L’educazione per la prevenzione della violenza e discriminazione di genere nella scuola: il corretto iter giuridico

La Scuola è la seconda più importante agenzia educativa dopo la Famiglia, ma con l’importante differenza, rispetto a quest’ultima, di rivolgersi e coinvolgere  tutti i minori e giovani del Paese.

Pertanto la Scuola ha il compito di integrare e/o sopperire alle lacune educative delle Famiglie. La Scuola non deve solo contribuire alla trasmissione dei Saperi e allo sviluppo delle relative Competenze, ma deve anche educare, e sviluppare le cosidette life-skill, tra cui primeggia la competenza di essere in grado di instaurare e gestire positive relazioni umane, fondate sul rispetto e sul riconoscimento delle differenze.

Ne consegue che la Scuola deve essere “una palestra” di parità tra i sessi, e di educazione al contrasto contro la violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione.

L’art. 3, comma 1, della Costituzione è il fondamento giuridico di tale approccio:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

Ne consegue che: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2, della Costituzione).

Il titolare di diritti incomprimibili, preesistenti al Contratto Sociale e allo Stato, è la Persona, ossia l’individuo “in carne ed ossa”, con la sua storia e progetto di vita, limiti e potenzialità, valori ed identità.

La sfera della sessualità non è estranea a tale tutela.

L’art. 8 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo recita:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

  1. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 180 del 2017, ha chiarito definitivamente, dopo i precedenti del 2015, che si ritiene possibile ottenere la modifica del sesso anagrafico anche in assenza di un intervento chirurgico atto a ottenere la trasformazione, o almeno trattamenti ormonali finalizzati al c.d. cambio di sesso, valorizzando la percezione soggettiva del sé rispetto ai dati biologico-anatomici.

Agli aspetti giuridici si abbina un cambiamento culturale-scientifico. Dal 2018 la classificazione internazionale delle malattie (ICD – International Classification of Diseases dell’Oms) non prevede più la transessualità come disturbo mentale. L’incongruenza di genere, come viene chiamata, è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali per essere inserita in un nuovo capitolo sulle “condizioni di salute sessuale”.

La questione della parità dei sessi e della prevenzione della violenza e discriminazione di genere in ambito scolastico, è per la prima volta affrontata espressamente con l’art. 1, comma 16, della legge n. 107/2015, che recita:

“16. Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013.”

Si tratta di un comma che ha prodotto molto dibattito, e richieste di chiarimento da parte delle Famiglie, che vennero fornite con la nota del Ministero dell’Istruzione n. 1972/2015, che recita:

I maggiori dubbi dei genitori scaturiscono da una non corretta interpretazione del comma 16 della legge 107/2015 di Riforma su “La Buona Scuola” che recita testualmente: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”. La previsione di tale disposizione risponde all’esigenza di dare puntuale attuazione ai princìpi costituzionali di pari dignità e non discriminazione di cui agli articoli 3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese), 4 (la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto), 29 (La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare), 37 (La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.) e 51 (tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro) nonchè a quanto previsto dal diritto europeo che proibisce la discriminazione per ragioni connesse al genere, alla religione, alle convinzione personali, handicap, età, orientamento sessuale o politico. La finalità del suddetto articolo non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le competenze chiave di Cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro le quali rientrano la promozione dell’autodeterminazione consapevole e del rispetto della persona, così come stabilito pure dalla Strategia di Lisbona 2000. Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione, e la promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione.”

Si evidenzia che quanto previsto dal citato comma 16, come risulta dallo stesso testo normativo citato, era un’applicazione al Mondo della Scuola di quanto previsto dal decreto legge 14 agosto 2013 (convertito nella legge n.193/2013), che enunciava:

“… le finalità del “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” che anche la Scuola è chiamata a perseguire:

  1. a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l’informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne;
  2. b) promuovere l’educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell’ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo; …….
  3. g) prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle Amministrazioni impegnate nella prevenzione, nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking;
  4. h) definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di governo, che si basi anche sulle diverse esperienze e sulle buone pratiche già realizzate nelle reti locali e sul territorio.”

La citata nota del Ministero dell’Istruzione pone l’accento anche sulla formazione del personale scolastico in relazione al tema oggetto dell’articolo:

Deve essere, inoltre, sottolineato che il personale scolastico, a cui è affidato il compito di educare i nostri ragazzi anche su queste delicate tematiche, deve essere debitamente formato e aggiornato, così come previsto anche dalla legge 128/2013 che all’art.16 let. D che pone all’attenzione delle scuole la necessità di favorire: ”l’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”.

La nota in oggetto conclude:

Alla luce di tale quadro normativo di rifermento, il MIUR intende supportare e sostenere attivamente i tanti studenti, docenti e dirigenti scolastici impegnati nel difficile lavoro quotidiano, affrontando le problematiche relative a tutte le forme di discriminazione e contrastando ogni forma di violenza e aggressione contro la dignità della persona. In tale ambito, alle scuole spetta il compito – nelle forme e modalità che riterranno più opportune ed efficaci e che individueranno, sulla base dell’autonomia didattica e gestionale loro attribuita, di predisporre azioni nel rispetto di linee di indirizzo generale che saranno appositamente divulgate dal MIUR. Tali linee – che saranno elaborate con il contributo di rappresentanti di associazioni ed esperti riuniti in un apposito tavolo di lavoro che sarà istituito presso il Miur – saranno utili a monitorare e supportare le scuole nelle azioni previste dal comma 16 dell’art 1 della L. 107/2015, anche verificando l’attuazione del piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, esclusivamente per la parte di competenza dell’istruzione. Non può mancarsi di sottolineare, il compito fondamentale affidato ai genitori di partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli esercitando il diritto/dovere che l’art. 30 della nostra Costituzione riconosce loro: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio“. Come già chiarito nella sopra citata nota del 6 luglio 2015, “le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”. Questa opportunità offerta ai genitori, consentirà di scegliere la scuola dei propri figli dopo aver attentamente analizzato e valutato le attività didattiche, i progetti e le tematiche che i docenti affronteranno durante l’anno che, in ogni caso, dovranno risultare coerenti con i programmi previsti dall’attuale ordinamento scolastico e con le linee di indirizzo emanate dal MIUR.”

Per quanto sopra riportato, si evince che la nota pone  due evidenti “paletti” nella progettazione e gestione di interventi educativi di contrasto alla violenza e discriminazione di genere:

  • il PTOF e il Patto educativo di corresponsabilità devono specificare la vision e le attività didattiche in relazione al contrasto alla violenza e discriminazione di genere, per consentire alle Famiglie (o a chi ne fa le veci) e agli studenti maggiorenni, una informata libertà di scelta educativa;
  • le attività didattiche, ed iniziative connesse alla tematica, devono essere coerenti con le linee di indirizzo del Ministero dell’Istruzione

Il primo “paletto”, oltre che sui citati articoli della Costituzione, si fonda a livello di norma primaria dall’art.1, comma 1, della legge n. 53/2003 che recita:

  1. 1. Al fine  di  favorire  la  crescita  e la valorizzazione della persona  umana,  nel  rispetto  dei  ritmi dell’eta’ evolutiva, delle differenze  e  dell’identita’  di  ciascuno  e delle scelte educative della  famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in   coerenza   con  il  principio  di  autonomia  delle  istituzioni scolastiche  e  secondo  i  principi  sanciti  dalla Costituzione, il Governo  e’  delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,  nel  rispetto delle competenze  costituzionali  delle  regioni e di comuni e province, in relazione    alle    competenze   conferite   ai   diversi   soggetti istituzionali,  e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o piu’  decreti  legislativi  per  la  definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale.

Il ruolo della famiglia è ribadito dal comma 3, dell’art. 1, della legge n. 107/2015 recita:

3. La piena realizzazione del curricolo della scuola e il raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi da 5 a 26, la valorizzazione delle potenzialità e degli stili di apprendimento nonché della comunità professionale scolastica con lo sviluppo del metodo cooperativo, nel rispetto della libertà di insegnamento, la collaborazione e la progettazione, l’interazione con le famiglie e il territorio sono perseguiti mediante le forme di flessibilità dell’autonomia didattica e organizzativa previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, e in particolare attraverso:….”

Analogamente l’art. 14, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea recita:

3. La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.”

Parallelamente l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo recita:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

Ulteriormente esplicativa è la nota del MIUR n. 4321/2015, che recita:

Si coglie quindi l’occasione per ribadire la corretta prassi che le scuole sono chiamate a seguire fin dall’inizio dell’anno scolastico e per sottolineare il ruolo strategico e la centralità del Piano dell’Offerta Formativa, in cui obbligatoriamente tutte le attività che le istituzioni scolastiche intendano realizzare devono essere specificate. Si rammenta che il POF è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche che viene elaborato dal collegio dei docenti e approvato dal Consiglio di Istituto. Ai fini della predisposizione del Piano il dirigente scolastico deve promuovere i necessari rapporti con tutti gli stakeholder e tenere conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti. È utile anche ribadire il corretto utilizzo degli strumenti normativi già esistenti che puntano ad assicurare la massima informazione alle famiglie su tutte le attività previste dal Piano dell’Offerta Formativa. In particolare, si fa riferimento al “Patto di corresponsabilità educativa” istituito dal D.P.R. 235/2007, per le scuole secondarie di primo e secondo grado, finalizzato ad offrire agli insegnanti, ai ragazzi e alle loro famiglie, un’occasione di confronto responsabile, di accordo partecipato, di condivisione di metodologie e obiettivi fondanti la vita comunitaria in ambiente scolastico. Le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie. Si ricorda alle scuole, quindi, di assumere le iniziative utili per assicurare da parte delle famiglie una conoscenza effettiva e dettagliata del POF. Va inoltre specificato che i progetti relativi a qualsiasi tematica possono essere realizzati, in orario curricolare, sia nell’ambito del curricolo obbligatorio sia nell’ambito della quota parte facoltativa, ma pur sempre previsti dal Piano dell’Offerta Formativa. La partecipazione a tutte le attività extracurricolari, anch’esse inserite nel P.O.F., è per sua natura facoltativa e prevede la richiesta del consenso dei genitori per gli studenti minorenni o degli stessi se maggiorenni che, in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza.”

Il secondo “paletto” ha avuto concreto seguito nel 2017 con le Linee guida nazionali del Ministero dell’Istruzione:  “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione.”

Si riporta qualche stralcio di queste importantissime Linee guida nazionali:

Il principio di pari opportunità, la cui attuazione – ai sensi del comma 16 dell’art. 1 della L. 107 del 2015 – deve essere assicurata dalle istituzioni scolastiche mediante il Piano Triennale dell’Offerta formativa (PTOF), costituisce quindi un principio trasversale che investe l’intera progettazione didattica e organizzativa. Pertanto, l’educazione al rispetto, intesa in tutte le sue accezioni, non ha uno spazio e un tempo definiti, ma è interconnessa ai contenuti di tutte le discipline e al lavoro delle docenti e dei docenti che dovrà essere orientato a un approccio sensibile alle differenze (per esempio valorizzando la presenza delle donne nei grandi processi storici e sociali, e il loro contributo al progresso delle scienze e delle arti, soprattutto nella seconda metà del ‘900), anche mediante la scelta di libri di testo che, nel rispetto della propria libertà di insegnamento, tengano conto delle presenti linee guida. Il PTOF deve ispirarsi a tale principio declinandolo nelle diverse aree di intervento, mediante la promozione dell’educazione alla parità tra i sessi, della prevenzione della violenza di genere, della prevenzione di ogni forma di discriminazione. Il comma 16 della l.107/2015 trova, quindi, nel PTOF il principale strumento di pianificazione strategica per la sua attuazione: non soltanto enunciazioni di principio, ma anche previsione di azioni concrete da realizzarsi nel corso del triennio sia sul piano dell’informazione, sia su quello della sensibilizzazione, coinvolgendo i diversi attori della comunità scolastica e con il consenso informato dei genitori secondo quanto previsto dal patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia. Il principio di pari opportunità deve trovare la giusta collocazione nel PTOF quale linea strategica delle attività della scuola, sia come principio ispiratore della sua identità, sia mediante attività progettuali, valorizzando l’apporto del territorio e della comunità educante (famiglie, mondo associativo, istituzioni). A tal fine, è importante valorizzare le esperienze positive già avviate; il sito istituzionale del Miur www.noisiamopari.it può essere utilizzato da parte delle scuole sia per far conoscere e promuovere le proprie iniziative, sia per apprendere e trasferire buone pratiche realizzate da altri istituti. La declinazione dei principi di pari opportunità, così come le linee di intervento, dovranno tenere conto del diverso grado di istruzione, dell’età degli alunni e delle alunne, del curricolo della scuola, delle diverse aree disciplinari coinvolte, e delle linee progettuali. Le istituzioni scolastiche potranno realizzare, in accordo con le presenti linee guida, appositi percorsi anche in orario extra-curricolare, sfruttando, tra l’altro, le opportunità offerte dalle risorse umane dell’organico dell’autonomia, privilegiando la didattica laboratoriale e l’apprendimento cooperativo. La partecipazione delle studentesse e degli studenti a questi percorsi potrà essere eventualmente riconosciuta dalle istituzioni scolastiche anche come credito formativo. Allo stesso tempo le istituzioni scolastiche potranno aderire, nel rispetto della propria autonomia, a iniziative di carattere nazionale proposte dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, o da questo in coordinamento con altri Ministeri, con enti pubblici e/o privati, con Fondazioni. In coerenza con la pianificazione delle attività previste dal PTOF, la formazione e l’aggiornamento sui temi legati all’educazione al rispetto dovranno essere indirizzati a tutto il personale scolastico (dirigenti, docenti e personale ATA), coinvolto a vario titolo nella gestione della scuola. La formazione del personale docente su dette tematiche, in particolare, può essere attuata sia nell’ambito della formazione iniziale obbligatoria che negli spazi previsti per la formazione individuale in servizio. Una scuola realmente inclusiva può favorire la costruzione dell’identità sociale e personale da parte delle studentesse e degli studenti, e il suo ruolo educativo risulta ancor più rilevante nell’accompagnare e sostenere anche le fasi più delicate della loro crescita, interagendo positivamente con le famiglie nel pieno rispetto del “patto di corresponsabilità educativa scuolafamiglia”, sancito dal DPR 235/2007……. Le istituzioni scolastiche sono pertanto chiamate a prevedere specifici spazi, tempi e strumenti per l’informazione e il coinvolgimento dei genitori nel corso dell’attuazione delle diverse iniziative previste nell’ambito del PTOF. Le istituzioni scolastiche sono invitate ad avvalersi del supporto degli altri soggetti presenti sul territorio, anche promuovendo reti, sviluppando protocolli di intesa e accordi di collaborazione con gli Enti locali e con le associazioni attive sul territorio, o anche avvalendosi dell’apporto delle Forze dell’Ordine e delle strutture socio-sanitarie per affrontare situazioni più critiche. È necessario individuare percorsi comuni e condivisi, creare sinergie e aprire la scuola al territorio. Fondamentale potrà essere per lo sviluppo e l’attuazione delle presenti linee guida la collaborazione con le associazioni del terzo settore attive sulle tematiche dei diritti umani, della violenza contro le donne e di genere, della promozione delle pari opportunità e non discriminazione, sia per quanto riguarda attività progettuali per le studentesse e gli studenti, sia per le attività di formazione per il personale scolastico.”

Le Linee guida in oggetto trattano anche il tema del linguaggio, in un’ottica di riconoscimento e valorizzazione del genere femminile dal punto di vista grammaticale:

Un’altra forma di violenza simbolica è cancellare la differenza in nome di una presunta uguaglianza che è in realtà un adeguamento al modello maschile. Un caso significativo è rappresentato dalla resistenza da parte del linguaggio quotidiano, dei media, delle istituzioni e perfino dei libri di testo, ad adeguare l’uso della lingua al nuovo status assunto dalle donne in campo professionale e istituzionale: si sostiene l’uso della sola forma maschile dei titoli che indicano ruoli istituzionali o professioni ritenute prestigiose anche se sono riferiti a donne, accampando giustificazioni inconsistenti sul piano linguistico (“sono forme brutte, suonano male”) e sostenendo che si tratta di un uso “neutro” del linguaggio, che fungerebbe addirittura da baluardo contro la discriminazione: quindi sindaco/avvocato sì, ma sindaca/avvocata no. Invece le forme femminili che indicano professioni ritenute meno prestigiose sono tranquillamente accettate (es. infermiera, parrucchiera, cameriera). Ma è doveroso sottolineare che un atteggiamento omologante non produce un linguaggio “neutro”, bensì lo “maschilizza” ulteriormente attraverso l’estensione (impropria, come vedremo) alle donne dell’uso del genere grammaticale maschile e favorisce, così, quei comportamenti discriminatori che si riscontrano in molte esperienze sociali e di lavoro. Come è noto, infatti, la lingua italiana possiede solo il genere grammaticale maschile e quello femminile e non ha il genere neutro. Qualsiasi buona grammatica italiana ne chiarisce l’uso, la funzione e la distribuzione, e ad essa rimandiamo. Qui ci limitiamo brevemente a ricordarne i punti principali: un termine di genere grammaticale maschile indica una persona (‘referente’) di sesso maschile, uno di genere grammaticale femminile indica una persona di sesso femminile. Il genere grammaticale si riconosce dalla forma della parola, es. alunno (m.) e alunna (f.), istruttore (m.) e istruttrice (f.), o dall’articolo che lo precede, es. il docente (m.) e la docente (f.). Il genere di aggettivi, pronomi, nomi, ecc. concorda con quello della persona a cui si riferisce. Es. Paolo è un alunno attento / Anna è un’alunna attenta. Se l’assegnazione del genere grammaticale e il conseguente accordo di aggettivi, pronomi, ecc. non rispettano queste regole si ottengono espressioni non grammaticali: es. *Paolo è una alunna attenta, *Anna è un alunno attento. Più un testo è lungo e articolato più il mancato rispetto di queste regole può renderlo confuso e incoerente. Il genere grammaticale, quindi, non si può scegliere in base a gusti o convinzioni personali: il suo uso si basa su regole che appartengono al sistema della lingua italiana, e contravvenirvi può impedire che la comunicazione si realizzi in modo chiaro, trasparente e corretto. È opportuno ricordare, inoltre, che definire una donna con un termine maschile in settori rilevanti della società come le istituzioni e i livelli professionali apicali, ne opacizza la presenza fino a farla scomparire (termini come “direttore”, “prefetto”, “sindaco” evocano infatti un’immagine maschile, non femminile). E se le esitazioni e addirittura le resistenze all’introduzione di questi nuovi termini femminili possono essere comprensibili dal momento che in passato solo gli uomini rivestivano ruoli istituzionali o svolgevano professioni di prestigio, e che la tradizione ci ha consegnato solo la versione maschile dei relativi titoli, è necessario essere consapevoli che oggi la situazione è cambiata. Adeguare il linguaggio al nuovo status sociale, culturale e professionale raggiunto dalle donne, e quindi al mutamento dell’intera società, si pone oggi come un’azione urgente e necessaria: fornire una rappresentazione inadeguata del genere femminile si configura infatti come una vera e propria violenza simbolica. Un uso della lingua che rifletta la differenza attraverso l’uso del genere grammaticale e permetta così di identificare la presenza delle donne e attribuire loro i nuovi ruoli che esse detengono nella società sul piano professionale e istituzionale, contribuisce a contrastare la discriminazione, a favorire la parità, e anche a trasmettere modelli socioculturali utili alle giovani generazioni per la scelta della loro futura professione. Nella pratica didattica si suggerisce quindi di verificare l’adeguatezza del linguaggio usato nei libri di testo di tutte le discipline non solo per quanto riguarda la presenza di eventuali stereotipi del maschile e del femminile, ma anche per quanto concerne l’uso del genere grammaticale, che costituisce uno strumento fondamentale per la rappresentazione della donna nel linguaggio. Particolare attenzione dovrà essere posta alle indicazioni relative all’uso del genere grammaticale contenute nei testi dedicati all’educazione linguistica. A questo proposito si ricorda l’importanza di: (a) spiegare il funzionamento delle regole di assegnazione e accordo di genere; (b) mostrare come il genere grammaticale costituisca un potente strumento di coesione testuale e quindi la conoscenza del suo funzionamento aiuti la codifica e decodifica di qualsiasi testo; (c) illustrare il significato e l’uso dei nuovi termini femminili che indicano ruoli istituzionali e professioni di prestigio, come architetta, assessora, avvocata, cancelliera, chirurga, conferenziera, consigliera, critica, deputata, difensora, direttrice (generale), funzionaria, ingegnera, ispettrice, medica, ministra, notaia, prefetta, primaria, procuratrice, rettrice, revisora dei conti, segretaria (generale), senatrice, sindaca, tesoriera, ecc.; (d) sottolineare la regolarità grammaticale di queste forme e spiegarne la formazione, fornendo qualche nozione di morfologia che permetta, ad esempio, di distinguere tra nomi semplici (figlio, figli-a) e nomi composti con un suffisso (consigl-ier-e, consigl-ier-a), così da incrementare anche la conoscenza del lessico dell’italiano.4 I rischi di un uso discriminatorio del linguaggio, finora descritti in relazione a quello verbale, valgono anche per quelli visivi, seppur con codifiche grammaticali meno definite: fotografie, immagini e video che invadono media tradizionali e Rete possono avere effetti negativi quanto e più delle parole. Essi richiedono un’attenzione educativa – alla lettura, alla decodifica, all’interpretazione – che assume una rilevanza sempre maggiore con la diffusione delle tecnologie e dei media digitali.”

In sintesi:

  • la normativa di riferimento per gli Istituti scolastici in tema di educazione alla parità di genere, e di contrasto alla discriminazione e violenza di genere, è principalmente data dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, e dalle Convenzioni e Trattati internazionali aventi ad oggetto i diritti civili sottoscritti dallo Stato Italiano
  • la normativa nazionale di riferimento è data dall’art. 1, legge n. 119/2013, comma 16, della legge n. 107/2015, dalla legge n. 119/2013, dalla legge n. 128/2013, dalla nota del MIUR n. 1972/2015, dalla nota del MIUR n. 4321/2015, e dalle  Linee guida nazionali del Ministero dell’Istruzione:  “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione.” del 2017
  • in base alla citata normativa ogni Scuola è tenuta ad adottare azioni didattiche per favorire l’educazione al rispetto della Persona e al contrasto alla discriminazione e violenza di genere;
  • in base alla citata normativa ogni Istituto scolastico deve svolgere attività di formazione, in relazione alla tematica in oggetto, al personale scolastico;
  • quanto indicato ai punti (3) e (4) deve avvenire nel rispetto della normativa indicata al punto (2);
  • in base alla citata normativa, la vision in merito alla tematica in oggetto, e le attività di contrasto alla discriminazione e violenza di genere devono essere esplicitate nel PTOF e nel Patto educativo di corresponsabilità, prima della loro attuazione, al fine di garantire la libertà di scelta educativa degli studenti maggiorenni, e delle famiglie (o di chi ne fa le veci degli studenti minorenni);
  • in base alla citata normativa, le attività di contrasto alla discriminazione e violenza di genere devono essere definite non solo attraverso il Collegio dei Docenti e il Consiglio di Istituto, ma anche attraverso un processo di coinvolgimento di tutti gli stakeholders della Comunità Educante; in tal senso riveste un ruolo fondamentale il dirigente scolastico;
  • in base alla citata normativa, deve essere valorizzato il genere grammaticale femminile.

Oltre a tutto ciò, si ritiene necessario in aggiunta che in un Istituto scolastico che non discrimina ed offre pari opportunità a tutte le Persone che costituiscono la Comunità Educante, debba essere previsto quanto segue:

  • sanzioni disciplinari specifiche nel Regolamento di disciplina per la componente studentesca;
  • analisi del rischio discriminazione/violenza nel documento di valutazione dei rischi ex d.lgs n. 81/2008 e smi in riferimento al rischio lavoro stress correlato;
  • coinvolgimento attivo del docente referente per il cyberbullismo e dell’animatore digitale nelle politiche di contrasto alla discriminazione e violenza di genere, attuate con strumenti informatici;
  • costituzione di un gruppo di lavoro, in rappresentanza delle componenti della Comunità Scolastica, che vigili su quanto accade presso l’Istituto scolastico e faccia proposte in tema di miglioramento degli standard di sicurezza e di rispetto delle Persone al Collegio dei Docenti e al Consiglio di Istituto.

E’ chiaro che il tutto implica non solo una revisione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa, del Patto educativo di corresponsabilità, e del Regolamento disciplinare per la componente studentesca, ma anche quella del Regolamento di Istituto.

I diritti politici e sociali, nonché i sistemi democratici, si fondano e reggono sul rispetto dei diritti civili e della Persona; una Scuola democratica non può esimersi dall’affrontare, nel rispetto della normativa indicata, il tema della parità di genere, e di contrasto alla discriminazione e violenza di genere.

Gianni Paciariello,

Presidente dell’Associazione Papa Giovanni Paolo II che opera a difesa dei diritti degli studenti, e dirigente scolastico in quiescenza.