Con sentenza n. 743, depositata il 20 settembre 2011, la Corte d’Appello di Genova ha confermato il diritto del personale precario della scuola di vedersi riconosciuta la medesima progressione stipendiale dei dipendenti di ruolo.
E ciò non in forza di un risarcimento danno per illegittima reiterazione dei contratti a termine, ma proprio in virtù del divieto di discriminazione tra personale con contratto a tempo determinato e personale con contratto a tempo indeterminato, stabilito dall’art.4 dell’accordo quadro della Direttiva europea 1999/70/CE (nonché dall’art.6 D. Lgs. n. 368/2001, secondo cui “Al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine” -N.d.R).
E’ pacifico, per espressa disposizione legislativa , che tale regola operi anche nei confronti del lavoratore pubblico.
Senonchè, il MIUR sostiene da sempre la peculiarità del settore (assunzione tramite concorso, continuità del rapporto, impossibilità di sospendere l’erogazione del servizio scolastico) al fine di sottrarlo alla disciplina generale e a quella europea.
La sentenza annotata confuta una per una le ragioni dell’Amministrazione, osservando che le diverse modalità di assunzione non possono giustificare un deteriore trattamento economico anche perché “il fondamento degli scatti di anzianità va ravvisato nel miglior apporto lavorativo che deriva dall’esperienza del lavoratore, profilo cui è del tutto estranea ogni questione sulle modalità di selezione”.
In definitiva, secondo la Corte, nel settore scuola non sono ravvisabili quelle ragioni oggettive idonee a giustificare la disparità di trattamento per il personale con contratto a termine.
Altro importante assunto che emerge dalla sentenza è il riconoscimento del principio secondo cui il Giudice italiano, di fronte ad una direttiva sufficientemente precisa come nel caso in specie, può provvedere direttamente alla disapplicazione della disciplina interna in contrasto con la normativa dell’Unione Europea.
Trattasi- a quanto è dato sapere -della prima decisione in grado d’appello in subiecta materia.
In questi giorni, è giunta notizia di pronuncia di analogo tenore da parte della Corte d’Appello di Roma, con sentenza non ancora depositata.
Dopo le pronunce della CEDU e della CGE in materia di personale ATA ex EE.LL. (e il conseguente revirement della Cassazione), si consolida anche nel settore scolastico il processo di interpretazione adeguatrice della normativa interna con quella comunitaria .
Del resto, anche in questo caso, “ce lo chiede l’Europa”.