Madre casalinga? Il padre ha diritto ai permessi per l’allattamento

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 17/2022

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato risolve un annoso contrasto giurisprudenziale.

Con sentenza n.17 del 28 dicembre 2022, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta sulla questione dei riposi parentali durante il primo anno di vita del bambino.

Com’è noto, l’articolo 40 del D.Lgs. 151/01 prevede la fruizione dei riposi orari da parte del padre lavoratore nei casi: a) in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in cui la madre lavoratrice dipendente non se ne avvalga; c) in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) di morte o di grave infermità della madre.

La giurisprudenza si è chiesta se il diritto ai “riposi orari” spettasse anche nel caso in cui la madre fosse una casalinga.

Sul punto si sono affermati tre diversi indirizzi interpretativi.

Secondo un primo filone “positivo” (Consiglio di Stato, sentenza n. 4293/2008), l’espressione “madre lavoratrice dipendente ricomprende tutte le ipotesi in cui non esiste un rapporto di lavoro dipendente; dunque sia il caso della lavoratrice autonoma, sia il caso della donna che non svolge alcun lavoro, nonché il caso della donna che svolge un’attività non retribuita (come appunto la casalinga).

Tale interpretazione – oltre a basarsi sulla lettera della norma – evidenziava come la ratio della disposizione andava individuata nel principio della paritetica partecipazione di entrambi i genitori alla cura ed all’educazione della prole, “che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.

Vi un secondo orientamento “negativo” (Cons. Stato, n. 2732/2009 e n. 1851/2021), secondo cui il principio di alternatività nella cura del minore andrebbe escluso in termini assoluti e non sarebbe possibile ricondurre la casalinga alla condizione di “non lavoratrice dipendente”, in considerazione che l’attività domestica – qualificata come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare- non può non ricomprendere la cura del minore.

Tale orientamento giustificava altresì siffatta interpretazione come “necessario punto di equilibrio” tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli e la necessità di bilanciare tale diritto-dovere con le specifiche esigenze del datore di lavoro.

Si è poi affermato un indirizzo ”intermedio” (Consiglio di Stato sentenza n. 4993/2017), secondo il quale il padre ha diritto ai permessi solo se dimostra che la moglie casalinga è impossibilitata ad assicurare le necessarie cure al bambino (Cons. Giust. Amm., 20 dicembre 2012, n. 1241; Cons. Stato, n. 4993/2017, n. 628/2018, n. 5686/2018; n. 6172/2021).

Se la madre è casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione”.

Il padre dovrà dunque “provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie ‘casalinga’ (e dunque lavoratrice non dipendente) di assicurare le necessarie cure al bambino”.

Tale contrasto interpretativo induceva la Seconda Sezione del Consiglio di Stato a deferire la questione all’Adunanza Plenaria, chiedendo in particolare se l’espressione “non lavoratrice dipendente”, riferita alla madre, “si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla ‘casalinga”’, e “in caso di risposta affermativa”, se il diritto del padre di fruire dei riposi giornalieri di cui all’articolo 40 del d.lgs. n. 151/2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinato alla prova che la madre casalinga sia impossibilitata ad attendere alla cura del neonato.

Effettuata una ricostruzione dell’evoluzione normativa nonché del contrasto giurisprudenziale in subiecta materia, l’Adunanza Plenaria ha osservato come “i periodi di riposo di cui all’articolo 39 rientrano nel novero dei diritti riconosciuti in attuazione del valore costituzionalmente tutelato della funzione genitoriale”.

A tale funzione vanno collegati sia le responsabilità di entrambi i genitori nei confronti del figlio,  sia il diritto del figlio di ottenere le migliori condizioni di crescita e di sviluppo nella sua età evolutiva.

Nell’aderire alla soluzione positiva prospettata dall’ordinanza di rimessione, il Collegio ha osservato come non fosse possibile condividere la tesi dell’Amministrazione secondo cui la circostanza che la madre sia casalinga, comportando la presenza “strutturale” di un genitore in casa, garantirebbe il soddisfacimento di quei bisogni cui è preordinato l’istituto dei riposi parentali.

Escludere il diritto del padre alla fruizione dei riposi in caso di presenza nel nucleo familiare della madre casalinga, comporterebbe un’irragionevole privazione del diritto del padre lavoratore dipendente, non giustificata dal testo della norma che, “nella sua chiarezza lessicale, non consente interpretazioni riduttive”.

Esclusa dunque  qualunque interpretazione restrittiva, il Collegio ha sottolineato come non vi siano ragioni per distinguere, “sul piano qualitativo o quantitativo e con riferimento alla posizione genitoriale”, “il lavoro svolto nell’ambito “domestico” o “familiare” da quello svolto dalla donna in via subordinata, o in via autonoma, né, tantomeno, è possibile disconoscere il “valore economico” dell’attività lavorativa domestica, con terminologia desueta ricondotta ai compiti della casalinga (Cass., sez. lav, 20 ottobre 2005 n. 20324)”.

L’Adunanza Plenaria ha affermato pertanto il seguente principio di diritto:

L’articolo 40, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, laddove prevede che i periodi di riposo di cui al precedente articolo 39, sono riconosciuti al padre lavoratore dipendente del minore di anni uno, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, intende riferirsi a qualsiasi categoria di lavoratrici non dipendenti, e quindi anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare, senza che sia necessario, a tal fine, che ella sia impegnata in attività che la distolgono dalla cura del neonato, ovvero sia affetta da infermità”.

Avvocato Francesco Orecchioni