L’ora alternativa alla religione cattolica non può essere imposta e neanche essere lasciata a casaccio

 

Le ragioni che impongono alle scuole di regolare le attività alternative alla religione cattolica sono molteplici e, peraltro, facilmente rintracciabili all’interno di numerose circolari e note ministeriali che nel corso degli anni si sono succedute proprio allo scopo di definire tale tematica. E’ pacifico che gli alunni che non si avvalgono della religione cattolica abbiano diritto a vedersi riconosciuto un insegnamento alternativo. Anche se, inizialmente, c’è da specificare che la questione dell’obbligo di frequentare detti insegnamenti alternativi alla religione cattolica è stata piuttosto controversa. In effetti essa è stata al centro di una nota sentenza della Corte Costituzionale, la n.203 del 12 aprile del 1989 che puntualizzava proprio il principio dell’ora alternativa.

Con l’Accordo di Villa Madama nel 1984, viene revisionato il Concordato del 1929 (successivamente ratificato con Legge n.121 del 1985), in specie qui interessa sottolineare il comma 2 dell’art. 9 il quale espressamente sancisce “la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.

La sentenza n.203 del 1989 insiste su quest’ultimo punto “il principio di laicità è in ogni sua implicazione rispettato grazie alla convenuta garanzia che la scelta non dia luogo a forma alcuna di discriminazione. (…). La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno, perché proposta in luogo dell’insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l’una e l’altro lo schema logico dell’obbligazione alternativa, quando dinanzi all’insegnamento di religione cattolica si è chiamati a esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di coscienza, a opzione tra equivalenti discipline scolastiche.
Lo Stato è obbligato, in forza dell’Accordo con la Santa Sede, ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica. Per gli studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo.
Per quanti decidano di non avvalersene l’alternativa è uno stato di non-obbligo. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione”.

Pertanto a ben leggere lo stralcio di sentenza qui sopra riportato, sarebbe sbagliato anche obbligare gli alunni all’ora alternativa alla religione cattolica poiché si verrebbe a ledere un vero e proprio diritto soggettivo.

C’è anche da aggiungere che il contenuto della sentenza n.203 è stato seguito successivamente da quello di un’altra significativa sentenza della Corte di Cassazione del 1997, la n.11432; in quest’ultima le parti adite in giudizio lamentavano dinanzi al giudice l’obbligo di frequentare i corsi alternativi alla religione cattolica come estrinsecazione di attività operate dalla P.A. e di conseguenza “violatori di diritti soggettivi perfetti”. La sentenza n.11432 denunciava “la lesione da parte della P.A. del diritto soggettivo assoluto alla libertà religiosa e dei diritti supremi all’uguaglianza ed alla non discriminazione, oltre che al rispetto del principio di laicità dello Stato e della scuola, nonché del diritto alla salute. In particolare le norme che gli attori assumono violate sono l’art. 9 della L. n. 449-84; l’art. 9 della L. n. 121-85; gli artt. 2, 3 e 19, 7 – I comma e 8 della Costituzione. Si tratta di norme che non regolano in via diretta l’attività della pubblica amministrazione, ma prendono in primaria e diretta considerazione gli interessi dei cittadini in rapporto alla p.a..
Si tratta, quindi di situazioni enunciate come diritto assoluto alla libertà di coscienza e di religione, diritto assoluto all’eguaglianza ed alla non discriminazione, diritto di vedere rispettato come attori cittadini il principio fondamentale della laicità dello Stato e della Scuola, diritto alla salute anche psichica. Si tratta inoltre di diritti soggettivi costituiti direttamente dall’ordinamento per la cui operatività non è necessaria alcuna attività della p.a. la quale non ha il potere di comprimerli o limitarli. Si lamentava quindi il fatto che la P.A, in questo caso la scuola, avesse “trasformato l’insegnamento della religione cattolica da facoltativo in opzionale, violando così il principio di facoltatività, ribadito dalla legge di revisione del concordato fra Chiesa e Stato L. 11 agosto 1984 n. 449, nonché della L. 25 marzo 1985 n. 121, e ponendosi in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini e di libertà di fede”. A conclusione delle motivazioni addotte dalla sentenza n.11432, si richiamava all’interno un passo rilevante della sentenza n.203 ossia l’assunto che “l’esercizio di un diritto di libertà costituzionale non è degradabile ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche”.

Intanto però occorre sottolineare che prima delle due sentenze in parola si erano intrufolate diverse circolari ministeriali, tutte dello stesso tenore, volte cioè a disciplinare l’insegnamento delle attività alternative nella scuola materna, elementare, media e superiore (la n.128, 129, 130, e 131 tutte datate 3 maggio 1986). In realtà per la scuola superiore il 13 giugno del 1986 viene emanata la C.M. n.177, applicazione della Legge n.281 del 1986 “Capacità di scelte scolastiche e di iscrizione nelle scuole secondarie superiori”; l’articolo 1 così stabiliva “1. Gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all’atto dell’iscrizione, a richiesta dell’autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. 2. Viene altresì esercitato personalmente dallo studente il diritto di scelta in materia di insegnamento religioso in relazione a quanto previsto da eventuali intese con altre confessioni. 3. Le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attività culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente. 4. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi devono essere allegati alla domanda di iscrizione.

Tuttavia è la C.M. n.211 del 24 luglio del 1986 che ha fornito ulteriori precisazioni sull’attuazione delle nuove norme derivate dalla revisione concordataria. La suddetta circolare è interessante perché mette in evidenza un punto fondamentale che sin dal quel momento andava ad incidere sulla funzione di un importante organo collegiale ovvero quella del collegio dei docenti, chiamato, a dire della circolare, appena iniziato l’anno scolastico a “programmare e definire” le attività previste per i bambini e per gli alunni che non si avvalevano della religione cattolica nelle scuole elementari e medie, finanche materne; “il Collegio dei docenti provveda subito a programmare le attività previste per gli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica. Ciò fatto, lo stesso Collegio dei docenti ne informerà tempestivamente i Consigli di classe (per la scuola media) e quelli di interclasse (per la scuola elementare) perché questi, al fine di offrire al Collegio dei docenti ogni compiuto elemento di valutazione per la definizione di tali attività, sentano i genitori interessati o chi esercita la potestà; – nelle scuole secondarie superiori, il Collegio dei docenti provveda subito a programmare le attività culturali e di studio per gli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, curando, nelle forme ritenute più opportune, la tempestiva convocazione di detti studenti onde acquisirne proposte utili alla definizione delle attività stesse”.

Secondo quanto si evince dalle suddette sentenze, il non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica non può quindi determinare obblighi di frequenza di attività alternative; l’ora di religione cattolica non è opzionale ad altro e con la sentenza della Corte Costituzionale n.13 del 1991, antesignana della n.203, si arriva a sostenere che qualora gli alunni decidano di non seguire le attività alternative, proposte dalla scuola, è nella loro facoltà di allontanarsi anche dall’edificio scolastico; si legge infatti: “lo <<stato di non-obbligo>> vale dunque a separare il momento dell’interrogazione di coscienza sulla scelta di libertà di religione o dalla religione, da quello delle libere richieste individuali alla organizzazione scolastica. Alla stregua dell’attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo <<stato di non-obbligo>> può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio della scuola”. In ordine al suddetto principio di allontanarsi dall’edificio scolastico o di posticipare l’ora di entrata, il Consiglio di Stato con due ordinanze, la n.578 e la n.579 del 1987, sospende le decisioni del Tar del Lazio, sentt. 1273 e 1274 del 1987 “nella parte in cui queste affermano il diritto degli alunni non avvalentisi dell’insegnamento religioso o di altro insegnamento alternativo «ad allontanarsi dalla scuola con conseguente riduzione, per loro, del normale orario scolastico» (C.M. n.316/1986).

In ossequio alla sentenza n.13 del 1991, la C.M. del 18 gennaio 1991 n.9 disciplina che deve essere offerta ai non avvalentisi anche la scelta di allontanarsi o di assentarsi dall’edificio scolastico; “l’ulteriore scelta offerta agli studenti non avvalentisi di allontanarsi o di assentarsi dall’edificio della scuola va dunque regolata in base ai seguenti fondamentali criteri: a) quello attinente alle esigenze di buona organizzazione; b) quello attinente alla responsabilità della pubblica amministrazione che ha il dovere di vigilanza sugli alunni con particolare riguardo a quelli minori degli anni diciotto. Sotto il primo profilo è chiaro che l’organizzazione della scuola non consente scelte episodiche, discontinue e disordinate”.

In verità la sentenza n.13/1991 rimanda ad un’altra circolare ministeriale, la n.188 del 25 maggio 1989, avente ad oggetto “Nuovo modello riguardante l’esercizio del diritto di scelta se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica”; infatti nel suddetto allegato, unito alla circolare, si presentavano le attività che gli alunni non avvalentesi potevano scegliere: attività didattiche formative, attività di studio e/o di ricerca individuali o altrimenti nessuna attività.

Resta fermo il fatto che la possibilità di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica non è subordinato all’accettazione di altre attività organizzate dalla scuola, anche se, tuttavia è compito di quest’ultima predisporle nei tempi opportuni.

Sulla facoltatività delle attività alternative alla religione cattolica è intervenuta una recente sentenza del Consiglio di Stato del 7 maggio 2010, la n.02749 che in un passo, si è soffermata proprio su questo aspetto specifico, relazionando quanto segue: “la mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglia: la scelta di seguire l’ora di religione potrebbe essere pesantemente condizionata dall’assenza di alternative formative, perché tale assenza va, sia pure indirettamente ad incidere su un altro valore costituzionale, che è il diritto all’istruzione sancito dall’art. 34 Cost. Ciò evidentemente non contraddice il carattere facoltativo dell’insegnamento alternativo: tale insegnamento è, e deve restare, facoltativo per lo studente, che può certamente non sceglierlo senza essere discriminato, ma la sua istituzione deve considerarsi obbligatoria per la scuola

Le modalità operative per arrivare all’organizzazione di tali attività possono essere rintracciate all’interno della C.M. n.316 del 1987: “l’organizzazione delle lezioni e, in tale ambito, la collocazione dell’insegnamento della religione cattolica (così come la contestuale offerta di attività, spazi attrezzati e servizi ad esso alternativi) dovranno essere attuati dal capo d’istituto, sentito il Collegio dei docenti, secondo criteri volti a perseguire il miglior grado di razionalità ed efficacia didattica e nel contempo intesi ad evitare ogni forma, anche indiretta, di discriminazione o disimpegno oltre che a costituire elemento di vincolo o di rigidità per l’orario delle altre materie. Si richiama, altresì, l’attenzione dei capi d’istituto e, tramite essi, di tutti i docenti sulla necessità di una scrupolosa vigilanza affinché l’articolazione della classe – per la contestuale presenza di alunni avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica ed alunni non avvalentisi – avvenga con la garanzia del pieno rispetto della personalità di ogni studente e della scelta espressa”.

Peraltro nella stessa circolare si accenna ad alcuni aspetti sostanziali delle attività alternative ossia al principio di dover garantire “l’assistenza di docenti a ciò appositamente incaricati e nell’ambito dei locali scolastici”, “la necessità che da parte dei Collegi dei docenti siano formulati dei precisi programmi. A tal fine, quale contributo di indirizzo alla programmazione didattica di competenza dei docenti (…)” e la predisposizione di “locali scolastici in modo coerente con le finalità della scuola”; quest’ultimo profilo della circolare si sofferma, in specie, sul fatto che “il capo di istituto deve sottoporre all’ esame ed alle deliberazioni degli organi collegiali lo necessità di attrezzare spazi, ove possibile, nonché organizzare servizi, assicurando idonea assistenza agli alunni, compito questo che discende dalla natura stessa dell’istituzione”.

In ultimo la circolare n.316/1986 avanza un’altra importante questione ovvero le modalità di utilizzazione del personale. In questo ambito si innesca la Nota n.26482 del 7 marzo 2011 Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato “Pagamento delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica”, la quale precisa: “al fine dell’attribuzione delle ore da liquidare possono identificarsi quattro tipologie di destinatari:
1) personale interamente o parzialmente a disposizione della scuola; 2) docenti dichiaratisi disponibili ad effettuare ore eccedenti rispetto all’orario d’obbligo; 3) personale supplente già titolare di altro contratto con il quale viene stipulato apposito contratto a completamento dell’orario d’obbligo; 4) personale supplente appositamente assunto, non potendo ricorrere ad una delle ipotesi sopra specificate.

Sullo stesso tema interviene un’altra Nota dell’USR Liguria del settembre 2013 la n.6776 che così recita:
a) In via prioritaria i dirigenti scolastici attribuiranno le ore di attività alternative alla religione cattolica ai docenti a tempo indeterminato in servizio nella rispettiva scuola, la cui cattedra sia costituita con un numero di ore inferiore a quello obbligatorio (docenti totalmente o parzialmente in soprannumero), ai fini del completamento dell’orario d’obbligo. Si precisa che non è possibile per i docenti titolari di cattedra orario esterna completare nella prima scuola con ore di attività alternative.
b) Nel caso in cui non si possa procedere come indicato nel precedente punto a), i dirigenti scolastici conferiranno le ore alternative alla religione cattolica come ore eccedenti l’orario d’obbligo. Come previsto dal comma 4 dell’articolo 22 della Legge Finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448, l’assegnazione spetta a coloro che, in servizio nella scuola come docenti a tempo indeterminato e come supplenti con nomina fino al termine dell’anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, abbiano già completato l’orario di cattedra, ed abbiano manifestato la propria specifica disponibilità. L’invito a comunicare la disponibilità a svolgere le ore alternative deve essere rivolto a tutti gli insegnanti in servizio.
c) Qualora non sia possibile procedere sulla base di quanto previsto nei punti precedenti, i dirigenti scolastici potranno stipulare contratti a tempo determinato con supplenti già in servizio per spezzoni orario o contratti a tempo determinato ex novo con aspiranti alle supplenze inclusi nelle graduatorie d’istituto”.

Tali note ministeriali lasciano quindi intendere che le ore alternative alla religione cattolica richiedono, da parte dei dirigenti scolastici, di essere debitamente programmate, con l’impiego di apposito personale.

Su tale tematica in oggetto, gli ultimi provvedimenti in ordine di tempo sono la C.M. n.18 del 4 luglio del 2013 “Adeguamento degli organici di diritto alle situazioni di fatto”, nella quale espressamente si legge: “si ricorda che deve essere assicurato l’insegnamento dell’ora alternativa alla religione cattolica agli alunni interessati, rammentando che è stata diramata una nota ( n. 26482 del 7 marzo 2011) che chiarisce i vari aspetti della materia e detta istruzioni per la parte relativa alla materia contrattuale e retributiva”; la C.M. n.34 del 2014 “Dotazioni organiche del personale docente per l’anno scolastico 2014/2015” che aggiunge “per quanto concerne le ore di insegnamento delle materie alternative alla religione cattolica, si ricorda che il 7 dicembre 2011 è stata rilasciata la procedura per l’invio telematico dei contratti a tempo determinato per l’insegnamento di tali attività che restato regolati dalle disposizioni e dai chiarimenti fino ad ora forniti (nota n. 26482 del 7 marzo 2011)”.

Si ravvisa quindi per le scuole l’obbligo di determinare, per gli alunni non avvalentesi, attività alternative alla religione cattolica e quella di incaricare specifici docenti allo svolgimento di queste ultime, fatta salva comunque la possibilità di astenersi.

Katjuscia Pitino