D.l. n.70/11. Esclusione dei contratti a t.d. del comparto scuola dall’applicazione del D. Lgs. n.368/2001. Natura interpretativa. Efficacia retroattiva. Esclusione. Obbligo di interpretazione della normativa interna in modo conforme alle direttive europee. Sussistenza. Obbligo di disapplicazione di disposizione interna difforme da direttiva comunitaria. Sussistenza.
App. Aq. Ordinanza n. 1/2013 proc. n. 1382/2012
La Corte d’Appello di L’Aquila, con l’ordinanza in esame, ha escluso la natura interpretativa (con conseguente efficacia retroattiva) della modifica introdotta dal legislatore con d.l. n.70/2011 al Decreto Legislativo n. 368/2001.
Com’è noto, tale norma recepisce l’accordo quadro europeo sul contratto a tempo determinato e in special modo il principio di non discriminazione.
L’art. 6 del suddetto decreto stabilisce infatti che “Al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine”.
Come si ricorderà, il decreto legge n.70/2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”) varato dal Governo Berlusconi, introduceva una modifica al Decreto Legislativo n.368, allo scopo di escludere per legge i precari della scuola dall’accordo quadro europeo.
In particolare, l’art. 9, comma 18, di tale disposizione recita: “All’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo il comma 4 e’ aggiunto il seguente: “4-bis. Stante quanto stabilito dalle disposizioni ((di cui all’articolo 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, all’articolo 4, comma 14-bis, della legge 3 maggio 1999, n. 124, e all’articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165,)) sono altresi’ esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessita’ di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l’articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto.“.
Secondo la tesi del Ministero, tale disposizione avrebbe natura ricognitiva/interpretativa ed efficacia retroattiva; di conseguenza sarebbe applicabile anche a rapporti precedenti all’entrata in vigore della norma.
Un’interpretazione siffatta svincolerebbe l’intero settore del precariato scolastico dalle tutele previste a livello europeo in materia di contratto a termine.
La Corte d’Appello di L’Aquila, facendo leva proprio sulle giustificazioni poste dal legislatore per tale esclusione (articolo 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, riguardante la determinazione degli organici; articolo 4, comma 14-bis, della legge 3 maggio 1999, n. 124, riguardante il divieto di conversione dei contratti a termine; articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 sulla determinazione degli organici), ha ritenuto non condivisibile la tesi della difesa erariale, considerando dunque ancora applicabile, quanto meno ratione temporis, l’accordo quadro europeo e la norma interna di recepimento, di cui al D. Lgs. n.368/2001.
La pronuncia in esame merita di essere segnalata anche perché rappresenta un’ulteriore presa di distanza dalla discussa sentenza n. 10127/2012 della Cassazione che aveva invece ritenuto (sia pure con riferimento al divieto di conversione del contratto a termine) il carattere ricognitivo interpretativo della novella.
Sembra dunque potersi affermare – alla luce dell’ordinanza in commento- che tale carattere debba ritenersi escluso con riguardo al principio di non discriminazione di cui all’art. 6 dell’accordo quadro.
Non appare infatti sostenibile – con riferimento a detto principio – trattarsi di una di una “regola juris già inserita nella legislazione concernente la c.d. privatizzazione del pubblico impiego” (Cass. n.10127/2012), in quanto si tratterebbe innegabilmente di disposizione innovativa, come tale non suscettibile di efficacia retroattiva.
Una diversa interpretazione non lascerebbe indenne lo Stato italiano da inevitabili censure da parte delle Corti Europee, per aver svincolato dalla direttiva europea l’intero settore scolastico (si ricordano le procedure d’infrazione già aperte dalla Commissione europea- proc. n. 2010/2045 e proc. 2010/2124- per la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato proprio in relazione al comparto scuola), nonchè per aver violato il principio dell’equo processo, inserendo disposizioni retroattive “allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia” (Corte EDU, seconda sezione,“Agrati + altri c. Italia”).
L’ordinanza in commento ha altresì ritenuto -conformemente a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 355/2010, che “il giudice statale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e delle finalita’ della direttiva europea, onde garantire la piena effettivita’ della direttiva stessa e conseguire il risultato perseguito da quest’ultima”.
Inoltre, “qualora constati l’impossibilità di pervenire ad una soluzione ermeneutica conforme ai requisiti della direttiva 1999/70/UE”, il giudice “ha l’obbligo di non applicare la disposizione interna difforme, per dare integrale attuazione all’ordinamento europeo e proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli” (Corte giust., 2 maggio 2003, causa c-462/99, Connect Austria Gesellschaft für Telekommunikation).