La firma sui registri elettronici: due tesi a confronto

Come i lettori di DirittoScolastico.it ricorderanno sono già intervenuto sul tema della firma sui registri elettronici con la tesi che fosse illegittimo pretendere che essa venisse apposta in una fase di sospensione delle attività didattiche in presenza.

E’ intervenuto, quindi, l’art. 23 del d.l.22/2020 che ha previsto, come attività ordinaria, la didattica a distanza.

A parere di alcuni tale previsione normativa avrebbe legittimato, di conseguenza, l’apposizione della firma sui registri elettronici.

Ci sono stati anche interventi che hanno contestato in radice la mia argomentazione relativa alla possibile commissione del reato di falso ideologico come elemento ostativo alla firma.

In particolare su La Tecnica della Scuola l’avv. Dino Caudullo si è spinto ad argomentare la “inesistenza” (so che esistono i titolisti e so che non sono gli autori degli articoli ma la forza evocativa di un titolo non va sottovalutata) del reato stesso con l’argomento che sarebbe improbabile il dolo del docente.

Sono uno degli anonimi interlocutori a cui, probabilmente, si riferisce l’avv. Caudullo nel suo articolo in cui ribadisce la tesi a favore della firma sui registri elettronici, nella attuale fase di didattica a distanza, giustificandola anche con la inesistenza di rischi penali sostanziali legati alla sua apposizione.

Lo ipotizzo non per mitomania ma perché sono l’autore di questa replica, ospitata peraltro su La Tecnica stessa, ad un suo iniziale intervento ed anche sulla base della ulteriore circostanza di essere l’autore del ricordato intervento un po’ più articolato sulla vexata quaestio ospitato proprio qui.

Vorrei proporgli, pur nella incertezza dei suoi riferimenti alla mia persona, un confronto a distanza che si sostanzi in una valutazione complessiva del problema e non su una parziale analisi estremamente tecnicistica come quella meramente penalistica.

Per questa non sono attrezzato visto che ho chiarito nella mia iniziale replica che non sono un avvocato ma solo un modesto cultore della complessa materia che è la normativa scolastica.

Dichiarerei, perciò, la mia volontaria soccombenza sul piano dell’analisi tecnica penalistica.

Non mi arrendo, invece, sulla difesa della illegittimità ed impraticabilità della apposizione della firma sui c.d. registri elettronici anche dopo la legittimazione della didattica a distanza.

Siccome ho proposto un confronto a distanza che, peraltro, riterrei possibile per il tono conciliativo e di riconoscimento reciproco che colgo nell’articolo di Caudullo, inizio a dare le risposte che egli invoca a sostegno della sua tesi.

Perché, si chiede l’avv.Caudullo, un docente dovrebbe firmare, con consapevolezza e volontarietà, quindi agendo con dolo, l’attestazione di una circostanza non veritiera esponendosi così al rischio reale della commissione del reato “inesistente”?

Per “coprire” ad esempio una mancanza volontariamente commessa.

Avevo videolezione alle 9,00 ma non l’ho fatta in orario e l’ho svolta alle 10,00.

Non potendo sovrapporla al tempo di lezione del collega o non potendo collocarla al di fuori dell’orario previsto per le lezioni, la “firmo”, falsamente, come avvenuta alle 9,00.

Sembra questo, a Caudullo, un caso irreale?

Gliene fornisco, allora, un altro di esempio reale tratto dalla personale recente esperienza.

Uno studente mi spiega, magari con dignitose perifrasi, di avere problemi con il traffico dati e mi chiede di abbandonare la videolezione prima del suo termine.

Con la firma e l’asseverazione del suo precoce allontanamento dall’aula ancorché virtuale, dovrei attestare uno “stato di necessità” che, ovviamente, non posso accertare o che sarebbe comunque, per usare un eufemismo, indelicato chiedergli di dichiarare apertis verbis magari davanti ai compagni.

Quindi, anche per non metterlo in imbarazzo, firmo la sua presenza integrale alla lezione.

E’ un falso ideologico oppure no? Il dolo è presente oppure no?

Lo chiedo all’avvocato non potendo rispondere io per dichiarata incompetenza.

Ho esordito proponendo al mio competente e cortese interlocutore una valutazione complessiva.

Non ho eluso, perciò, le obiezioni sui profili penalistici dell’avv. Caudullo ed ora lo invito, per reciprocità, a seguirmi sul piano generale.

A cosa serve, in questa fase, la firma?

Caudullo ipotizza che serva a dare una “maggior valenza” all’attività svolta.

Il problema è che la didattica a distanza, ancorché “obbligatoria”, ha limiti oggettivi, evidenziati sempre qui, che, invero, nemmeno Caudullo nega tanto da averne fatto cenno in un suo intervento video critico sulla possibilità della valutazione che trova ufficializzazione formale proprio nel registro.

Un limite significativo è data dalla forzata assenza dalla didattica a distanza di un numero assai elevato di studenti e mi riferisco ai dati ISTAT e MI del recente monitoraggio sulle difficoltà materiali per la dad.

Questi studenti, giocoforza, devono risultare assenti se la firma viene apposta e la soluzione contraria (non riportare le assenze perché non volontarie ma imposte da limiti esterni oggettivi) espone nuovamente al rischio del falso ideologico.

Perché sul registro, lo ricordo, a normativa vigente, si devono riportare le presenze ed i voti.

Sui voti in questa fase poi, è lo stesso avv. Caudullo, con la citata ed assolutamente condivisibile disamina, ad avanzare riserve sulla legittimità della loro annotazione sul registro.

Il quale registro, nella versione elettronica, è carente, sotto il profilo della legittimità della sua adozione per i noti e non controversi limiti in materia di tutela dei dati personali e la mancata adozione del piano di dematerializzazione rilevata dalla stessa Autorità Garante per la Privacy.

Per i registri in versione cartacea, per certo presenti in un numero sia pur minimo di scuole, l’impedimento alla firma nasce dalle stesse norme del lockdown che certo non porterebbero a riconoscere come stato di necessità, attesi i rischi per la salute pubblica ed individuale, la circostanza della firma da apporre.

Passando poi ad obiezioni sul piano sostanziale, il decreto legge 22/2020 esclude la possibilità che uno studente possa non essere ammesso alla classe successiva sia per il superamento del tetto delle assenze che per eventuali insufficienze.

Ritorniamo, perciò, ai dati che giustificano una eventuale firma: presenze e voti.

Ma se questi dati non sono, per quest’anno, dirimenti ai fini di una promozione che sarà generalizzata ope legis, quale sarebbe il senso e la necessità della firma?

Per la verità essa non sarebbe giustificata nemmeno in vista dell’attestazione del servizio reso perché (ma potrebbe essere il tema di un diverso intervento) è assai dubbio che la “obbligatorietà” della prestazione sia compatibile con quel quadro contrattuale e normativo vigente testualmente evocato sempre nell’art. 23 del citato d.l. 22/2020.

Ricapitolando, perciò, alla fine di un ragionamento complessivo: firmare espone a rischi certi, sia pure a determinate condizioni, della commissione di un reato, firmare equivale a certificare la violazione del principio costituzionale del diritto allo studio sancito dal’art. 34 della Carta, firmare significa mettere voti a rischio di ricorso possibile nel caso di promozione sancita per norma (il recente decreto legge) ma con ipotetico debito.

Ancora convinto, gentile avv. Caudullo, della sua tesi pro firma?  

                                                                                        Franco Labella