Il Tribunale di Foggia ha mutato orientamento e condannato il Ministero dell’Istruzione e del Merito a corrispondere la Carta docente ai docenti precari, oltre il limite del biennio

Tribunale di Foggia – Sentenza n. 1772-2023 del 28.11.23

Le sentenze foggiane precedenti alla sentenza n. 29961 del 27.10.2023 della Cassazione, insieme a quelle di uno sparuto numero di altri tribunali nazionali, si erano distinte rispetto al resto del panorama nazionale per offrire sul contenzioso sulla Carta del Docente un’interpretazione particolarmente restrittiva, individuando cioè un termine di 12 o 24 mesi (non contenuto in alcuna norma di legge ma desunto in via interpretativa) che sarebbe valso per i docenti interessati per richiedere il bonus in parola. Tale termine, non solo appariva particolarmente ridotto ma non era neppure interrotto dalla pendenza del giudizio, e quindi destinato, indipendentemente dalla volontà dell’interessato, a rendere vana qualsiasi sentenza sopravvenuta successivamente ai 12 o 24 mesi dalla maturazione del diritto alla “carta” (“il beneficio per cui è causa è strettamente connesso al singolo anno scolastico, ma può essere fruito entro l’anno successivo, sicché deve ritenersi che anche un docente a tempo indeterminato non abbia diritto al beneficio oltre il termine dell’anno scolastico successivo a quello di maturazione del diritto stesso”; v. Trib. Foggia sent. 1885/23, dott.ssa De Salvia).

È evidente come una siffatta prospettazione ingiustamente riduttiva di un diritto che ricade nel genus delle “condizioni di impiego“, fattispecie tutelata dal legislatore comunitario con particolare attenzione mediante un atto normativo avente immediata efficacia precettiva nel nostro Ordinamento, aveva tagliato fuori una vasta platea di docenti precari, prima lungamente danneggiati dal datore di lavoro pubblico e poi perfino esclusi dalla tutela della giurisdizione nazionale.

Questa interpretazione, però, secondo i giudici foggiani era dovuta al fatto che la Carta non aveva natura pecuniaria, e quindi si doveva “evitare che … l’applicazione del principio di non discriminazione finisca per attribuire ai precari condizioni d’impiego più vantaggiose rispetto a quelle di cui fruiscono i dipendenti a tempo indeterminato” (v. T. Foggia, cit.).

La premessa motivazionale del Tribunale di Foggia, poi però smentita, dalla Cassazione, è che “l’utilità al vaglio non è una voce retributiva, bensì un mero strumento di lavoro, non suscettibile di accumulo”; questo secondo la tesi foggiana comportava che “non può allora essere riconosciuta l’erogazione con riferimento ad anni pregressi (…di riferimento…), per i quali- escluso trattarsi di retribuzione- non ha (più) senso parlare di aggiornamento/formazione (continua) ora per allora.

Si è detto – e ciò vale anzitutto per i docenti a tempo determinato- che l’accredito è utilizzabile nell’arco dell’anno scolastico di riferimento.

Se così non fosse i docenti di ruolo potrebbero recuperare senza limiti- o nei limiti della prescrizione- le annualità pregresse non utilizzate; ed invece il recupero è eccezionalmente consentito solo per il residuo (ciò che importa che parte dell’importo disponibile sia stato utilizzato) e limitatamente al solo anno precedente.

Sicché consentire ai docenti non di ruolo il recupero delle annualità pregresse determinerebbe una discriminazione all’incontrario in danno di quelli di ruolo”. (v. Tribunale. Foggia sent. n. 1389/2023, dott. S. Antonucci).

Per approfondire gli aspetti critici del precedente orientamento di Foggia si veda anche l’articolo a cura dell’Avv. Francesco Orecchioni pubblicato su questo sito alla pagina https://www.dirittoscolastico.it/la-carta-docenti-costituisce-un-beneficio-economico/?fbclid=IwAR10Dq3Ed_SVYiXE3Tn4CROws-8bN6C0vhIrDlOKSwFhkjIme74zOuu-47A.

Oggi, invece, il foro foggiano, mutando radicalmente il proprio isolato orientamento, alla luce del fatto che le tesi in precedenza offerte sono state smentite dalla successiva Cassazione, ed aderendo alla giurisprudenza maggioritaria già sussistente in materia, ha finalmente affermato l’assoluta irrilevanza del termine biennale (“Ai docenti che rimangano nel sistema scolastico, nella irrilevanza del trascorrere del biennio dal momento in cui il diritto era sorto e poi viene accertato dal giudice … è data azione di adempimento in forma specifica, mediante attribuzione della Carta Docente per un importo pari al valore che spettava e con funzionamento secondo il sistema attuativo proprio dello specifico bonus in esame….riconoscendo «il medesimo importo … da impiegare negli stessi termini e secondo le medesime modalità».”).

Il corretto termine per il docente per richiedere il bonus è dato unicamente dalla “prescrizione” individuata dal Tribunale secondi i principi espressi dalla Suprema Corte, e quindi, “richiamata la natura pecuniaria dell’obbligazione”, il Giudice dauno ha affermato che “essa è quinquennale (pena una discriminazione alla rovescia ove si applicasse quella decennale) decorrente dal momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, individuato nel conferimento della supplenza ovvero dal successivo momento in cui (anche) ai docenti di ruolo era consentita la registrazione telematica secondo il sistema del DPCM del 2016.; a fronte della prescrizione decennale della domanda risarcitoria …, trattandosi di responsabilità di tipo contrattuale e con decorrenza dalla cessazione del servizio, ovvero dal momento in cui diviene attuale il diritto al risarcimento del danno contrattuale” (v. Trib. Foggia, sent. 3531/23, dott. S. Antonucci).

Infine, a differenza delle precedenti pronunce dove era disposta la compensazione integrale delle spese di lite, ora il Ministero dell’Istruzione e del Merito è stato condannato anche alla refusione delle spese legali.

A conclusione di questa vicenda resta il cruccio per tutti quei docenti destinatari delle prime sentenze, i quali, nonostante la loro evidente condizione di sotto protezione e di discriminazione, situazioni legittimanti l’esistenza stessa di una Magistratura specializzata del Lavoro, per ottenere quanto loro spettante, non solo hanno dovuto attendere le pronunce di due tra i massimi organi di Giustizia, quali la CGUE (Ordinanza del 18/5/2022) e il Consiglio di Stato (sentenza n. 1842/2022 del 16.03.2022), ma hanno finanche dovuto proporre un secondo giudizio in appello, sobbarcandosi integralmente le spese di giudizio (vista la compensazione decisa in precedenza ed oggi giustamente rimeditata).

Avv. Gianluigi Giannuzzi Cardone