finanziarie e ministeriali che procedono alla determinazione degli organici, con scelte determinate a monte, senza tener conto delle esigenze dei singoli alunni né delle reali esigenze delle singole scuole.

Succede pertanto che il numero degli insegnanti di sostegno risulta inferiore a quello che sarebbe necessario per attribuire ai singoli alunni tutte le ore necessarie sulla base della documentazione medico-specialistica.

Il dirigente scolastico dovrebbe attribuire a ciascun alunno disabile un numero di ore di sostegno corrispondente a quello proposto dalla competente commissione, numero dal quale non ha il potere di discostarsi.

Analogamente, gli Uffici scolastici non hanno il potere di sottoporre a un riesame nel merito quanto proposto in sede di redazione del PEI, sostanziandosi l’autorizzazione di loro competenza in un atto “meramente ricognitivo”, nel quale si constata che “sussistono i relativi presupposti di spesa, senza poterli modificare”.

Va infatti ricordato che  “l’inserimento e l’integrazione nella scuola – con l’ausilio dall’insegnante di sostegno –evitano la segregazione, la solitudine, l’isolamento, nonché i patimenti e i pesi che ne derivano, in termini umani ed economici potenzialmente insostenibili per le famiglie”.

In questo quadro, “gli istituti scolastici che non provvedono all’assegnazione di insegnanti di sostegno agli alunni disabili, anche in deroga agli organici di fatto esistenti, si pongono in automatico in una condizione di colpa, elemento fondamentale ai fini di un possibile risarcimento”.

 

La questione della giurisdizione.

La giurisdizione in materia di assegnazione di ore di sostegno e sulla domanda di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.

Secondo la sentenza in commento, la controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia dei pubblici servizi, ex art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., con ciò discostandosi in parte da precedenti arresti della Corte di Cassazione.

Il Consiglio di Stato ha differenziato la giurisdizione a seconda della causa petendi e del petitum, ritenendo la sussistenza della giurisdizione del g.o., quando l’interessato espressamente lamenti che l’Amministrazione scolastica abbia posto in essere “un comportamento discriminatorio a proprio danno”[2]; mentre nel caso si impugnino gli atti del procedimento o si contesti un comportamento dell’Amministrazione (lamentando ad esempio la mancata corrispondenza tra il provvedimento finale del dirigente scolastico e la proposta del “Gruppo di lavoro” o la mancata redazione del PEI per l’anno scolastico in corso) ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Secondo la sentenza in commento, inoltre, “in nulla può incidere il fatto che le ore necessarie siano state materialmente assegnate col PEI oppure non lo siano state perché il suddetto documento manca o è incompleto, in quanto si resta sempre all’interno della gestione del servizio scolastico e la mancata concreta attribuzione dell’insegnante è dovuta – sia nel caso di PEI esistente sia nel caso di inesistenza dello stesso– alle stesse identiche ragioni, ossia alla mancata programmazione degli organici o alla carenza a priori di risorse finanziarie adeguate: non vi è alcun intento discriminatorio da parte degli uffici, ma solo inefficienza e mancanza di volontà di derogare all’organico assegnato, in attesa di una possibile pronuncia giurisdizionale che legittimi la deroga”.

 

Gli aspetti processuali.

Normalmente, in casi del genere, i procedimenti si concludono con un provvedimento di cessata materia del contendere in caso di adempimento dell’ordinanza cautelare ovvero con una declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse (qualora – pur perdurando l’inadempimento- l’anno scolastico sia concluso) o, infine, con un accoglimento nel merito, qualora il ricorso si riveli fondato e vi sia ancora tempo per l’assegnazione dell’adeguato numero di ore di sostegno.

Nel caso esaminato, ci si trovava di fronte alla contemporanea presenza di una domanda risarcitoria e di una domanda di annullamento.

Soccorre il disposto di cui al comma 3 dell’art. 34 c.p.a., secondo cui  “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

In questo caso, “l’interesse alla definizione del ricorso riguarderà non tanto l’annullamento dei provvedimenti impugnati quanto l’accertamento della loro illegittimità” e si tratta di un interesse non meramente ipotetico, anche “in ragione della proposizione di una domanda risarcitoria strettamente collegata alla declaratoria di illegittimità”.

 

La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

In particolare: il danno non patrimoniale in favore dell’alunno disabile per mancata assegnazione delle ore di sostegno spettanti.

Configurabilità in astratto e criteri per la verifica nel caso concreto.

Gli ultimi arresti della Corte di legittimità in subiecta materia[3] hanno rivisto in qualche modo le precedenti impostazioni, fornendo una interpretazione della categoria del “danno non patrimoniale” che ne consente il risarcimento secondo parametri basati sulla valutazione in concreto del pregiudizio subito, “dando ingresso a tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni”.

Nel caso dell’alunno disabile, “la privazione dell’insegnante di sostegno si configura, in astratto, sia come danno relazionale che come sofferenza interiore per lesione di diritti costituzionalmente garantiti”, in quanto il disabile subisce “una perdita sia sotto il profilo della didattica sia sotto quello, altrettanto importante, della integrazione nell’ambito della classe di appartenenza”.

Va tuttavia precisato che, “secondo un ragionamento basato sulla comune esperienza, un periodo che comprenda i primi due o tre mesi di attività didattica senza insegnante di sostegno non appare astrattamente idoneo a determinare l’esistenza del danno”.

Va inoltre osservato che nel caso in specie, si tratterebbe in ogni caso di un danno non patrimoniale sui generis, per il  quale non è stato enucleato alcun  parametro cui attenersi per il risarcimento né tanto meno un criterio tabellare autonomo.

Il Tar Campania, nella sentenza in commento, prova ad elaborare una tabella ad hoc, con l’aggiunta dei criteri per il calcolo del danno morale e per la personalizzazione del danno dinamico-relazionale, che vengono espunti dall’art. 138 c.d.a.[4]

 

La tabella per il calcolo del danno non patrimoniale.

In primo luogo, occorre determinare il valore del “punto base” e successivamente l’incremento del punto, in funzione di parametri predefiniti.

Il Collegio ha ritenuto di poter individuare quale punto di riferimento l’indennità di frequenza di cui all’art. 1 della l. 11 ottobre 1990 n. 289[5], fissandone il valore in 300 euro[6].

Una volta individuato il “punto scala” occorrerà moltiplicare detto importo per un numero variabile da 1 a 5[7] , con una “progressione risarcitoria che va da 300, a 600, a 900, a 1200 per finire a 1500 euro”.

Per individuare a quale livello della “scala di sofferenza” si colloca il caso singolo, sono stati elaborati i seguenti parametri:

1) il fattore “tempo della privazione”, da calcolarsi in termini di mesi o dell’intero anno scolastico;

2) l’eventuale reiterazione della mancata assegnazione, laddove sia allegata dai ricorrenti la “recidiva” quale mancata o ritardata assegnazione anche negli anni scolastici precedenti;

3) la tipologia di disabilità (disabilità grave, art. 3 comma 3, oppure meno grave, art. 3 comma 1 della l. 104/92);

4) il grado di scuola frequentato (scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo o secondo grado) e la classe di appartenenza, nonché il tempo trascorso a scuola (se siano ad esempio praticate terapie extra scolastiche o meno);

5) il contesto familiare di riferimento (se vi sia supporto della famiglia; se vi siano altri figli disabili; se i genitori lavorino tutti e due o meno), il tutto, con particolare riguardo al fattore temporale, in quanto “più incidente sul disagio dell’alunno, perché destinato, inevitabilmente, a mettere in crisi la didattica e l’apprendimento”.

Una volta accertata l’esistenza di un danno morale da sofferenza, secondo quanto sopra illustrato, la Sezione ritiene che esso possa essere liquidato aumentando percentualmente i singoli punti, secondo parametri autonomamente stabiliti da ciascun giudice (purché enunciati prima della liquidazione) e comunque sempre suscettibili di adeguamento al caso concreto, per consentire la personalizzazione del danno morale.

“Per quanto riguarda il danno morale, lo stesso va liquidato nella misura minima del 10 % rispetto al danno relazionale fino alla misura massima del 50%, variabili in funzione della tipologia di patimento subito e della sofferenza accertata, parametrati all’età dell’alunno e al tipo di scuola frequentata”.

Nella consapevolezza che qualunque tabella (con i relativi parametri) può certamente prestare il fianco a critiche, obiezioni[8], approfondimenti e proposte di miglioramento, nel caso de quo trattasi senz’altro di una sentenza innovativa nella quale va certamente apprezzato lo sforzo di provare ad elaborare una scala di riferimento in un settore così delicato.

Avvocato Francesco Orecchioni

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[1] Trattasi della legge 5 febbraio 1992 n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

[2] applicandosi, in tal caso, l’art. 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67 e – per gli aspetti processuali – l’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.

[3] Cfr. Corte di Cassazione, sez. III, n. 901 del 17 gennaio 2018, n. 7513 del 27 marzo 2018, n. 9196 del 13 aprile 2018 (ord.) e n. 13770 del 31 maggio 2018, nonché ex multis n. 2788 del 31 gennaio 2019.

[4] Rispettivamente, comma 2, lett. e)  per il danno morale e  comma 3 per la personalizzazione del danno dinamico-relazionale.

[5] Trattasi di una indennità mensile di sostegno alle famiglie bisognose, di importo pari all’assegno di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, che viene concessa anche (comma 3) ai mutilati ed invalidi civili minori di anni 18 che frequentino scuole, pubbliche o private, di ogni ordine e grado, a partire dall’asilo nido, nonché centri di formazione o di addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti stessi. Il valore si aggira tra i 279 e i 285 euro (per l’anno 2019 l’importo dell’assegno mensile è pari a 285,66 euro).

[6] “Non essendo necessario utilizzare l’importo esattamente corrispondente all’indennità di frequenza, ma fissare un importo che abbia come riferimento una somma giustificabile sul piano dei criteri scelti dal singolo giudice, e ferma restando la possibilità di scegliere parametri diversi purché la quantificazione sia ancorata a criteri predeterminati a monte, abbia natura “ equitativa” e al contempo ristoratoria, sicchè non venga presa come sussidio ma abbia un ruolo anche sollecitatorio per l’Amministrazione scolastica”.

[7]il singolo punto corrisponde alla sofferenza patita per la privazione dell’insegnante di sostegno, in cui 1 corrisponde a sofferenza bassissima, 2 a sofferenza bassa, 3 a sofferenza discreta, 4 a sofferenza alta e 5 a sofferenza molto alta”.

[8] Ad esempio, sebbene nella stessa sentenza si sottolinei l’esigenza che la quantificazione del danno abbia natura ristoratoria, con un ruolo anche sollecitatorio per l’Amministrazione scolastica, non sembra che un risarcimento intorno ai mille euro (1320, nel caso in specie) possa rivestire tale funzione,  trattandosi di somma nettamente inferiore alla retribuzione che l’Amministrazione avrebbe dovuto corrispondere al docente di sostegno.

Pertanto, l’Amministrazione potrebbe trovare più conveniente sopportare le spese di giudizio e liquidare il risarcimento, piuttosto che provvedere effettivamente all’assegnazione del docente di sostegno.

Affinchè il risarcimento da liquidare abbia davvero efficacia deterrente, sarebbe necessario che la somma risultante dall’applicazione dei parametri non sia comunque inferiore alla retribuzione del docente non assegnato all’alunno.