Abuso del contratto a termine. Risarcimento del danno pari a 20 mensilità (Corte d’Appello di Roma – sentenza n. 270/2012)

 

Di seguito la sentenza della Corte d’appello di Roma (di cui avevamo dato precedentemente notizia https://www.dirittoscolastico.it/risarcimento-ai-precari-scuola-per-venti-mensilita-dalla-corte-dappello-di-roma/) che ha riconosciuto ad una docente precaria il diritto al risarcimento del danno per 20 mensilità per abuso di contratti a termine.

In primo grado, il Tribunale di Viterbo, nel dichiarare l’illegittimità delle clausole appositive del termine di durata ai numerosi contratti stipulati dalla docente e il MIUR, aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno pari a 6 mensilità, con liquidazione delle spese di causa (peraltro parzialmente compensate) inferiore ai minimi tariffari.

Da ciò le ragioni dell’appello della docente, con successivo appello incidentale del MIUR.

La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura di 20 mensilità, con condanna alle spese dell’Amministrazione intimata.

La decisione che si commenta merita di essere segnalata perché apre interessanti spunti di riflessione sulla vexata quaestio del ricorso dei contratti a termine nel comparto scuola.

Secondo il Collegio – quanto meno sino all’entrata in vigore del D.L. n.70 /2011- nel comparto scuola trovano applicazione i principi stabiliti dal D.Lgs. n.368/2001 col quale il legislatore ha trasposto la direttiva UE di recepimento dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato.

In forza di tale direttiva, è precluso al legislatore nazionale il ricorso generalizzato e indiscriminato al contratto a termine.

Se è vero che in linea teorica potrebbero individuarsi delle ragioni oggettive che potrebbero giustificare in particolari casi il ricorso al contratto a termine, è ugualmente vero che qualora tali ragioni (al di là della giustificazione formale) si rivelassero “non già provvisorie, ma permanenti e durevoli” si porrebbero in contrasto con l’obiettivo perseguito dall’accordo europeo.

Nel caso del comparto scuola, risulta evidente che il ricorso a contratti a tempo determinato (ad esclusione di quelli relativi a supplenze temporanee) viene effettuato per esigenze niente affatto provvisorie, ma stabili e durevoli nel tempo.

Si aggiunga che la disciplina che regola la materia (la legge n.124/1999 e i vari regolamenti attuativi succedutisi nel tempo) ha creato un sistema “privo della benché minima programmazione” che ha reso “durevole e permanente la provvisorietà”, addirittura facendo “della provvisorietà la regola”.

Si è così realizzato un sistema caratterizzato “dal ripetuto ricorso alle assunzioni a termine, anche in relazione a posti che sono disponibili”.

Secondo la corte territoriale, appare evidente che la legge 124/1999 prevede e consente assunzioni a tempo determinato in assenza di ragioni obiettive e non contiene alcuna disposizione idonea ad evitare abusi.

Pertanto, interpretando il diritto nazionale in modo compatibile con la direttiva europea (Corte di giustizia, 5 ottobre 2004, c-397 e 403/01, Pfeiffer) deve ritenersi che le assunzioni a termine non potevano protrarsi oltre i 36 mesi complessivi previsti dall’art. 5, comma 4-bis D Lgs. 368/2001.

Conseguentemente, nel rigettare l’appello incidentale proposto dal MIUR, la Corte d’appello ha ritenuto equo determinare il danno nella misura di 20 mensilità di retribuzione ( 5 corrispondenti alla misura minima prevista dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori e 15 corrispondenti all’indennità sostitutiva della reintegra ex art.18).

Avvocato Francesco Orecchioni

(Si ringrazia lo studio legale Pistilli-Reho, che ha curato la causa per conto della UIL Scuola di Viterbo).

 

Corte d’Appello di Roma – sentenza n. 270/2012