Tar Lazio – Sentenza n. 9261 del 01 settembre 2014

In caso di alunni con Bisogni Educativi Speciali la scuola deve attuare l’adeguato percorso personalizzato per non violare il principio di uguaglianza sostanziale

 

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 9261-2014, ha ritenuto di poter annullare la bocciatura di un alunno con Disturbi Specifici dell’Apprendimento cui il Consiglio di Classe non aveva provveduto ad applicare le azioni didattiche personalizzate volte al superamento del disagio che lo affliggeva.

Il Tribunale Amministrativo ha, infatti, tenuto a ricordare che nell’ambito della scuola primaria “la mancata ammissione dell’alunno alla classe successiva costituisce un’ipotesi affatto eccezionale che avrebbe dovuto essere sostenuta da apposita ed analitica motivazione (art. 1, (rectius art. 3) comma 1 bis del d.l. n. 137/2008 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della l. n. 169/2008), anche in considerazione della particolare situazione di disagio in cui versa l’alunno medesimo”. La norma di cui all’art. 3, comma 1 bis del d.l. n. 137 del 2008, infatti, seppur consente ai docenti della scuola primaria di non ammettere l’alunno alla classe successiva, prevede tale eventualità “solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”. Secondo i ricorrenti, invece, la motivazione non solo risultava carente e illogica, ma soprattutto non rispettosa della specifica normativa di tutela in caso di ragazzi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento e considerati rientranti nei cosiddetti Bisogni Educativi Speciali.

I ricorrenti, genitori dell’alunno, correttamente hanno richiamato in atti la legge n. 170 del 2010 che individua i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) tra i quali sono ricompresi proprio la disgrafia e la disortografia che caratterizzavano specificamente le difficoltà di apprendimento del ragazzino. La sentenza oggetto dell’odierna disamina rileva che gli insegnanti, pur avendo “ritenuto sussistere i presupposti di applicabilità della Circolare del MIUR in data 27 dicembre 2012 nei casi di disgrafia e di disortografia”, tuttavia non avevano identificato nelle difficoltà di scrittura in cui l’alunno “si dibatteva sin dal primo quadrimestre come rientranti proprio nelle due fattispecie appositamente regolamentate” nonostante tutte le precise avvisaglie, riportate e rilevate nei verbali stilati dal Consiglio di Classe nel corso dell’anno.

Appare necessario compiere una breve illustrazione delle due problematiche rilevate nel caso di specie chiarendo che la disgrafia si definisce comunemente come una rilevante difficoltà nella scrittura che riguarda la riproduzione dei segni grafici alfabetici e numerici. Il bambino scrive, infatti, in modo molto irregolare, impugna la penna spesso in modo errato e fa scorrere con difficoltà la mano sul foglio, a volte non rispettandone i margini o lasciando spazi non proporzionati tra i grafemi o le parole. La disortografia risulta essere, invece, la difficoltà incontrata dall’alunno nel trasporre in modo corretto le parole in simboli grafici. Gli errori commessi dal bambino disortografico sono caratteristici e distinguibili come segue: confusione tra fonemi simili; confusione tra grafemi simili; omissioni o inversioni delle lettere. Tali disturbi, proprio per la loro specificità sono, una volta individuati, affrontabili ponendo in essere le corrette azioni didattico-educative mirate alla ricerca di adeguate modalità di lavoro che possono agevolare non solo il miglioramento del disturbo, ma soprattutto agire efficacemente sull’approccio psicologico dell’alunno con la specifica problematica.

Il TAR concorda con i ricorrenti nel ricordare che l’art. 10 del D.P.R. n. 122 del 2009 “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni” prevede che per gli alunni con disturbi specifici di apprendimento, la valutazione e la verifica degli apprendimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive. Valutazione e verifica degli apprendimenti, nel caso di specie, erano stati invece rapportati alla norma rispetto a tutti gli altri alunni. Il D.P.R. citato, però, ricorda espressamente che in caso di DSA si devono adottare “gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei”. Il Collegio dei docenti dell’Istituto in cui era iscritto l’alunno aveva statuito “la totale uniformità delle verifiche e che esse sarebbero state corrette con uguale criterio” in tal modo procedendo in contrasto con la specifica normativa di riferimento che invece impone di tener conto proprio delle “specifiche situazioni soggettive”. Le Linee Guida del 12 luglio 2011 dettate dal MIUR, inoltre, individuano le competenze di ognuno dei soggetti coinvolti nell’azione educativa ed in particolare stabilisce l’obbligo specifico dei docenti di “attuare strategie educativo-didattiche di potenziamento e di aiuto compensativo, adottare misure dispensative ed attuare modalità di verifica e valutazione adeguate e coerenti” cosa non possibile se si dispone l’assoluta identicità dei criteri di valutazione e di verifica.

Secondo i ricorrenti, inoltre, non era stato attivato per tempo il piano educativo personalizzato previsto dalla circolare MIUR n. 8 del 6 marzo 2013 e “la scuola, pur conoscendo la situazione familiare del bambino (figlio di una cittadina peruviana e di padre italiano, con notevoli difficoltà economiche)” non aveva “messo in relazione le evidenti difficoltà espressive del minore con la sua complessiva situazione familiare”. Agendo in tal modo risultava “leso il diritto all’istruzione del minore e violato il principio di uguaglianza sostanziale, dimostrando la scuola un atteggiamento non inclusivo né positivo verso il bambino che rivela un disagio ed una necessità specifica”.

È appena il caso di ricordare che Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 recante “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” ne precisa succintamente il significato e precisa che “L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.

L’utilizzo dell’acronimo BES sta quindi ad indicare una vasta area di problemi di apprendimento ed educativi per i quali il principio della cosiddetta “personalizzazione dell’insegnamento”, sancito dalla normativa vigente, va applicato con particolare attenzione in quanto a peculiarità, intensività e durata. Al riguardo il TAR osserva che “la stessa circolare testé citata non fa che richiamare norme già esistenti quali la legge generale sulla disabilità 11 febbraio 1992, n. 104 e la legge 8 ottobre 2010, n. 170” quest’ultima vertente appunto sulle “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” che individuava disturbi come la disgrafia (disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica) e disortografia, (che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica) riferibili al bambino.

Il Tribunale Amministrativo, per una miglior tutela dei diritti dell’alunno con difficoltà di apprendimento ha ricordato che “una volta manifestatosi il disturbo, […] potevano essere prese nell’immediatezza del problema iniziative per lui più vantaggiose, specialmente nella considerazione che negli anni scolastici precedenti egli “aveva una scrittura lineare”, sintomo di una situazione emotiva differente e di una diversa percezione dei problemi familiari forse meno consapevole, ma ancora non deleteria per l’apprendimento scolastico”.

Il TAR, dunque, non individua il caso tra quelli “eccezionali e comprovati da specifica motivazione” previsti dall’art. 3, comma 1 bis del d.l. n. 137 del 2008 ai fini della mancata ammissione alla classe successiva soprattutto in considerazione “della inadeguata calibratura degli aiuti compensativi dalle norme previsti per alunni con le sue difficoltà” e annulla l’atto di scrutinio finale con cui il Consiglio di Classe non ha ammesso alla classe IV elementare l’alunno.

Avv. Salvatore Russo