Il Diritto del Dirigente Scolastico all’assegnazione nel ruolo regionale e nella scelta di sede più vicina al domicilio della Madre, soggetto portatore di handicap art. 3, comma 3, Legge 104/1992

Tribunale di Locri – Sentenza del 15.12.22

Fatto

Un Dirigente Scolastico vincitore del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. n. 1259 del 23.11.2017, si è rivolto all’Avv. Giuseppe Versace del foro di Bologna (Presidente dell’Associazione “Avvocati di Diritto Scolastico – Associazione Nazionale”), per essere assistito in seguito alle violazioni effettuate dal Ministero dell’Istruzione, in quanto l’Amministrazione Scolastica aveva ritenuto che le precedenze ex lege n. 104/1992, non potessero farsi valere in sede di assegnazione alle Regioni, bensì soltanto nella fase successiva, fase concernente l’assegnazione della sede di primo incarico.

Sentenza del Tribunale id Locri, Sez. Lavoro.

Il Giudice Locrese, dott. Salvatore La Valle, in data 15.12.2022, con Sentenza, ha accolto tutte le richieste formulate dall’Avv. Giuseppe Versace, disponendo che:

“Con ordinanza del 12/03/2020, il Giudice assegnatario della causa, dott.ssa Antonella Crea, ha accolto la domanda cautelare, non oggetto di reclamo.

Con note successivamente depositate il procuratore di parte ricorrente ha esposto che la parte, in esecuzione della predetta ordinanza, è stato trasferito presso l’Istituto Comprensivo XXX, ed ha pertanto chiesto la conferma del provvedimento d’urgenza.

La fase di merito non si è arricchita di nuovi elementi istruttori e pertanto occorre riportarsi a quanto già deciso in fase cautelare, anche in ragione di quanto ampiamente illustrato in merito alla fondatezza della domanda.

Si è infatti già statuito che: “Nel caso di specie, parte ricorrente incentra la propria domanda sulla mancata applicazione, nella fase di assegnazione ai ruoli regionali, dei benefici dell’art. 33, co. 5, della L. n. 104/1992”.

Occorre preliminarmente ripercorrere la portata e l’ambito di applicazione della norma invocata da parte ricorrente, ossia dell’art. 33, commi III e V, L. n. 104/1992, ai sensi del quale: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto é riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”.

La norma sopraindicata, al V comma, prevede dunque sia il diritto del dipendente che versi in una delle condizioni di cui al III comma di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, sia il divieto di trasferire il dipendente senza il suo consenso.  

La formulazione della norma distingue nettamente i due benefici e ciò in quanto il primo beneficio implica un diritto condizionato, prevedendo la possibilità di essere assegnati a sede diversa da quella di appartenenza, ma solo quando ciò sia possibile, mentre il divieto di trasferimento dalla sede di appartenenza senza il consenso dell’avente diritto appare assoluto ed incondizionato.

Il Giudice richiamando la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione.

Il Giudice ha evidenziato che: La Suprema Corte ha affermato che “l’art. 33, comma 5 [nel testo modificato dalla L. n. 53/2000 e dalla L. n. 183/2010] disciplina uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività affinché quest’ultima risulti il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza”.

Pertanto, “il diritto del cd. caregiver familiare a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del congiunto disabile può essere esercitato sia all’atto dell’assunzione, mediante la scelta della sede in cui viene svolta l’attività lavorativa, sia nel corso del rapporto, con una domanda di trasferimento, ove ciò sia possibile e purché sussistano i requisiti oggettivi e soggettivi di cui all’art 33, comma 3, l. n. 104 del 1992. Invero la ratio della disposizione in oggetto è quella di agevolare coloro che si occupano dell’assistenza di un proprio parente non più autosufficiente, con il presupposto che il ruolo delle famiglie è fondamentale nella cura. Pertanto, è da ritenersi irrilevante se tale esigenza di assistenza sia sorta nel corso del rapporto di lavoro o sia presente già all’instaurazione dello stesso, poiché, la necessità di sostegno al congiunto disabile può essere fatta valere in ogni momento dal lavoratore” (cfr. Cass. 01/03/2019, n. 6150 che richiama Cass. n. 7120/2018; n. 24015/2017).

Così individuata la ratio della norma in esame, occorre soffermarsi sulle condizioni cui la legge subordina il diritto in oggetto.

Orbene i requisiti oggettivi e soggettivi sono, innanzitutto, indicati all’art. 33 comma 3, a norma del quale “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto (…)”.

Si rileva che la L. n. 183/2010 (art. 4) ha eliminato dal citato art. 33 comma 5 la previsione della continuità ed esclusività dell’assistenza che limitavano la concessione delle agevolazioni in questione.

L’unico limite a tale diritto, in presenza dei suddetti requisiti, è costituito dalla locuzione “ove possibile”.

Costituisce indispensabile presupposto del diritto (condizionato) al trasferimento ex art. 33, V comma, L. n. 104/1992 non la mera vacanza di un posto, ma la vacanza di un posto che il datore di lavoro abbia dimostrato di volere coprire.

L’inciso secondo il quale il diritto al trasferimento del congiunto di soggetto disabile ex art 33, V comma, L. n. 104/1992 sia accoglibile soltanto “ove possibile” non deve certo essere inteso nel senso di lasciare ampia discrezionalità al datore di lavoro se acconsentire alle richieste del dipendente, ovvero destinare il posto vacante ad altre finalità, dal momento che, in tal modo opinando, verrebbe svuotato di qualsivoglia contenuto il diritto in oggetto e verrebbe vanificata la stessa ratio della norma in questione, volta alla tutela delle esigenze di salute e di sostegno delle persone svantaggiate, che costituiscono invece esigenze prioritarie, di rango costituzionale, attuazione dei principi di cui agli art 2, 3, 32 Cost..

Si deve invece ritenere che, ogniqualvolta esista un posto vacante e disponibile nel senso in precedenza chiarito, il datore di lavoro abbia l’obbligo di destinarlo al titolare del diritto al trasferimento ex art 33, non potendo egli subordinare tale fondamentale tutela a scelte imprenditoriali di rango certamente inferiore e comunque inidonee a prevalere sulla ratio sottesa alla normativa di riferimento che, proprio perché finalizzata alla tutela di diritti fondamentali, deve considerarsi dotata di valenza imperativa ed inderogabile.

L’inciso “ove possibile” di cui all’art 33, V comma, L. n. 104/1992 deve intendersi dunque in senso restrittivo, potendo limitare l’espansione e la realizzazione del diritto al trasferimento solo laddove esso incida in maniera sostanziale sulle prerogative imprenditoriali, anche queste entro certi limiti garantite dalla Carta fondamentale attraverso l’art 41 Cost.

Il trasferimento del disabile o del congiunto che deve assisterlo non sarà possibile, ad esempio, laddove esso incida sull’assetto organizzativo del datore di lavoro, imponendogli di modificarlo, ovvero di creare un posto inesistente, oppure di coprire un posto che non sarebbe stato coperto per scelte imprenditoriali.

Deve invece essere riconosciuto il diritto al trasferimento del disabile, ovvero del congiunto che deve assisterlo in tutti i casi in cui il posto vacante esista e sia stato manifestato dal datore di lavoro l’intento di coprirlo. Tali principi sono stati enunciati a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità.

La Suprema Corte ha infatti evidenziato che “L’art. 33, comma 5, legge n. 104 del 1992, stabilendo che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, attribuisce un diritto che, in virtù dell’inciso secondo il quale esso può essere esercitato “ove possibile”, ed in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora il suo esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell’azienda ed implica che l’handicap sia grave o, comunque, richieda un’assistenza continuativa; inoltre, poiché le agevolazioni previste dalla succitata norma costituiscono forme di intervento assistenziale riconosciute ai portatori di handicap ‘sub specie di agevolazioni concesse a favore di coloro che si occupano dei predetti, la sussistenza dell’handicap deve essere accertata dalle unità sanitarie locali, mediante le commissioni mediche di cui all’art. 4, legge n. 104 del 1992, non essendo consentita la sua dimostrazione mediante documentazione medica di diversa provenienza, ferma restando l’ammissibilità della contestazione nelle sedi competenti, delle conclusioni rese da dette commissioni” (cfr. Cass., sez. lav., ord. n. 18223 del 5/9/2011, Rv. 618847-01).

Ed ancora: “In materia di assistenza ai portatori di handicap, la norma di cui all’art. 33, sesto comma, della legge n. 104 del 1992, circa il diritto del disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, va interpretata nel senso che esso può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche successivamente a quest’ultima e, in tal caso, sia quando la situazione di handicap intervenga in corso di rapporto, sia quando essa preesista ma l’interessato, per ragioni apprezzabili, intenda mutare la propria residenza, deponendo in tal senso, oltre che la lettera della norma, l’esigenza di consentire l’effettività del diritto al lavoro in capo alla persona svantaggiata a causa della situazione di handicap. Tale diritto, tuttavia, non si configura come incondizionato, giacché esso – come dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli interessi implicati, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative dell’impresa, gravando sulla parte datoriale l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio stesso dell’anzidetto diritto. (Nella specie, la S.C., ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto in favore di un portalettere disabile, già in servizio alle dipendenze di Poste Italiane S.p.A., il diritto al trasferimento ad altra sede ed al mutamento delle sue originarie mansioni in quelle di sportellista, ritenendo non provata l’asserzione della parte datoriale relativa alla non necessità di tale funzione nella sede di destinazione, che comunque risultava priva di detta figura di operatore interno)”. (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 3896 del 18/2/2009, Rv. 606626-01).

In un successivo arresto giurisprudenziale, i Giudici di legittimità hanno ribadito che il genitore o il familiare lavoratore, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap con lui convivente, può esercitare, ai sensi dell’art. 33, commi 5 e 6, della L. n. 104 del 1992, il diritto di scegliere la sede di lavoro sia al momento dell’assunzione che in costanza di rapporto, sempreché il posto risulti esistente e vacante.

Ed invero, “La piana lettura del testo letterale dell’art. 33, comma 5 L. cit. (secondo cui: “il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”) rende evidente come la facoltà di scelta non sia limitata al momento di assunzione, potendo anzi essere compiuta, alle condizioni previste, anche in costanza di rapporto, come si evince dalla esplicita tutela dal trasferimento imposto.

Ma anche la sua lettura, in via comparativa con il sesto comma (che ne ricalca il dettato, a tutela della “persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità”), così come correntemente interpretato, secondo il tenore testuale e la finalità (nel senso dell’esercizio del diritto di scelta in questione, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche successivamente e, in tal caso, sia quando la situazione di handicap intervenga in corso di rapporto, sia quando preesista ma l’interessato, per ragioni apprezzabili, intenda mutare la propria residenza: Cass. 18 febbraio 2009, n. 3896), esclude la limitazione dedotta dal Ministero ricorrente.

Il diritto di scelta in esame, praticabile in costanza di un handicap grave o che richieda un’assistenza continuativa e sempre “ove possibile”, deve per tale ragione essere bilanciato dalla valutazione datoriale di compatibilità con le esigenze economiche ed organizzative dell’impresa (Cass. 18 agosto 2014, n. 18030; Cass. 5 settembre 2011, n. 18223; Cass. s.u. 27 marzo 2008, n. 7945), in particolare presupponendo l’esistenza (e la vacanza) del posto nella sede eligenda (Cons. Stato 31 gennaio 2003, n. 481).” (cfr. Cass., Sez. L., Sentenza n. 16298 del 03/08/2015 (Rv. 636720 – 01).

Da ultimo, la Suprema Corte (Cass. n. 6150/2019 cit.) ha ribadito che non vi è “dubbio che tale diritto non sia incondizionato (come reso evidente dall’inciso “ove possibile” contenuto nella norma) ma debba essere oggetto di un bilanciamento con altri diritti e interessi del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 41 Cost.. Tale bilanciamento, come già statuito da questa Corte (Cass. n. 24015 del 2017; n. 25379 del 2016; n. 9201 del 2012), dovrà valorizzare le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore col solo limite di esigenze tecniche, organizzative e produttive, allegate e comprovate da parte datoriale, non solo effettive ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte”; il diritto non è assoluto e privo di condizioni e implica un recesso del diritto stesso, ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi, soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico, potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. 25/01/2006 n. 1396 e Cass. 27/03/2008 n. 7945)”.

In applicazione dei suesposti principi, affinché possa essere riconosciuto il diritto al trasferimento del dipendente che sia legato al soggetto disabile da uno dei rapporti di parentela indicati dal comma III dell’art. 33, L. n. 104/1992, occorre che vi sia stato l’accertamento di una situazione di handicap grave che implichi la necessità di assistenza; che esista il posto vacante relativo alle mansioni svolte dal lavoratore o a mansioni equivalenti; che l’Ente datoriale abbia manifestato la volontà di coprire detto posto in violazione del diritto di precedenza vantato dal lavoratore richiedente; che l’eventuale trasferimento del lavoratore non leda in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative dell’impresa, gravando sulla parte datoriale l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio del diritto in oggetto.

Nel caso di specie caso di specie, occorre rilevare che parte ricorrente ha dimostrato, con la documentazione versata in atti, la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge e, dunque, l’esistenza dei presupposti per poter beneficiare dell’assegnazione ex art. 33, comma 5, presso la sede di servizio più vicina al domicilio del disabile.

Dalla documentazione allegata al ricorso introduttivo si evince infatti che la madre dell’odierno ricorrente, residente nello stesso Comune e, cioè, a XXX è stata riconosciuta soggetto portatore di handicap con connotazione di gravità, ai sensi dell’art. 3, comma 3, L. n. 104/1992 (cfr. verbale della competente Commissione INPS – all. n. 11 al ricorso introduttivo); e che il ricorrente è l’unico referente del genitore in stato di disabilità, attesa la dichiarazione di indisponibilità dei due fratelli del medesimo, XXX).

Parte ricorrente ha altresì allegato la circostanza della fruizione, dal mese di giugno 2019, di n. 3 giorni al mese di permessi retribuiti in qualità di referente unico per l’assistenza della madre.

Punto nodale dell’intera vicenda è l’interpretazione dell’art. 15, comma 3, del bando di concorso in precedenza menzionato e la verifica della sua compatibilità con norme di legge primaria e, segnatamente, con l’art. 33, L. n. 104/1992.

Ed invero, l’art. 15 del bando testualmente recita al secondo comma: <<I vincitori sono assegnati ai ruoli regionali sulla base dell’ordine di graduatoria e delle preferenze espresse dai vincitori stessi all’atto dello scorrimento della graduatoria, nel limite dei posti vacanti e disponibili ciascun anno e in ciascun USR.>>. Il terzo comma stabilisce invece che: “I vincitori sono invitati, dal competente USR, a sottoscrivere il contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro relativo alla dirigenza scolastica. Resta fermo il regime autorizzatorio in materia di assunzioni di cui all’art. 39, commi 3 e 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n.449. Nell’assegnazione della sede di servizio, il competente USR si atterrà a quanto disposto dagli articoli 21 e 33, commi 5, 6 e 7, della legge 104/1992.>>

L’Amministrazione scolastica ha inteso tale norma nel senso della concreta applicabilità del diritto di precedenza in esame previa differenziazione tra le due fasi, quella iniziale di assegnazione della regione di pertinenza e quella successiva della scelta del plesso scolastico, limitando la tutela solo in questo più ristretto ambito regionale. Tuttavia, come è stato correttamente rilevato dalla prevalente giurisprudenza di merito, tale limitazione appare del tutto illogica e soprattutto contrastante con la norma, di rango primario, di cui all’art. 33, L. n. 104/1992.

La norma contenuta nel bando opera infatti una surrettizia deroga ai principi e al dettato della legge n. 104/1992 e del decreto legislativo n. 297/1994, ma per il principio della gerarchia delle fonti una disposizione di natura secondaria non può violare – escludendone l’operatività – la norma di rango primario e speciale, oltre che cogente ed imperativa, che impone, certamente ove possibile, il rispetto della scelta di una sede disponibile più vicina al proprio domicilio.

Giova ribadire che la natura di norma imperativa dell’art. 33, comma 5 legge 104/1992 è evincibile dalla sua stessa ratio legis e dalla sua collocazione all’interno di una legge contenente i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata (art. 2 legge 104/1992) ed avente come finalità la garanzia del pieno rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata, la promozione della piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; la prevenzione e la rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; il perseguimento del recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, l’assicurazione di servizi e di prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata; la predisposizione di interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata (cfr. art. 1 legge 104/1992)”. L’interpretazione adottata nel bando in oggetto comporta, inevitabilmente, lo sradicamento del lavoratore dal luogo di residenza del congiunto da accudire, con conseguente grave pregiudizio delle esigenze di cura del soggetto bisognevole di assistenza, ragionevolmente radicate nel luogo summenzionate.

Si verrebbe pertanto ad attuare, condividendo l’impostazione dell’Amministrazione Scolastica, una compressione ingiustificata di un diritto costituzionalmente protetto, atteso che, una volta avvenuta l’assegnazione ad una Regione comunque distante – anche di centinaia di chilometri – dal domicilio del familiare handicappato da assistere, per il lavoratore risulta poi del tutto indifferente la scelta tra l’una o l’altra sede nell’ambito di quella Regione.

Di fatto, o si applica il diritto di precedenza con riferimento ad entrambe le fasi e quindi in primo luogo alla fase di assegnazione ai ruoli regionali o il diritto in oggetto può essere, come accade nel caso di specie, in concreto del tutto compromesso.

Ne discende che la tutela del diritto della scelta prioritaria tra le sedi disponibili più vicine al domicilio del disabile deve passare necessariamente attraverso la sua logica anticipazione alla fase di assegnazione della regione prescelta.

Il Giudice del Lavoro nell’attuare a quanto stabilito dal Decreto Legislativo n. 165/2001, evidenzia che:

Non si rivengono, inoltre, limiti o ragioni ostative a siffatta interpretazione nell’art. 25, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale “Nell’ambito dell’amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonoma a norma dell’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensioni regionale e rispondono, agli effetti dell’articolo 21, in ordine ai risultati, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa”.

Come detto, l’assegnazione e l’inquadramento in ruolo regionale dei vincitori del concorso è fase successiva alla proclamazione dei vincitori stessi e, quindi, rientra nella fase di assunzione e di scelta della sede di servizio, fase in cui va assicurato l’esercizio del diritto di cui all’art. 33, comma 5. L. n. 104/1992.

A ciò si aggiunga che, mentre parte ricorrente ha sufficientemente allegato l’esistenza di posti vacanti e disponibili nella Regione Sicilia, indicata come prima preferenza (cfr. tabella assegnazione Regioni all. 7, graduatoria generale all. 8 e nota dell’1/8/2019 all. 6), il Ministero resistente, non costituendosi in giudizio, non ha allegato né comprovato l’esistenza di ragioni ostative al trasferimento del ricorrente nella sede richiesta”.

La decisione del Giudice del Lavoro.

Il Giudice accoglie il ricorso del Dirigente Scolastico, disapplicando il provvedimento MIUR dell’8.8.2019, Prot. 36621 e del conseguente decreto U.S.R. per la CALABRIA n. 14013 del 23.08.2019, dichiarando il diritto del Dirigente Scolastico, nell’assegnare lo stesso nel ruolo regionale nella sede di servizio più vicina al domicilio della madre, soggetto portatore di handicap ex art. 3 comma 3 L. n. 104/1992, ed ordinando al Ministero convenuto di assegnare di assegnare il ricorrente nei ruoli della dirigenza scolastica della Regione Sicilia e presso una sede di lavoro (intesa come istituzione scolastica) vacante e disponibile più vicina al domicilio della madre XXX, salva la precedenza di altri soggetti dotati della medesima o poziore precedenza e, a parità di precedenza, di punteggio maggiore, con la condanna del Ministero alla condanna delle spese di lite.

Avv. Giuseppe Versace

(Presidente dell’Associazione “Avvocati di Diritto Scolastico – Associazione Nazionale)