Tribunale di Perugia – Ordinanza del 28 novembre 2011

Reiterazione contratti a tempo determinato: insussistenza del fumus boni juris e rigetto della domanda cautelare volta alla conversione del rapporto ed al risarcimento del danno.

 

La richiesta di conversione del rapporto non risulta fondata; in linea schematica, va, infatti, osservato che:

a) l’assunto secondo cui le previsioni del T.U.P.I. e segnatamente l’art. 36 che esclude la conversione del rapporto di lavoro a termine alle dipendenze della P.A. in un rapporto a tempo indeterminato sarebbero stati abrogati dall’art 10 del d.lgs. 368/2001 è smentito dal combinato disposto degli artt 2, comma 2, del T.U.P.I. che rinvia al codice civile ed alle leggi speciali sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa per la disciplina del rapporto di impiego pubblico solo dove non sia diversamente disposto dallo stesso decreto, mentre l’art. 70 dello stesso testo fa salva la disciplina speciale di reclutamento del personale scolastico;

b) la normativa di settore (a partire dal d.lgs. 297/94 e dal d.lgs. 124/99 per citare le fonti più rilevanti) costituisce un sistema autonomo ed in sé del tutto autosufficiente, contenente previsioni speciali del tutto differenti da quelle che regolano il ricorso al lavoro a termine nel settore privato, come è normale stante la diversità delle esigenze e la necessità di regolazione di un settore in cui non è l’autonomia privata a dettare il contenuto dei contratti e la causale del ricorso al termine, bensì norme di legge e di regolamento che l’amministrazione è tenuta a rispettare;

c) la giurisprudenza della CGCE (Vassallo, Marrosu e Sardino, Angelidaki) ha costantemente escluso che osti al diritto comunitario e segnatamente alla direttiva sul lavoro a termine 70/1999, una norma che escluda, per tutelare il principio di imparzialità della P.A. insito nella selezione concorsuale, la conversione del rapporto a termine nel pubblico impiego a condizione che sussista nell’ordinamento un rimedio comunque adeguato in grado di assicurare effettivamente il raggiungimento dello scopo di dissuadere l’eccessivo ricorso al lavoro flessibile;

d)         detta finalità può essere certamente raggiunta con il ricorso all’art. 18 St. lav. perché detta norma monetizza primamente il valore del rapporto di lavoro e perché possiede (nel momento in cui stabilisce un minimo necessario di 5 mensilità oltre alla reintegra o all’indennità sostitutiva per i lavoratori illegittimamente licenziati), tratto quasi unico nel nostro ordinamento, una connotazione di punitive damage, espressamente richiamata dalla Corte del Lussemburgo laddove prescrive rimedi non che assicurino tutele equivalenti sul piano risarcitorio ma che conseguano gli scopi imposti dalla direttiva con uno spiccato carattere dissuasivo;

e) esistono comunque plurimi altri modi di assicurare lo scopo perseguito dalla direttiva che spaziano dall’applicazione dell’art 32 della legge 183/2010 alla corresponsione a titolo risarcitorio di somme di denaro equitativamente determinate per ciascun anno o per ciascun contratto a termine abusivo;

f)  l’art. 97, terzo comma, Cost, impone, salve le deroghe previste per legge, che il reclutamento degli impiegati pubblici avvenga attraverso un concorso pubblico. Sotto questo profilo, non pare convincente l’interpretazione fornita dal Tribunale di Trani laddove afferma che i lavoratori pubblici utilizzati dall’amministrazione scolastica con contratto a termine per oltre 36 mesi ai sensi del comma 4 bis dell’art. 5 del d.lgs. 368/2001 hanno diritto alla conversione proprio in forza di una norma di legge argomentando dal carattere sopravvenuto e valido solo pro futuro degli espliciti divieti di conversione posti dai d.l. 134/2009 e 70/2011, attesa la portata interpretativa di disposizioni i cui esiti erano già evincibili ab origine già prima di novelle tese a meglio disegnare il perimetro applicativo delle norme proprio in ragione dell’incipiente contenzioso.

 

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