CLIL: la nuova sfida linguistica nella Scuola Secondaria di secondo grado

 

Di recente, nella Scuola Secondaria di secondo grado, l’attuazione della metodologia CLIL, acronimo di Content and Language Integrated Learning, (apprendimento integrato di lingua e contenuto), è diventata una delle principali sfide linguistiche per l’insegnamento delle lingue straniere. Nato agli inizi degli anni ’90, il CLIL, come dispositivo metodologico, dovrebbe realizzare di primo acchito l’insegnamento di una disciplina non linguistica (DNL) in lingua straniera; di fatto però i risvolti positivi di questa nuova pratica didattica si estendono a diversi ambiti dell’apprendimento: il CLIL è un mezzo di educazione interculturale, permette di sviluppare l’approccio plurilingue, è uno strumento in grado di consentire, più di ogni altro, paragoni interlinguistici tra le lingue coinvolte, tutto a vantaggio di abilità e conoscenze che si rafforzano reciprocamente.

Il terreno di questa intrigante innovazione didattica per l’apprendimento linguistico va sondato sotto diverse sfaccettature, in specie perché nella Riforma della Scuola Secondaria di secondo grado, avviata a partire dal 2010 sotto il Ministero Gelmini, il CLIL ha ricevuto un sua regolamentazione giuridica, così da imporre nel nostro sistema scolastico, una vera e propria emergenza formativa dei docenti per lo svolgimento di tale insegnamento.

Dall’entrata in vigore dei decreti attuativi della riforma, i DD.PP.RR. n. 87, 88 e 89 del 2010, rispettivamente per gli Istituti Professionali, gli Istituti Tecnici ed i Licei, che hanno suggellato l’inizio dei corsi dedicati a tale specifica metodologia, la formazione dei docenti di disciplina non linguistica, ha avuto luogo con una certa periodicità. Per comprendere le modalità di organizzazione e la logistica dei corsi, non priva di interesse risulterà la lettura delle ultime Note Miur relative all’anno 2013, la n.872 del 4/02/2013, la n.2097 de 23 aprile 2013 e la recentissima n.11536 del 30/10/2013, nelle quali si forniscono proprio indicazioni operative e si affidano agli UU.SS.RR. attività di coordinamento a supporto della formazione.

Tuttavia in merito al CLIL è interessante chiarire alcuni aspetti fondamentali che vanno oltre la mera organizzazione dei corsi di formazione dei docenti; viene in effetti naturale chiedersi quale sia stata la portata dei decreti attuativi sopracitati, delle successive direttive e delle indicazioni nazionali per i Licei, su questa nuova sfida linguistica. Difatti tali documenti, soprattutto le direttive con le quali sono state emanate le Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento, secondo biennio e quinto anno, negli Istituti Professionali, Direttiva n.5 del 16 gennaio 2012, e Tecnici Direttiva n.4 del 16 gennaio 2012, presentano per sommi capi quale sia il senso della promozione del CLIL nella didattica e nell’apprendimento linguistico nonché le modalità di attuazione di tale metodologia; mentre, al contrario, del tutto carenti di ragguagli informativi risultano le Indicazioni Nazionali per i Licei di cui al D.M. del 7-10-2010 n.211, in particolare l’allegato D dedicato al Liceo Linguistico; già l’art.6 comma 2 del D.P.R. n.89 del 2010 aveva così stabilito : “dal primo anno del secondo biennio è impartito l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica, prevista nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche nei limiti del contingente di organico ad esse assegnato e tenuto conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie. Dal secondo anno del secondo biennio è previsto inoltre l’insegnamento, in una diversa lingua straniera, di una disciplina non linguistica, compresa nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche nei limiti del contingente di organico ad esse assegnato e tenuto conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie”.

L’art.8, comma 2 lett.b del D.P.R. n.88 del 2010, Regolamento recante norme per il riordino degli istituti tecnici a norma dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, introduce “l’insegnamento, in lingua inglese, di una disciplina non linguistica compresa nell’area di indirizzo del quinto anno, da attivare in ogni caso nei limiti degli organici determinati a legislazione vigente”.

Le successive Linee guida per gli Istituti Tecnici (secondo biennio e quinto anno) emanate con la Direttiva n.4 del 2012 dedicano un intero paragrafo al CLIL e alla promozione del plurilinguismo stabilendo che “non si tratta, semplicemente, dell’insegnamento di una disciplina ‘in inglese’ o di una varietà della glottodidattica che utilizza materiale linguistico settoriale. Il CLIL si concretizza in un “laboratorio cognitivo” di saperi e procedure che appartengono ai due ambiti disciplinari e si sviluppa in un percorso contestualizzato all’indirizzo di studio per integrare le diverse parti del curricolo, migliorare la motivazione e attivare competenze progettuali, collaborative e cooperative e proiettarlo verso una dimensione professionale”.

L’obiettivo della metodologia CLIL è l’uso veicolare della lingua straniera per insegnare una disciplina che non si pone quindi obiettivi esclusivamente didattici volti a promuovere la conoscenza della lingua straniera in sé, come raccolta di strutture e forme linguistiche, quanto piuttosto quella di incrementare un suo utilizzo autentico in un altro ambito cognitivo. In teoria il CLIL promuove la lingua straniera che viene utilizzata per apprendere un contenuto, liberandola da quelli che sono definiti i “falsi pragmatici” ossia l’uso da parte degli studenti di funzioni linguistiche che tendono a riprodurre situazioni comunicative fittizie e prestabilite. E’ chiaro che utilizzando tale approccio dovrebbe essere quindi la lingua straniera a piegarsi alla logica cognitiva di quella specifica disciplina. Anche se quest’ultimo aspetto è tutto da verificare poiché le linee guida, al suindicato paragrafo non dicono molto al riguardo.

Al contrario negli Istituti Professionali, riordinati con D.P.R. n.87 del 2010, anche nelle Linee guida per il secondo biennio e quinto anno, introdotte dalla Direttiva n.5 del 16 gennaio 2012, si fa un blando riferimento al CLIL e al ruolo che esso può assumere in tali Istituti potendo diventare infatti un mezzo per incrementare la motivazione degli studenti, attivare e sviluppare competenze progettuali, proiettando gli studenti verso quella che viene definita “dimensione professionale”. La sua attuazione negli Istituti Professionali viene comunque rimessa all’autonomia delle istituzioni scolastiche, alla disponibilità delle competenze professionali, in questo caso i docenti disposti a svolgere tale insegnamento e ad esperire all’interno della progettazione curricolare anche “una effettiva azione interdisciplinare”; per finire è richiesta “l’adesione delle famiglie al modello di innovazione (necessaria in quanto non stabilita dal Regolamento)”.

In entrambe le Linee guida degli Istituti Professionali e Tecnici viene sottolineato il ruolo strategico del Dirigente scolastico come promotore dell’innovazione CLIL all’interno della scuola, in particolare negli Istituti Tecnici si rintraccia la possibilità di “coinvolgere lingue diverse dall’inglese, ove presenti, per favorire un approccio plurilingue”. Si ricorda che il CLIL in questi Istituti viene affiancato alla promozione del plurilinguismo tanto in voga di questi tempi nei progetti europei.

Altro documento illuminante in grado di gettare luce su un ulteriore risvolto di tale innovazione è il Decreto Direttoriale n.6 del 16 aprile 2012, il quale, all’art.2, definisce proprio il profilo del docente CLIL rimandando all’allegato A. Ai nuovi docenti che si faranno interpreti della suddetta metodologia sono richieste, per accedere ai corsi, “certificazioni nella lingua straniera oggetto del corso – rilasciate da Enti Certificatori riconosciuti di governi dei paesi madrelingua, almeno di livello C1 del QCER- Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue che attestano le abilità ivi previste (Ascolto, Parlato/Interazione, Scrittura e Lettura)”.

Le caratteristiche professionali del docente CLIL vengono analizzate facendo riferimento a tre ambiti: linguistico, disciplinare e metodologico-didattico. Le Linee guida degli Istituti Tecnici parlavano già per i docenti di attività di collaborazione, co-progettazione e co-valutazione; negli Istituti Professionali di azione interdisciplinare. E’ utile sottolineare come, nelle linee guida, si affermava che “anche gli insegnanti degli Istituti Professionali accedono ai percorsi di formazione programmati dal MIUR. La condivisione di materiali ed esperienze, la diffusione e circolazione delle ‘buone prassi’ sarà facilitata dalla creazione di reti tra scuole e potrà integrare opportune azioni di informazione e formazione”. Al riguardo non si capisce perché il Decreto sopracitato si riferisca solo ai docenti degli Istituti Tecnici e dei Licei dato che la sperimentazione CLIL può essere avviata anche negli Istituti Professionali. Non da ultimo la Nota Miur del 30/10/2013 n.11536, la quale è dedicata in modo precipuo alla formazione dei docenti dei Licei e degli Istituti Tecnici.

Lasciando da parte l’excursus logistico relativo all’organizzazione dei corsi rimane però un’altra questione da definire: in che modo occorre gestire i rapporti tra lingua e contenuto, tra la disciplina non linguistica (DNL) e la lingua veicolare. E’ necessario stabilire un’integrazione didattica  equilibrata del modus operandi del docente di lingua e di DNL sia nella progettazione che nella valutazione, perché un maggior carico dell’una o dell’altra disciplina avrebbe come risultato l’applicazione di una metodologia CLIL orientata più sulla lingua veicolare o sulla disciplina specifica, venendo così ad inficiare non solo quelli che sono gli aspetti prettamente didattici della metodologia ovvero “Content and Language Integrated” ma, soprattutto, gli scopi extralinguistici dell’insegnamento della disciplina non linguistica. La lingua veicolare diventa per lo studente uno strumento oggettivo per esprimere ‘conoscenze’ in un contesto in cui la lingua non è infatti considerata per la sua forma linguistica ma per veicolare appunto dei contenuti. Forse il focus dell’innovazione sta proprio nel voler promuovere l’apprendimento delle lingue straniere attraverso ‘attività autentiche’ che mirano a realizzare quello che ha sostenuto G.Wiggins, pioniere della valutazione autentica, “si tratta di accertare non ciò che lo studente sa ma ciò che sa fare con ciò che sa”. Vedremo se, più avanti, quando la formazione dei docenti e la sperimentazione di questa nuova frontiera linguistica sarà stata raggiunta, dati alla mano, si potrà beneficiare di maggiori chiarimenti posto che le trame del tessuto CLIL possono legarsi indistintamente a qualsiasi disciplina.

Katjuscia Pitino